Casini, Follini e Franceschini a un comizio di Mariano Rumor nei primi anni ’70… e sono sempre lì
Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ci si sono messi in 15 per dare le dimissioni definitive dalla politica e dalle funzioni di rappresentanza dei partiti e di decisione del parlamento. Tanto che per rivolgersi al loro partito e ai suoi iscritti hanno scritto all’autorevole quotidiano, come affidando i loro auspici alla posta del cuore: “considerato che la fase di crisi e di difficoltà non si concluderà in tempi brevi e che i processi virtuosi avviati (pensiamo solo allo spostamento di prelievo dai redditi di lavoro ai patrimoni) daranno i loro frutti solo attraverso un’azione di governo pluriennale, noi intendiamo promuovere nel Pd una trasparente discussione sulle strade che vanno intraprese perché obiettivi e principi ispiratori dell’agenda del governo Monti – collocati dentro un disegno almeno decennale di cambiamento del Paese – possano travalicare i limiti temporali di questa legislatura e permeare di sé anche la prossima”.
In calce all’accorata ma fiduciosa raccomandazione solo alcune delle firme dei 15: Alessandro Maran, Antonello Cabras, Claudia Mancina, Enrico Morando, Giorgio Tonini, Magda Negri, Marco Follini e l’immancabile Ichino, il licenziato eccellente colpito dall’indesiderato ricambio della classe dirigente, tutti convinti che “debba essere in primo luogo il Pd – quale partito asse dello schieramento riformatore – a rendere credibile questo proposito, che corrisponde alle aspettative della maggioranza degli italiani”.
Alcuni di loro per una non sorprendente coincidenza erano tra i sottoscrittori di un’altra lettera, quella invece affidata al Foglio, che chiedeva al Pd di non appoggiare il candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi, preferendogli il centrista François Bayrou, che dimostrava a loro dire “di avere più determinazione e più tenuta nella difesa della politica d’integrazione europea”.
Per una volta voglio essere indulgente e dare una interpretazione benevola: facciamo finta che non si tratti di appartenenti a un ceto separato e distante da noi, aggrappati allo status quo per miserabili ragioni di sopravvivenza, incardinati in un sistema mediocre di sottopotere che non è nemmeno più sottogoverno. Facciamo finta che non vogliano restare aggrappati a un contesto di cancellerie e di potentati finanziari come Gastone che porta il guanto penzolone sperando di essere ammesso ai loro salotti buoni. Facciamo finta che credano davvero alla vocazione penitenziale e alla missione salvifica del governo Monti e alla rinuncia a garanzie e diritti come soluzione inevitabile, fino a diventare desiderabile, come redenzione e come riparo dalla tempesta.
Ma lo credo allora che abbiano paura delle preferenze con queste referenze. Ma se davvero hanno subito una conversione, una illuminazione delle magnifiche sorti e progressive della teologia del mercato, allora si accomodino nelle pieghe morbide e accondiscendenti del neo liberismo che ai più fedeli consolida i privilegi e le sicurezze che toglie a noi. Allora non oltraggino il socialismo chiamando riforme azioni ispirate all’iniquità e destinate a incrementare le disuguaglianze, condannando noi alla miseria e le generazioni future alla disperazione. Allora si dimettano dal loro partito e dal loro mandato di rappresentanza, perché se l’hanno rimosso delegandolo a nominati nel disprezzo delle regole e del dettato costituzionale, oggi dimostrano di volersi consegnare e consegnarci all’economia in sostituzione della politica, alle leggi di mercato in sostituzione di quelle della democrazia, alla devozione ai poteri finanziari in sostituzione della lealtà nei confronti dello Stato e degli elettori, tanto che siamo il Paese che con più solerzia ha accondisceso con il pareggio di bilancio in Costituzione, alla rinuncia alla sovranità in materia economica e sociale. In nome di un’Europa, crudele espressione geografica che ci ha già mostrato cosa intende fare di noi grazie al trailer dell’horror greco, modello trasportabile di azzeramento della sovranità e della democrazia reale.
La crisi divampata ma non certo a sorpresa nel 2007-2008, le cui terrificanti ricadute sul tessuto economico, sociale e politico sono ora dispiegate in tutta la loro potenza distruttrice ha annichilito quel che restava della “sinistra” riformista, spiazzata, impreparata, afona, ridotta all’insignificanza teorica e organizzativa. Finita a interpretare il pallido spettro di quel che resta delle ubriacature post-moderniste, completamente annessa a quel pragmatismo che nega la possibilità di immaginare un’alternativa come fosse una ingenua utopia, quando non addirittura fautrice – coscientemente ormai come i 15 – dell’ideologia (neo)liberale. E convinti della ineluttabilità delle perversioni e delle aberrazioni di questo capitalismo asfittico, fiduciosi che prodigiosamente qualcuno venga a calmierarlo, temperarlo, placarne la rapacità fino a ridistribuirne i suoi benefici effetti anche tra noi. Quel qualcuno non è Monti, quel qualcuno non esiste, non sono mai stati in grado di farlo gli stati, oggi resi ancora più impotenti.
Dovrebbero provarci i popoli oggi vicini ad essere ridotti in sempre nuove servitù. E dobbiamo provarci ritrovandoci sotto quella stella polare che mostra la strada e illumina la potenza di forze antiche, quella della politica, della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia.