Qualche anno prima Sylvain Tesson, scrittore e giornalista parigino, grande viaggiatore, era capitato dalle parti del lago Bajkal, un posto difficile da trovare anche su un atlante. Era incappato in alcune singolari figure di eremiti dall'aria sorprendentemente felice. Aveva deciso: prima o poi anche lui avrebbe sperimentato una vita così.
Detto fatto. Nelle foreste siberiane racconta i suoi sei mesi in una capanna tra i boschi e la sponda di un lago a 120 chilometri dal primo centro abitato, dove i vicini si raggiungono con ore e ore di spostamenti in slitta, dove un passo falso fuori dell'uscio può comportare la morte per assideramento in pochi minuti, dove ogni cosa si riduce per forza all'essenziale e per questo si fa forte di una straordinaria bellezza.
Non è un asceta, Sylvain Tesson, anzi, si capisce lontano un miglio che detesta coloro che si ritirano da questo mondo per consegnarsi a un altro che non è di questo pianeta. Se ha fatto questa scelta, è perché questa capanna nel nulla della Siberia gli piace, perché questo nulla in realtà é pieno di cose, perchè il piacere della vita si può raggiungere per sottrazione: e a volte è la via più diritta.
E c'è vodka, in questa storia, ci sono libri, ci sono anche numerosi incontri con quella pazza umanità che riesce a popolare questi posti. Ci sono tante cose che alla fine si prova qualcosa di molto simile all'invidia per Sylvain Tesson. E per dire, gli si riesce perfino a perdonare qualche giudizio tipico di un parigino con aria molto intellettuale, e che magari non sopporteremmo in un bistrot sotto l'Eiffel, ma qui, però....