- Di Nuccio Franco
Sale a 41 il bilancio delle vittime della crisi economica dall’inizio del 2012. L’ultimo in ordine di tempo, un disoccupato di 55 anni. E’ successo a Vaiano, nell’opulenta provincia di Prato.
Certo, nulla a che vedere con gli oltre 1700 della vicina Grecia ma è comunque un dato che fa riflettere. Soprattutto se analizzato alla luce degli oltre 670 mila posti di lavoro persi dall’inizio della crisi, a causa della recessione e della “migrazione” di imprese. Sono 3000 i posti di lavoro volatilizzatisi solo nel primo quadrimestre 2012.
Un dramma sociale, insomma, per migliaia di famiglie, spesso monoreddito e sull’orlo dell’indigenza.
E’questa la fotografia di un Paese che mai come in questo momento sembra in ginocchio, incapace di rialzarsi e dove il pensiero strisciante di non farcela è più di una semplice prospettiva.
A dimostrarlo, il fatto che sei italiani su dieci pensano che se dovessero perdere il lavoro non lo ritroverebbero.
Sfiducia, dramma e disperazione, dunque, di chi si sente abbandonato a se stesso, incapace di contare sulle proprie forze e di reagire coltivando una speranza.
Questo stato di cose ha una duplice lettura ed altrettante conseguenze.
Da un lato si assiste all’aumento del conflitto sociale che rischia di dar fuoco ad un pericoloso rigurgito estremistico. E’ accaduto a Genova e a Livorno (due bottiglie molotov contro la sede di Equitalia), a Napoli con manifestazioni di rabbia ed indignazione sfociate in guerriglia urbana,a Termini Imerese con l’occupazione della locale sede Inps.
Dall’altro, si registra una incremento di suicidi,appunto. Gesti disperati, trasversali alla società di chi non ha più nulla, di chi non crede, di chi è stanco di attendere un futuro millantato costretto a sopravvivere. Quasi estrema ratio paradossale di chi, invece, avrebbe preferito vivere.
Un messaggio, un estremo richiamo a quella responsabilità (sociale, politica ed economica) ed equità che sono alla base del vivere civile.
E come ha reagito il sistema politico di fronte a tutto questo?? Con la solita vergognosa baruffa ed un reciproco scambio di accuse, grottesco quanto inutile. Tutti contro tutti ma a pagare, anche in termini di vite, sono sempre i soliti noti, senza riferimenti, senza certezze.
Personalmente, non indulgo facilmente al buonismo di facciata. Ammetto i miei limiti in materia economica, ci mancherebbe. Per quello ci sono i Professori. Tuttavia, il mio pensiero di semplice cittadino mi porta a riflettere con semplice buon senso.
Ritengo che questa crisi, in questi termini, sia figlia legittima di anni nei quali si è vissuto ben al di sopra delle rispettive possibilità. La conseguenza, soprattutto tra la classe media, è che si è creato un indebitamento uscito fuori controllo.
Tuttavia,fino a pochi anni or sono, era inimmaginabile che la gente rovistasse nei cassonetti, che gli impiegati fossero costretti a rivolgersi alle mense Caritas per un pasto caldo. Per non parlare degli imprenditori strozzati dalle banche. Situazione inaccettabile, soprattutto in un Paese che si arroga l’etichetta di civile.
Tutto ciò ha comportato una perdita non solo di fiducia ma di dignità, personale e collettiva. Dalla “normalità” al salto nel buio, il passo è stato breve.
Secondo molti, “ è difficile affermare, a oggi, che vi sia un aumento statisticamente significativo dei suicidi dovuto alla crisi economica e che non vi siano robuste evidenze scientifiche” (cit.Stefano Marchetti, responsabile indagine Istat su suicidi e tentativi di suicidio in Italia,2010).
Altri ci fanno notare che in Paesi come la Germania e la Finlandia, dove pure l’economia tiene, la percentuale di suicidi è maggiore.
Può darsi ma è innegabile che circostanze quali la perdita di un lavoro possano aver scatenato dinamiche inconsce.
Sarebbe un errore, infatti, limitarci a considerare come causa di tali gesti la sola perdita del lavoro in se senza considerare le implicazioni che il sentirsi parte attiva di una società rappresenta per ognuno di noi e ciò che questo comporta. Fiducia, certezza.
Il lavoro è dignità, è sentirsi parte di un sistema cui si apporta il proprio contributo, necessari (anche se non indispensabili) ad esso, ci fa sentire meno soli, ognuno con il proprio ruolo. Esso determina il senso del nostro essere nella società. Si lavora non solo per “campare” ma anche per quella gratificazione personale necessaria ad ognuno.
Quando per una sfortunata circostanza tutto questo viene a mancare, è come se ci si sentisse all’improvviso nudi, disorientati. Vengono a mancare i punti di riferimento di tutta una vita che, all’improvviso, appare senza senso.
Purtroppo,c’è chi non ce la fa a sopportare il peso di sentirsi inutile, la vergogna per colpe non sue;la vita cambia all’improvviso,subentrano un pesante senso di impotenza e stati ansiogeni difficili da controllare. Ci si isola prestando il fianco alla depressione e con essa a tutto il resto.
Di conseguenza, è necessario considerare il lavoro come fattore di equilibrio personale, seppur non esclusivo.
A tale proposito, sorprende che anche alcuni intellettuali reputino che tali suicidi si sarebbero verificati ugualmente,magari per un altro problema e che le ragioni sarebbero da ricercare in un improvviso “deragliamento personale,in un corto circuito emozionale” che annebbia la mente, che il suicidio è una scelta.
Siamo d’accordo,la perdita di un lavoro è certamente un deragliamento da se stessi. Tuttavia, ci sia consentito di pensare che si tratti di una lettura troppo superficiale di una realtà mai come in questo momento assolutamente tragica.
Non si è scelto di perdere se stessi ed il proprio senso nella società, non si è scelto di calpestare la propria dignità ma, soprattutto, non si è scelto di non riuscire più a guardare negli occhi i propri figli perché non si ha la forza di andare avanti, tra vessazioni, tasse e debiti.
Queste morti sono un segno tangibile della deriva di un sistema incapace di far fronte alle emergenze sociali, alle richieste di aiuto dei meno abbienti e che di equo non ha nulla.
Quei morti, quelle famiglie saranno sempre lì a rappresentare il senso più assoluto della nostra collettiva superficialità, specchio della nostra indifferenza. La verità vera è che queste morti le abbiamo tutti sulla coscienza, nessuno escluso. Inutile volgere lo sguardo altrove nell’illusione sia tutto frutto di fatalità!No, non in questo caso. Non servirebbe.