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Quello che vuole Anita

Creato il 11 novembre 2010 da Zarizin

Quello che vuole AnitaQuel Natale Anita domandò un altro canguro. Aveva preso la busta per i grandi stavolta, quella apposta per le cose serie, che aveva il tratteggio per il francobollo e lo spazio dove andava poi scritto il mittente.

 Ci si era messa d’impegno. Aveva chiesto, Se caro Babbo Natale questa volta mi potevi portare un canguro. Sono stata tanto buona che puoi chiederlo anche a Papà, che mi dice sempre, Stai buona! E anche lui, vedrai, te lo dirà che quest’anno lo sono stata. Solo un canguro, caro Babbo Natale, che se non sai bene com’è fatto, ti mando io i disegni, cosí non ti confondi. Il canguro ha i piedi lunghi come una lepre, ma è grande e grosso come mio Papà, e ha le tasche come un cappotto, ma si muove da sé e non si indossa, né d’inverno né d’estate. Salta come un ranocchio, ma è piú grande e piú marrone, e vive nel deserto, non negli stagni con l’acqua. Cosí non ti puoi ingannare. E concludeva: Solo un canguro desidero ancora, per il resto non chiedo nient’altro. Cordialmente, eccetera eccetera. Firmato, Io Anita.

Ma quell’anno, come gli altri anni, Babbo Natale si scordò del canguro, e invece le portò una scatola nuova di colori. Questa volta protestarono anche Mamma e Papà, e si misero tutti e tre a scrivere, la mattina del 25, una lettera di lamentela indirizzata a Babbo Natale, coi colori che lui stesso aveva portato, per fargliela vedere. E dicevan che, Se per favore Babbo Natale potevi leggere con piú attenzione quello che vuole Anita, perché altrimenti lei poteva anche decidere di passare alla concorrenza. Cordialmente eccetera eccetera. Firmato, Mamma Papà, io Anita.

La risposta la trovaron due giorni piú tardi sotto l’albero in salotto, scritta con gli stessi pennarelli. Rispondeva Babbo Natale che, Mi dispiace, che, Sapevo che Anita era stata tanto buona, ma i canguri oggigiorno non si posson regalare. Un tempo andava bene, ma ora ogni canguro ha i suoi genitori, come Anita tu hai i tuoi, e quando sono cresciuti hanno i cangurini cui badare, come Mamma e Papà badano a te.

Allora, scrisse Anita, Se mi potevi mandare un canguro delle fiabe. Ma Babbo Natale si spiacque che, Son rari i canguri delle fiabe. Un tempo si poteva fare, ma ora tutti i canguri delle vecchie storie hanno già un padrone, e nessuno piú scrive oramai di canguri. E Anita non seppe che cosa rispondere, perché lei non sapeva scrivere fiabe, e tutti i suoi libri di storie parlavano sempre di lupi, d’agnelli, di lepri, e mai l’ombra di un canguro. E scrisse, Se poteva scusarla, e, Guarderò nei libri nuovi che qualcuno magari ne scriva, cosí che anche io potrò avere il mio canguro. Cordialmente, eccetera eccetera. Firmato, Io Anita. E Babbo Natale non scrisse nient’altro.

Ma le vacanze di Natale parevan tanto tristi senza canguro. E i pomeriggi eran sempre noiosi. Le amiche di Anita si eran fatte portare dei trucchi da signora, e si impiastricciavano la faccia l’una all’altra e portavano le scarpe grandi col tacco. Ma i trucchi Anita non li aveva, e cosí aveva provato coi colori di Babbo Natale. Ma quelli le bruciavano la pelle, e passò il pomeriggio imbrattata di viola e magenta con le lacrime agli occhi e il moccolo al naso.

