Sistemandomi meglio gli occhiali e scrutando la persona che stava avanzando verso di me con fare minaccioso e sospettoso, misi a fuoco che era una donna, sulla settantina, con una cuffietta bianca e verde in testa, ricamata con gli spaghetti, indossava un grembiule di panna e zucchero, annodato dietro al suo enorme. sedere, guanti di gelatina, ai piedi scarpe a forma di zucchine verdi. Per finire ai lati della bocca, un paio di baffi celesti le incorniciavano il viso. Ah! Che sbadata! Dimenticavo che indossava anche gli occhiali e con mia enorme invidia, erano molto più belli dei miei: erano a forma di farfalla e ogni tanto sbattevano anche le ali! Ella mi invitò ad alzarmi dalla sua poltrona preferita, mi chiese immediatamente chi mi aveva fatto entrare, come mi chiamavo e qual’era lo scopo della mia sgradita visita. Dopo il solito rituale di risposte che cercai di dare a questa signora con gentilezza e pazienza, doti per me un poco inusuali, ella per ogni risposta ricevuta, muoveva baffi e bocca in sincronia, scuotendo di continuo la testa in segno di diniego assoluto. Era palesemente disgustata dalla mia presenza e dalle mie parole e mi precisò con voce maschile che era la governante principale di Villa Patatona, nonché cuoca ufficiale, nonché tata di Fulmine, nonché responsabile e custode di quel misterioso armadio visto poche ore prima. Il suo nome era Brunildina e di cognome faceva Cicciolini, non avrei mai dovuto scordarmelo, mi chiese anche se oltre al nome di Battesimo potevo aggiungere la parola Tata. Le promisi che avrei fatto del mio meglio per ricordare la sua richiesta, ma data l’età che avevo che era di tutto rispetto, non potevo garantirle di chiamarla sempre per esteso cioè, Tata Brunildina. Si dimostrò molto arrabbiata e sentendosi da me offesa, diede un pugno al cesto di fragole così forte che gli occhiali le volarono via, ed il grembiule si slacciò finendo sul mio muso e come al solito caddi per terra. Dal momento che il pavimento era stato lucidato con la cera d’api, scivolai fuori alla velocità di un razzo, ritrovandomi appesa su un albero con il grembiule attaccato alla coda.