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di Matteo – Quinto Orazio Flacco nasce nel 65 a.c. a Venosa, tra Puglia e Lucania, da una famiglia di umili orogini. Grazie ai sacrifici del padre liberto Orazio può essere educato a Roma e recarsi nel 44 ad Atene per completare gli studi. Poco dopo essersi arruolato a fianco dei cesaricidi, convinto di poter difendere la res publica, abbandona nel 42 la carriera militare. Solo grazie ad un’amnistia può tornare a Roma, andando a lavorare come contabile questoriano (ogni partecipazione politica è ormai preclusa).
Nel 38 Virgilio presenta il giovane a Mecenate e tra i due nasce una profonda e sincera amicizia: Orazio entra così nel circolo augusteo. Tuttavia l’artista riusce a mantenere sempre la propria indipendenza, rifiutando addirittura l’”invito” di Ottaviano a divenire proprio segretario privato; egli infatti predilige la vita appartata, fuori dalla vita sociale.
Muore nell’8 a.c. .
Il Pensiero
Orazio si pone il problema della condizione universale dell’uomo, dirigendo però la propria indagine nell’introspezione ed escludendo ogni possibile risposta religiosa o che comunque fosse estranea al piano strettamente umano.
Egli dedica la sua vita alla ricerca di uno stato di consapevolezza in grado di fargli seuperare le negatività dell’esistenza ed in particolare il senso di inadeguatezza, di angoscia, di accidiosa insoddisfazione (strenua inertia): la soluzione sta nell’adattarsi alle situazioni, senza raggirarle o cercare di cambiarle.
Vivere bene significa non rinunciare alle piccolezza della vita, alle gioie e ai dolori, cercando in ogni modo di vivere ogni giorno nella sua pienezza, al massimo delle sue possibilità; carpe diemsta appunto a significare questo, non aspettare che la vita ci passi davanti per poi renderci conto della sua importanza solo una volta persa, ma viverla intensamente in ogni attimo, strappando momenti di esistenza al tempo che scorre inesorabilmente: non bisogna confidare in un futuro migliore poichè non si può sapere cosa esso abbia in serbo per noi.
Tuttavia secondo Orazio è indispensabile mantenere il dominio delle proprie passioni, ricordando sempre di seguire l’aurea mediocritas, il giusto mezzo, evitando di eccedere nei piaceri; per fare ciò è bene dunque rimanere sempre distaccati dalla realtà che si vive, mantenendo in ogni circostanza una sorta di bonaria e serena ironia, unico mezzo per vivere in uno stato di profonda atarassia con aequa mens (animo imperturbabile), rimanere cioè nella consapevolezza che ogni passione, pur non dovendo essere evitata, non deve travolgerci, non deve in un certo senso coinvolgerci emotivamente in profondità.
Questo porta a pensare che in Orazio non siano presenti quindi vere emozioni, sinceramente vissute, poichè sempre vissute tramite il filtro dell’ironia. In realtà quella del poeta non è apatia, quindi le passioni sono presenti nelle sue opere ma considerate dall’alto dell’esperienza di Orazio come incapaci di sconvolgere l’animo: esse sono come sbiadite, purificate, sono come dei ricordi di emozioni vissute che per questo non hanno più alcuna forza travolgente.
Gli Epodi (42-41 a.c.)
Argomento.
Orazio si riferisce a tali composizioni con il termine “Iambi“, rivelando così i modelli a cui si ispira per la stesura della sua giovanile produzione, decisamente lontana dall’immagine letteraria che tradizionalmente si ha di Orazio.
I 17 componimenti trattano i seguenti argomenti tra loro piuttosto differenti e vari:
- Propempticon (carme di accompagnamento a chi parte) dedicato a Mecenate in partenza per Azio.
- Scherzo rivolto ancora a Mecenate, costretto a mangiare una cena con abbondanza di aglio.
- Scherzo.
- Invettiva.
- Poesia di argomento magico.
- Composizione programmatica sul genere giambico.
- Poesia di contenuto politico.
- Invettiva.
- Poesia di contenuto politico.
- Invettiva ad personam contro un poeta (l’unica di questo genere).
