Magazine Per Lei
QUESTA MIA STRANA ESTATE. Dall'Hotel Hospital alla conquista della postura eretta. Un (quasi) viaggio.
Creato il 19 agosto 2012 da NinaQuesti giorni, come descriverli a parole? Ci provo con degli aggettivi. Densi, come certi colori pastosi, che ti si appiccicano alle dita. Carichi come le nubi prima di liberarsi in un temporale. Lenti, come il tempo che non scorre mentre aspetti che arrivi il tuo turno, il tuo momento. Faticosi, come un anno di lavoro ininterrotto. Sospesi, come i panni appesi. Tesi, come una corda tra due alberi. Sollevati, come buste pesanti della spesa. Leggeri, come semi trasportati dal vento. Luminosi, come il sorriso che nasce dopo un grande spavento. Veri, come veri sono il corpo, la carne, il sangue. Impietosi, come solo la vita sa essere.
Duri, come una pietra di ossidiana. Rabbiosi, come il cane a cui levi l'osso. Allegri, di quella smisurata felicità che arriva col sollievo, quando realizzi che il peggio è passato. Chiusi e circolari, come i labirinti della mente. Aperti e ariosi, come certe stanze segrete della mente. Al solito conservo delle immagini, che ho scattato o chiesto di fermare per me, per ricordare, ma anche per vedere quel che altrimenti mi sarei persa. Attimi di vita vissuta, di quella che lascia cicatrici fuori e altrettante dentro. Tre buchini sulla pancia, qualche altro nell'animo. Che saprò ricucire, ne sono certa. Nina Sarta Paziente e Meticolosa. Eccole quelle immagini, ve ne mostro una parte, che sempre credo che riescano a dire più loro che mille parole. Nina come non l'avete mai vista. E spero proprio che così non la rivedrete mai più.
Comincia il viaggio.
Il 7 Agosto, il giorno prima, quando addosso avevo solo l'allegria fiduciosa ed ottimista, cazzona e giocherellona. E con il bordo di un panino improvvisavo un sorriso (im)perfetto.
E mettevo alla prova le mie capacità di adattamento e sopportazione
E la cena leggera, come la chiamano loro, quando ancora pensavo che sarebbe stato il mio sostentamento fino alla mattina seguente, poi sarei stata sedata e drogata e non avrei più sentito la fame. Insomma si poteva anche fare, messa così.
8 Agosto
Invece il digiuno fino all'operazione è durato ben 14 ore, un'esperienza off limits, per una come me. Una vera prova di forza. Anzi una vera tragedia ecco. L'attesa è stata interminabile, di ore. Dovevo operarmi alle 10,30, mi hanno chiamata alle 15,30. Mi hanno chiamata, non operata. Il tempo non passava mai e io meditavo di scendere al bar a comprarmi una pizzetta o un tramezzino. La fame gioca brutti scherzi, non riuscivo a pensare ad altro. La mente era in loop totale e escogitava piani di fuga, mi proponeva di filarmela e mangiare, cosa mai poteva accadermi in fondo? Giusto di non essere operata. E allora, sai che dramma. Ho dovuto fare un lavoro di auto-training spinto non per calmare il nervoso o la paura, nossignore, bensì per convincermi a resistere alla tentazione di azzannare La Qualunque, anche il braccio delle infermiere. E' stata la prova più dura per me, lo giuro. Volevo solo essere anestetizzata, per non sentire più il mio stomaco contorcersi dal dolore. Volevo solo farla finita.
Il momento più bello è stato quando una graziosa e indecentemente giovane anestesista mi ha fatto il regalo tanto atteso e sperato: un 'doppio aperitivo della casa' (così ha detto, a me capite? Così ha chiamato la doppia dose di qualche genere di oppiaceo che mi ha fatto endovena. Ma sfondi una porta aperta tesoro mio! L'ho amata subito). E lì è cominciato il vero viaggio. Stavo in braccio a dio, finalmente aveva ascoltato le mie preghiere. Ricordo solo lei che mi dice: - Non sai come ti sto invidiando - Io che la avverto di non farci caso se sparerò qualche stronzata. Poi flash di porzioni di camera operatoria, il tavolo stretto stretto (che ho pensato 'oddio mo casco e mi sparo subito una figura di merda') e un'altra tipa che mi mette un cuscino sotto la testa e mi avvisa che sto per addormentarmi, consigliandomi di pensare a qualcosa di bello. E io ci ho provato giuro, a concentrare il mio unico neurone su questo compito importante, a impartire l'ordine alla mia mente, ma tutto quel che sono riuscita a produrre è stato: 'Devo fare un bel.' Dopo di che il vuoto. totale. Poi voci che ripetono il mio nome, dapprima lontanissime, poi sempre più vicine. Lo sforzo mostruoso per aprire gli occhi, la vista sfocata, i tremori del corpo, i brividi, da tossica allo stadio terminale. Focalizzo una insolita fonte di calore vicino alle mie gambe, che nella vita reale non accade di avere un bocchettone di aria caldissima diretta, in un lettino d'ospedale. Così allungo una mano per svelare l'arcano e tocco un tubo. Capisco che l'aria esce da lì, ce lo hanno messo per scaldarmi, sono quasi commossa. Mi chiedono anche se ho la nausea e mi fanno qualcosa per calmarla. Ogni tanto qualcuno si avvicina a chiedermi come mi sento. Si interessano. Avrei voglia di piangere per tutte queste premure, non fosse che mi sono scordata come si fa e ho tutto addormentato - ghiandole lacrimali comprese - manifesterei la mia gratitudine in qualche forma o maniera. Ma la mia faccia è tutta una smorfia di fastidio, lo capisco dalle loro espressioni. Mi volto e accanto a me c'è una nel lettino che vive il mio stesso momento, no cioè lei sta più male di me. Continua a vomitare. Chiedo di essere riportata in stanza. A tutto c'è un limite e poi mi basto io di spettacolo pietoso. ecco. Il primo viso che ho rivisto è stato il suo. Lui, il suo sorriso. Come descrivere la gioia che ho provato? Poi mio fratello, poi mia cognata, infermierina personale.
E siamo entrati ufficialmente nel Dopo. Ho chiesto a Lui di farmi qualche scatto, volevo rivedermi, volevo sapere la mia faccia, vedere con i miei occhi. E che faccia gente, per decenza e amor proprio ho messo solo ste due, ho ancora una dignità da salvaguardare io. Questa è proprio appena rientrata in cameretta
Questa invece testimonia il momento magico, quello in cui la nausea mortale mi ha lasciata in pace e sono tornata a respirare, sollevata e ho potuto poi anche dormire. L'anestesia, in sinergia con la morfina, mi fa sempre questo dannato effetto, ma fortuna è durato un'oretta, poi solo Pace per Nina. Abbozzo anche un mezzo sorriso, come potete notare. Per me era l'equivalente di una grassa e corposa risata.
La sera sono rimasta sola a guardarmi la mano, nell'impossibilità di cambiare posizione. Solo panciallaria. Aspettavo le 2 di notte, per la mia dose di Toradol e mi ammiravo il ricordino dell'anestesia (e dell'aperitivo spaziale) . Ed è stato forse in quell'esatto momento che ho realizzato: 'E' finita Nina, ce l'hai fatta. E' andato tutto bene'.
9 Agosto. Ho sperimentato cosa vuol dire ritornare ad essere solo Corpo e i suoi Bisogni. Riscoprire la vita come una questione di mera sopravvivenza. Non c'era altro che potesse interessarmi, non c'era Fuori, solo il Dentro. C'ero solo io e il mio Corpo, io e le sue esigenze, nuove eppure antiche e ancestrali. Le Basi, come tornare alle Origini della vita. La ricerca dell' Acqua. Quando mi è stato concesso di bere, dopo oltre un giorno, ho creduto che avrei scolato la bottiglia in un sorso, invece, incredibile a dirsi, ne ho sorseggiata un po' e l'ho rimessa a posto.
Il bisogno smodato di Cibo. Dopo 48 ore di digiuno. Avrei divorato tutto, ma il mio stomaco non era d'accordo. E ancora adesso non si è ripreso. Il lato positivo di tutta la storia è proprio questo: sono dimagrita, mangio pochissimo e al mare farò la mia porca figura in costume. Almeno questo. Eccheccazz.
Riuscire a farmi togliere l'ago sulla mano, una liberazione. Quella che sto spalmando è una pomata che ho chiesto, per gli ematomi da rottura di vena. E anche questa mi è stata prontamente portata. L'ho detto io che mi pareva di essere in un albergo!
