Stando alla classifica di “Reporter sans frontières” del 2012, l’Italia è al sessantunesimo posto per libertà di stampa. Questa classifica non è il verbo di Dio, né tantomeno una verità incontestabile, ma è comunque un ulteriore indice di quanto il giornalismo sia imbavagliato in Italia. Se i giornalisti, per limiti esterni quali: minacce di querele, minacce da parte di organizzazioni criminali, conflitto di interessi con il proprio editore eccetera, non possono fare ciò che dovrebbero, ovvero informare la gente, l’informazione non muore, ma trova altre strade. Una strada significativa è rappresentata dal libro.
Ma per rimanere nel nostro campo, che è quello della narrativa, della fiction, non possiamo non citare il romanzo Noir. Per quanto questo genere sia bistrattato dalla critica più arcigna e pomposa (oltre che polverosa…), e per quanto il nome sia sfruttato all’inverosimile dall’editoria sull’onda del successo del vero noir per vendere romanzi che non sono del genere, da circa venti anni il noir fa critica sociale in modo libero e spietato, informando i lettori sugli aspetti più marci e corrotti della società in cui viviamo. Libero perché inserire la verità in contesti fittizi concede una maggiore libertà d’azione; spietato perché il noir ci arriva senza mezzi termini, brutale ma realistico, se non reale, come i suoi personaggi.
In questo numero della rivista ho deciso di recensire per voi due romanzi di un grandissimo autore italiano di romanzi noir, Massimo Carlotto. I due romanzi in questione, “Arrivederci amore, ciao” e “Alla fine di un giorno noioso” (aventi in comune lo stesso protagonista, Giorgio Pellegrini, l’ex terrorista divenuto malavitoso senza scrupoli), ci parlano dell’anima nera del Veneto, la cosiddetta locomotiva economica del paese, dove economia criminale e economia legale si intrecciano, creando ricchezza ma anche violenza, prosperità ma anche miseria.
Aniello Troiano