- Poesia erotica.
- Invettiva.
- Carme simposiaco.
- Poesia erotica.
- Poesia erotica.
- Poesia di contenuto politico.
- Poesia di argomento magico.
Degne di considerazione sono le idee politiche che possono essere evinte dagli Epodi soprattutto considerando il periodo storico in cui Orazio scrive (tra gli anni della militanza fra le truppe dei cesaricidi, gli anni delle proscrizioni e il dopo Azio): l’autore nutre un profondo pessimismo sulle sorti di Roma, macchiata dalla colpa originale del fratricidio che ora sta scontando con le guerre civili (epodo VII).
L’unica soluzione è vista nella fuga dal suolo romano macchiato da tale peccato atavico, altrimenti la fine sarà segnata per mano delle devastazioni barbare (epodo XVI).
Il catastrofismo iniziale della produzione precedente all’incontro con Mecenate ed Ottaviano è contraddetto dall’ ottimismo dell’epodo IX, scritto dopo la battaglia di Azio e quindi fiducioso nel programma del princeps.
Modelli.
Come già accennato il termine giambi rimanda alla tradizione lirica arcaica dei greci Archiloco ed Ipponatte di cui Orazio riprende lo spirito passionale e aggressivo, lo stile dell’invettiva. Tuttavia Egli stesso afferma di non voler affatto imitare gli argomenti trattati ma di fare riferimento alle proprie esperienze personali e civili, escludendo inoltre i violenti attacchi ad personam politici caratteristici dei lirici greci.
Certamente accomuna Orazio ad Archiloco il motivo della scelta di un genere così perticolare, cioè il fatto che ben si adattava a trasmettere i giovanili sentimenti e le forti passioni suscitata dal disagio morale e dall’instabilità politica del momento; tuttavia numerosi sono i punti di distacco tra i due, a cominciare dall’ambiente di formazione (umile e povero per i latino ma aristocratico per il greco), dal livello di partecipazione politico-civile (pressochè nullo per il primo che opta per attacchi contro personaggi spesso fittizi, assai forte per il secondo col le sue invettive ad personam), dall’attualità dei contenuti (in Orazio sono gli stessi argomenti ad esigere un piano meramente letterario, irreale).
Senza dubbio Orazio si ispira anche alla tradizione giambica ellenistica, soprattutto per quanto riguarda la “poikilìa“, cioè la varietà degli argomenti trattati.
Stile
Un linguaggio eccessivo, multiforme ed enfatico caratterizza il giovane poeta, uno stile perfettamente idoneo al genere giambico che accosta momenti di alta poesia dove non mancano figure retoriche a momenti in cui vengono toccati i livelli più bassi del parlato, con termini crudi e colloquiali. Nella sua prima produzione Orazio ricerca il virtuosismo e la commistione di registri.
Le Satire
Argomenti.
La satura, chiamata da Orazio SERMO, è un genere già ampiamente impiegato da Lucilio il quale utilizzava lo stesso nome per identificarle (Sermones significa conversazioni alla buona, quasi scherzi).
Orazio compone il I libro di Sermones (10 satire) nel 35 a.c., un II libro (8 componimenti) nel 30.
1 libro—Bastino gli argomenti del I libro a provare la consueta varietà oraziana:
- La felicità.
- Il sesso.
- La tolleranza.
- Satira programmatica di poetica personale.
- Iter Brindisinum: racconto di viaggio.
- Riflessione sulle proprie umili origini e sui rapporti con Mecenate.
- Rievocazione di un comico processo realmente svoltosi.
- Scena notturna di stregoneria a carattere grottesco ed erotico.
- Satira umoristica del Seccatore.
- Satira programmatica di poetica personale.
I Sermones di Orazio possono essere suddivise in due categorie: narrative e descrittive, raccontano un episodio; discorsive, trattano un momento di riflessione e argomentazione filosofica.
II libro—Nel II libro delle satire l’ambientazione preferita del poeta è la campagna con il suo isolamento, contrariamente agli scenari cittadini del I: la voce di Orazio è meno evidente lasciando meno spazio all’autobiografia.
