Questo amore vintage

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Uno dei miei grandi sogni è quello di scrivere un romanzo ambientato tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ’70.
Non so… sarà che mitizzo il periodo immediatamente precedente alla mia nascita, ma subisco una fascinazione totale per tutto ciò che arriva da quella stagione.
Chi mi frequenta personalmente sa che sono uso vestire con collettoni e pantaloni a zampa, nel (vano) tentativo di imitare il mio più grande mito intellettuale: il John Holmes di “Jade Pussycat”.
Dunque c’è da scommetterlo: prima o poi riuscirò a trovare il coraggio nel tuffarmi di testa nell’avventura, e costruire una storia che provi a mettere nero su bianco tutto il mio ingiustificato amore per un’epoca che non ho vissuto in prima persona.
Se non l’ho ancora fatto è perché il progetto mi spaventa non poco, proprio a causa dell’amore cieco provato nei confronti di un mondo sconosciuto. Sono abituato a scrivere mettendo in scena gli ambienti a me familiari, a raccontare il mio mondo, magari osservandolo da dietro un paio di lenti colorate e deformanti, ma sempre tenendo la fiction ben ancorata alla mia esperienza diretta.
Niente è più rischioso, suicida e insieme affascinante di amare qualcosa di ignoto, lanciandosi in un inseguimento che ha tutti gli ingredienti della missione impossibile.
Ma tutte le volte che faccio cadere una monetina nel mio juke box 1973 e il clac della molla che fa scattare la selezione sul piatto spargendo per la casa quell’antico odore di vinile, l’odore che una volta era quello della musica; tutte le mattine nelle quali mi infilo in un completo da uno dei mods – pantaloni senza pences, giacche a tre bottoni e camicie bottom-down; tutte le sere in cui mi prende lo schiribizzo folle di tirare fuori il telone e di guardarmi un film scegliendolo tra le mie bobine super 8 sonore anziché tra i perfetti e freddi dvd; tutte le volte in cui insomma sento un’impellente necessità di fingere che gli ultimi 40 anni non siano affatto passati, mi rendo conto che il modo migliore per liberarmi di questa magnifica ossessione sarebbe proprio quello di scriverci un libro su.
Nessuna tesi sociopolitica da sostenere, nessun bisogno di confronto tra l’oggi e lo ieri né tantomeno (come ovvio) nessuna nostalgia.
Solo la voglia di circondarmi di oggetti e storie odorose di cantina, di quasi-muffa, storie buone per essere chiuse dentro una fonovaligia, pagine ideali per essere strappate e messe sui vetri della 2Cavalli quando si fa l’amore in campagna, capitoli brevi perché li si possa leggere al telefono nel tempo che dura il credito di un gettone.
Una romanzo che non debba a tutti costi essere "nuovo" come tanto piace ai critici radical-chic. Un libro che, al contrario, tragga la sua forza attrattiva e il suo sex-appeal proprio nell'essere meravigliosamente vecchio.


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