Il momento in cui ho riscoperto il sapore della frutta, dopo tutto quel digiuno non saprei spiegare cosa ha significato per me quel sapore dolce, un' estasi dei sensi (mi bastava davvero poco, pensa un po' come stavo!)
10 Agosto. Il giorno della dimissione, guardare su in attesa che finisse per potermene andare via, fuori, a casa mia. Per tre giorni il tempo scandito dalle flebo.
E i primi passi, in direzione opposta di quando ero arrivata, verso la porta, quella grande, quella che dà sul corridoio dove ci sono le poltroncine per i parenti che aspettano. La porta da cui è entrato Lui, il mio cavaliere, venuto a prendermi quella mattina per portarmi via. Il corridoio dove c'è l'ascensore che mi riporterà giù al piano terra, ad aspettare Lui, con la macchina. Camminavo verso la mia libertà, mi sono voltata e ho detto....
Il pomeriggio, il rientro. Quelle sensazioni perse e ritrovate. La mia cuccia, la mia tana, Nina al sicuro. Quasi non mi sembrava vero. Di nuovo io, di nuovo Noi, di nuovo casa. Io e il mio Pancino Meloncino siamo proprio buffi, ironia della sorte sembravo...si, proprio quella cosa lì. Perchè te lo gonfiano loro di Co2, sti infami! Ora va meglio, grazie al carbone vegetale.
Le sue premure per me, che hanno preso molteplici forme. Come cucinare. Io sono quella sul divano, svaccata, si vedono solo le punte dei piedi.
Oppure portarmi delle sorprese, ogni volta che usciva a fare spesa. Come La Succulenta, o meravigliosi portavasi colorati, riempiti di sana, sanissima bontà.
O quando è tornato a casa con la Piantafiore. Rossa, come l'Amore Vero.
Non scorderò mai il mio Primo Vero pranzo, riso integrale e verdurine lesse. Altro che nouvelle cousine per me, basta fare il confronto con l' 'ultima cena' per capire!
E poi le amiche, la loro solida e morbida presenza, come una copertina calda e protettiva, quella di Linus
E per finire la gioia dell'aver riacquistato gran parte delle mie abilità motorie. Tornare a camminare in posizione eretta, come una scimmietta evoluta. Sentirmi sicura abbastanza da decidere di passare una giornata intera fuori casa, all'aperto, con gli amici, in piscina. Non ho potuto fare il bagno, certo, sono rimasta all'ombra, ovvio, non potevo scoprirmi la pancia per via dei cerotti che coprono i punti e così sono rimasta in canottiera e shorts, sicuro, però è stato un Gran Giorno, anzi un'Evento proprio. Da quel momento il peggio è passato.
E ora mi è rimasto l'ultimo ambitissimo traguardo: togliere i punti lunedì. Sarà un po' doloroso, soprattutto quelli nell'ombelico, ma è l'ultima prova dopodiché sarò libera davvero. Ho vinto la mia personale Olimpiade. Nina l'Atleta. Sono orgogliosa di me. Certo ho avuto i miei momenti di sconforto, i miei attacchi di panico che mi hanno portata al pronto soccorso, a cercar di capire cosa stava accadendo (poi tuttapposto), le mie crisi di pianto (e di astinenza! ah ah), le mie insofferenze, i miei sbalzi d'umore improvviso, rabbia e fastidio e strali lanciati ai quattro venti e imprecazioni a tuttisanti come se piovesse. Ma ci sta tutta, la via che porta alla guarigione è lastricata di piccoli e grandi ostacoli, soprattutto è intrisa di schifezze che mi hanno messo dentro e che ci vorrà un po' per smaltirle. Ma qui ce la stiamo mettendo tutta, per recuperare motivazione e forze. Mercoledì si parte intanto, poi vediamo che succede. Andiamo a San Benedetto, in visita al nostro amato Conero, ai Sibillini. Ci diamo il cambio coi suoceri e l'intenzione è anche quella di raccontargli tutto. Almeno così afferma Lui. Sono emozionata, anche un po' tesa all'idea. Auguratemi in bocca al lupo, voi mi portate sempre fortuna.
A presto, buona estate, buone vacanze, a chi mi leggerà. Immagino sarete pochi, ma io ci provo lo stesso.
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