Nella Satira VI viene narrata l’ormai famosa favola del topo di campagna e del topo di città, nellaSatira VII vi è un autoritratto negativo e profondamente autoironico per bocca del servo Davo.
Tematiche.
I libro—L’intento di Orazio è quello di condurre il suo pubblico (ma principalmente se stesso) verso un percorso di saggezza e quindi felicità attraverso la bonaria rappresentazione dei difetti degli uomini e seguendo due principi basilari: autàrkeia e metriòtes.
Autàrkeia in greco significa autosufficienza dell’individuo, la Metriòtes è invece la giusta misura, la moderazione; saggio e felice è colui che si accontenta di ciò che possiede senza cercare gli eccessi, secondo la massima oraziana: est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum (c’è una giusta misura nelle cose, ci sono confini precise al di qua o al di là dei quali non può esserci giusto). Per il poeta l’uomo infelice è invece l’uomo ignorante che non riesce a vivere in pace con se stesso.
II libro—Nel II libro Orazio sembra perdere fiducia nelle capacità dedascaliche delle satire preferendo chiudersi nella sfera privata, prediligendo dunque la campagna alla città (favola dei topi). Emerge in tutta la sua negatività, non riuscendo in alcun modo a sfuggirle, l’insania inertia, il senso tedioso ed accidioso di costante insoddisfazione della propria condizione e del modo di rapportarsi con l’esterno (satira VII: “A Roma desideri la campagna, quando sei in campagna porti alle stelle la città”).
Modelli e Stile.
Orazio riconosce come inventor del genere satirico Lucilio, ammirandolo per il carattere autobiografico e l’attenta osservazione dei costumi ma al tempo stesso criticandolo per il suo spirito eccessivamente aggressivo; infatti si è già detto di come il poeta rinunci quasi totalmente agli attacchi ad personam, differenziondosi quindi da Lucilio. Quest’ulitmo, vivendo negli anni liberi della repubblica, poteva incidere sulla vita civile con le proprie aspre polemiche, colpendo direttamente i viziosi, indifferentemente dal fatto che essi siano importanti politici; si è soliti dire che l’intento di Orazio non sia di trattare esempi di corruzione, bensì il vizio e la corruzione in sè, giustificando così l’assenza di attacchi a persone ben precise, decisamente sconvenienti nel clima autoritario instaurato dal programma di Augusto.
Di Lucilio Orazio disapprova anche lo stile “fangoso”, sovrabbondante, la cui rapidità ricorda un fiume in piena e non si sposa affatto bene con il principio del meticoloso labor limae, ripreso e perfezionato nelle opere successive. Orazio sembra aver abbandonato lo stile eccessivo della produzione giovanile ed essersi avviato col tono medio delle satire sulla strada che lo porterà alla “perfezione classica” raggiunta nelle opere della maturità.
Le Odi
Argomenti e Tematiche.
Dopo il 30 a.c. Orazio si dedicò alla composizione dei “Carmina” (Odi), piena espressione dell’arte oraziana.
Esse sono organizzate in modo da alternare nelle 103 odi argomenti di carattere privato ad altri di carattere civile.
I- Nei CARMI PRIVATI vengono affrontate tutte le tematiche proprie del pensiero del poeta: l’autàrkeia, l’aurea mediocritas (metriotes), l’aequa mens.
Famosa è l’ode “Carpe diem”, dove il sentimento del tempo che fugge tormenta l’animo del poeta che invita a cogliere ogni attimo della propria vita, letteralmente a carpirlo (carpere); questo è l’unico modo per reagire alla fugacità della vita, all’infido tempo che ci porta allamorte rapendo la nostra esistenza.
Secondo Orazio solo un luogo protetto ed appartato può garantirci quella sicurezza necessaria a perseguire la felicità: un “angulus” che spesso si identifica con un paesaggio rustico dell’Italia le cui caratteristiche ricordano il locus amoenus, un idillio. Per questo si tende a considerare tale luogo come la ricerca di un rifugio interiore, uno stato di solitudine distaccato dalla vita reale: solo in questo modo è infatti possibile dominare le proprie passioni.
