di Rina Brundu. Fanno impressione queste interviste a “orologieria” che Matteo Renzi “concede” al primo telegiornale italiano, il TG1, ogni qualvolta necessita di difendere l’indifendibile, come è indifendibile il tentativo di cambiare la Costituzione degli italiani a colpi di maggioranza risicata, quando non svenduta. E, ad un tempo, alla luce dell’odierno (seppur indiretto) attacco al giornale danese Jyllands-Posten, giornale martire dei diritti minimi degli individui e delle comunità moderne, nonché alla luce del recente rapporto di Reporters Senza Frontiere che relega il nostro paese al 73simo posto nel mondo, in materia adi libertà di stampa e di espressione, fa impressione “l’obbedienza pronta, cieca ed assoluta” del servizio pubblico al leader.
Renzi si è presentato ingrassato e satollo davanti alla giornalista RAI ma anche fondamentalmente tranquillo, con la tranquillità di chi sa di giocare in casa. L’intervista concordata parte dalla situazione in Libia: meglio cominciare con la cronaca estera, tracciare un identikit chiaro del nemico e rassicurare il popolo: rassicurarlo che il renzismo è qui per proteggerlo e non intende abbandonare la poltrona. Poi il discorso cade inevitabilmente sulle hot-issues della politica interna: la giornalista mette subito le mani avanti (di fatto non si dovrà mai dire che l’intervista sia stata completamente inginocchiata, “seduta” sarebbe un termine più appropriato): Presidente le hanno dato del “bullo”, Presidente in Parlamento si sono viste scene poco edificanti, Presidente non crede che sia un poco azzardato cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza?
Risposta in pieno stile pseudo-capitalistico anni 80: sarebbe stato un errore fermarsi adesso… io voglio cambiare l’Italia… dovevo portare il risultato a casa. Il risultato??? Purtroppo nel delicato frangente è mancata la domanda che sarebbe stato necessario fare: pensa forse che quella che sta giocando sia una partita di calcio? E poi, quando Renzi ha assicurato che gli italiani non vogliono le elezione anticipate perchè “ci hanno messi lì” per lavorare, sarebbe stato forse opportuno far notare che nessun italiano ha deputato Matteo Renzi alla posizione di Premier, piuttosto la poltrona è stata ottenuta tramite sgambetto al collega di partito Enrico Letta. Infine, far passare il dubbio che magari l’Italia sta cambiando in peggio sarebbe stato deontologicamente lecito, ma anche volendo questo non si potrebbe davvero chiedere al giornalismo RAI.
Di sicuro, non dopo la ventilata minaccia del Renzi più ruspante che, già dimentico della promessa di non interferire con le cose dell’editore servizio-pubblico, a domanda risponde: “La RAI? Da marzo vogliamo fare della Rai la più innovativa azienda culturale d’Europa. A proposito, complimenti a Carlo Conti!”. E qui ritengo sia opportuno fermarsi, del resto ogni altra parola risulterebbe superflua.
Dato il deprimente contesto, ma forse allo scopo di voler continuare a coltivare qualche speranza, come non ricordare qui la figura di Michele Ferrero, patron della mitica Nutella, morto quest’oggi? Di fatto sono le figure simili alla sua che hanno reso grande l’Italia, che hanno rappresentato al meglio la nostra nazione. Sono le figure simili alla sua quelle di cui andare fieri, quelle che hanno lavorato e procurato lavoro, finanche confortato i nostri sogni di bambini con le loro “creazioni” dolci. Soprattutto sono le figure simili alla sua quelle distanti mille chilometri dalle tirate retoriche, dal dire per non fare, dal provincialismo mediatico di ritorno che ci affligge come una maledizione senza fine, lontane come antiche stelle da tutti gli “ismi”, presenti e passati, che ci hanno in ultimo portato allo sfascio. Chapeau!
Featured image, un vasetto dell’intramontabile Nutella.