I recenti avvenimenti accaduti alla Camera – espressioni chiare e inequivocabili di una tensione istituzionale che affonda le proprie radici nell’intolleranza politica genetica dell’opposizione – mi hanno reso ancora più consapevole che nel nostro paese l’idea della democrazia è un’idea distorta, ed è un concetto vuoto e strumentalizzato dall’ideologia partigiana sinistra, che ancora oggi opprime la nostra vita democratica, ancorandola a una logica di contrapposizione post-bellica che non ha eguali in nessun altro paese.
Per sessantacinque anni, dopo la fine della guerra, la sinistra comunista ha fatto opposizione, ma l’ha fatta in modo pressoché formale. In verità, sappiamo bene tutti che il PCI ha contribuito, con la Democrazia Cristiana, a (s)governare questo paese, favorendo (anzi, auspicando) la stalinizzazione cattocomunista delle nostre istituzioni e della società italiana. Questo fino all’evento di Mani Pulite. Dopo di allora, scomparsi gli antichi alleati-avversari di un tempo, le aspirazioni dei riciclati ex-post-comunisti (intanto il comunismo era caduto), sono diventate più ambiziose: governare l’Italia. Possibilmente in eterno. Peccato però che un uomo glielo abbia impedito, rovinando i loro nefasti (per noi) progetti. Da allora però la politica nel nostro paese è cambiata. È peggiorata in un modo che impressiona anche chi non ha peli sullo stomaco. Il concetto di democrazia è stato stravolto. Se prima non esisteva, per via della contrapposizione dei blocchi, dopo che il muro è caduto, i blocchi si sono sbloccati e Berlusconi (l’uomo) è sceso in campo, la sinistra italiana – orfana di oppositori – ne ha dato un significato anomalo e anormale per giustificare il proprio passato comunista e ripulirlo da tutti quegli elementi autoritari e repressivi che Stalin e compagni per decenni hanno contrabbandato per libertà operaia dal potere borghese. E questo, al fine di autolegittimarsi come espressione più autentica e vera della democrazia italiana contrapposta al fascismo berlusconiano.
Ora, la verità è che il concetto di democrazia occidentale è assai diverso rispetto a quello coniato nelle vecchie Case del Popolo di gramsciana memoria. È sufficiente verificare come funzionano paesi democraticamente più maturi come USA, Gran Bretagna o Francia per capirlo. In queste nazioni esistono fondamentalmente due elementi politici che contraddistinguono il concetto di democrazia: il consenso (che esprime la maggioranza) e il dissenso (che esprime la minoranza). Consenso e dissenso politico sono due facce della stessa medaglia – la medaglia democratica – in quanto esprimono il più alto concetto della res publica: la partecipazione di tutti i cittadini alla vita sociale e politica della nazione.
Ebbene, in Italia, negli ultimi venti anni, il concetto di democrazia quale espressione simultanea e opposta di consenso e dissenso politico è stato completamente stravolto ed è stato sostituito con gli asimmetrici consenso e delegittimazione politica. Da una parte abbiamo le istituzioni democratiche (le elezioni) che filtrano il consenso della maggioranza politica, e dall’altra abbiamo comportamenti e azioni non democratiche o pseudodemocratiche che tendono a delegittimare il consenso della maggioranza politica per favorire l’opposizione minoritaria. In questi termini, il dissenso è stato sostituito con il discredito, a volte personale, dell’avversario politico. Ergo, la demonizzazione.
È indubbio che questo sia un concetto malato di democrazia, poiché è basato sull’idea che la parte dissenziente e delegittimante, sia eticamente, politicamente, storicamente e culturalmente superiore all’altra, potendo pure garantire lo status quo dei privilegi e dei poteri di casta su cui fonda la propria legittimazione e nei quali ha trovato i propri tradizionali alleati. Cosicché solo la parte dissenziente, benché minoranza, è legittimata a governare, legiferare e dunque a stabilire cosa è meglio o non è meglio per il cittadino. L’altra, nonostante sia maggioranza, non avendo la certificazione dei poteri di casta, e anzi opponendosi a essi, non ha diritto di cittadinanza, e dunque deve essere estromessa dalla vita politica del paese. Ovvero, se Governa, deve essere posta nelle condizioni di non governare, attraverso la sistematica azione discreditante che può concretizzarsi con tutti i mezzi della vita moderna: dall’uso distorto degli strumenti istituzionali e dell’informazione, all’errata e arbitraria interpretazione dei principi costituzionali, fino all’utilizzo delle proteste strumentali di piazza e di una giustizia troppo spesso tacciata di attivismo politico. E tutto per favorire il potere di quello considerato obtorto legittimo.
Questa è di fatto la prospettiva sinistra. La democrazia vista come legittimità o eredità storica, culturale ed etica, e non già come espressione genuina della volontà popolare-costituzionale. In altre parole, io (sinistra) ho il diritto di governare non perché vinco le elezioni (sia mai!), ma perché storicamente, culturalmente ed eticamente sono destinato a questo…
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Quello che la sinistra fa finta di ignorare: la differenza tra delegittimazione e dissenso
Creato il 01 aprile 2011 da IljesterPotrebbero interessarti anche :
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