Allora si disse che, Se non son capace di scrivere una fiaba, mi disegnerò da me un canguro cosí bello che sarà come avercelo davvero. E presi i colori di Babbo Natale, cominciò il suo disegno. Prima tracciò le linee per le zampe, lunghe come quelle di una lepre, poi per la tasca, come quella d’un cappotto, e poi per i saltelli, tutto intorno al foglio, cosí come quelli d’un ranocchio. Ma presto vide che ne veniva fuori un gran pasticcio, e il suo canguro era finito col somigliare a tutti gli animali del mondo fuorché al canguro. Allora prese una sedia dal salotto, e la cartella di scuola e un po’ di cuscini, e raggiunse l’ultima mensola della libreria, dove il Papà teneva tutti i libri seri cogli animali del mondo intero. Lí trovò il suo canguro. Si aperse il librone davanti al naso e cominciò a ricopiare la bella foto di un piccolo e il suo genitore. Ma lasciò da parte il piccolo e si prese il canguro piú grande, cosí che il cangurino avesse l’altro genitore e non si sentisse solo. E poi nella tasca di un cucciolo Anita tutta intera non ci sarebbe entrata. Sí, perché è per questo che lei desiderava tanto un canguro: cosí che l’avrebbe portata al calduccio nella sua tasca, quando faceva freddo nei giorni d’inverno, per le strade della città. E per esser sicura, quando si trattò di disegnar la tasca, Anita gliela fece ancor piú grande e calda di quel che appariva nella foto.

Quando ebbe finito, guardò di nuovo alla foto e disse che, Non mi è venuto male, ora sí che pari un canguro. E, Adesso vieni fuori! Lo incitò.

Il canguro non se lo fece ripetere due volte, e aggrappatosi da un lato a un pastello e dall’altro a una gomma per cancellare, tirò una zampa sul tavolo e fu fuori dal disegno. Ci mise un po’ a prender le dimensioni giuste, perché il disegno non era molto grande, e la tasca sempre troppo piccola perché Anita ci entrasse tutta intera. Poi al canguro non andava di crescere tanto, e da piccolo che era poteva intrufolarsi fra i portapenne e gli astucci di Anita. Ma alla fine dovette farsi grande per forza. E Anita lo rimproverò. Gli disse che, No, canguro, cosí non si fa! Ora fai largo che ti entro nella tasca! Ma quello prese a saltellare sopra il letto e sulle sedie, cacciando urla irritate, e con le zampe tirava calci per tutta la stanza, sfondando il comò ed i cassetti. E Anita didietro, che gridava che, Diavolo d’un canguro, se ti piglio ti sistemo! E pensava che, È tutto sbagliato questo canguro, non ha niente che fare col canguro che ho ricopiato o i canguri che ho mai disegnato! Allora si accorse che oltretutto il canguro puzzava, e aveva il pelo sporco e il muso tutto bagnato. Oh, insomma! Si lamentava Anita.

Quando fu infine riuscita a fermarlo, gli cacciò una mano nella tasca, per arrampicarcisi didentro. Ma dovette subito cavarla di fuori con un’espressione di schifo, perché aveva sentito la tasca del canguro tutta piena di gelatina e ora le dita le gocciolavano sul vestito quel liquido appiccicoso. E lo sgridò che, Un canguro cosí non poteva essere, che, Non ci salirò mai sulla tua tasca appiccicaticcia! Ma il canguro s’era già rimesso a saltare su e giú per la stanza, rovinando gli armadi, sfondando i cassetti, mangiucchiando le lenzuola. Oh, insomma! Si lamentava Anita.

Allora mentre il canguro rimbalzava indiavolato per la stanza, Anita si sedette al tavolo e scrisse su una nuova lettera, Se per favore Babbo Natale potevi venire a riprenderti il tuo canguro. E intanto l’animale saltava e sporcava dappertutto. E, Se per favore il prossimo Natale potevi portarmi dei colori piú belli, che si usino meglio e che non disegnino canguri impazziti. Che, Ti ringrazio tanto. Cordiali saluti, eccetera eccetera. Firmato, io Anita. Ma il canguro si era avvicinato tanto da strapparle di sotto le mani la lettera a Babbo Natale, e ora andava mangiucchiandola colpo a colpo per tutta la stanza, con la piccola Anita che didietro, Oh insomma! Oh insomma! lo andava, sciolta in lacrime, inseguendo.

Emiliano Garonzi

Pubblicato in:Racconti

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