Non esistono quindi emozioni intense e devastanti: anche l’amore è considerato solamente un gioco, lontano dalla tormentosa esperienza dei neoteroi; l’amore deve essere razionalmente controllato per non caderne vittima essendone assoggettati. L’eros deve essere considerato come una delle tante piccole gioie della vita che si devono “carpire”, strappare, sottrarre al tempo, senza però elevarle a passioni struggenti: permane dunque il velo di ironia tipicamente oraziano.
Alcuni carmi affrontano la tematica religiosa sebbene Orazio non cercò mai risposte nella sfera divina: spesso quindi i nomi degli dei sono usati unicamente per designare fenomeni naturali.
Di connotazioni religiose è invece investita la poesia e la figura del poeta inteso come vates, ispirato cioè da forze divine e per questo capace di fare della poesia uno strumento di immortalità, sconfiggendo il tempo e la morte.
II- Tra i CARMI DI CARATTERE CIVILE spiccano le “odi romane” in cui vengono celebrati i tipici valori della romanità e gli antichi mores che Augusto in quel periodo stava cercando di restaurare col suo programma di propaganda.
L’intento di Orazio era quello di legare il suo concetto di homo saggio, capace cioè di perseguire la felicità seguendo i principi adatti, can la figura tradizionale del civis Romanus, doverosamente rispettoso dell’etica romana.
Nella odi romane prende forma l’idea di poeta vates che Orazio mette al servizio della nazione.
Modelli e Stile
Per la composizione delle odi Orazio si ispira alla lirica arcaica greca di Alceo e Pindaro, il primo viene preso come modello peri i carmi di stile tenue, l’altro per quelli di tono più elevato, impersonando per Orazio la figura del poeta vates.
Orazio rappresenta per antonomasia nella sua produzione ormai matura il modello stilistico delclassicismo augusteo, in tutti i suoi principi.
Tipicamente oraziana è invece la tecnica della callida iunctura, cioè la risemantizzazione dei vocaboli di usa comune al fine di creare particolari combinazioni espressive; tale abilità sarà descritta nell’ “Ars poetica“.
Nelle Odi è evidente come il letterato sia interessato alla forza incisiva del vocabolo capace di lasciare il segno nella memoria con l’evocazione di intense immagini, trascurando invece le figure retoriche di suono.
Le Epistole
Argomenti.
La prima raccolta di Epistole a cui Orazio estende pure il termine di “Sermones” è stata composta tra il 30 e il 23 a.c. (I libro), la seconda dopo il 20 (II libro).
I libro. Il principio di variatio delle materie trattate è in effetti simile alle satire, si passa dagli sfoghi personali e dalle riflessioni filosofiche a inviti a pranzo, tuttavia differente è lo spirito con cui Orazio affronta tali temi: “no, non è più quel tempo, non è più quello spirito”, “così ora lascio i versi con tutti i giocosi diletti del vivere: la verità e la bellezza dell’animo sono tutto il mio pensiero e il mio desiderio”, scrive egli stesso.
Il tono si fa più intimo, i momenti di riflessione filosofica e morale sostituiscono totalmente quelli satirici ed aggressivi (presenti frequentemente nelle satire); gli stessi interlocutori si fanno silenziosi diventando semplici ascoltatori.
Il poeta sente avvicinarsi la vecchiaia, per questo preferisce dedicarsi con maggiore impegno all’introspezione al fine di dedicarsi interamente alla ricerca della tanto agognata felicità, cioè l’equilibrio interiore.
Lo scenario di fondo delle epistole è la campagna, contrariamente alla tradizione che voleva la satira ambientata in città, vicina alle vittime dei suoi mordaci attacchi; la novità si giustifica con l’usuale esigenza di Orazio di un luogo appartato, isolato, vieppiù ora che il suo spirito sta diventando sempre più inquieto, insoddisfatto.
Questa sorta di “spleen” costringe il poeta a peregrinare alla ricerca di un “ubi consistam”, un “centro di gravità permanente” che però può essere trovato solamente in sè stessi. La “strenua inertia” (espressione utilizzata dall’autore stesso nelle epistole), la tenace inerzia, opprime sempre più l’animo di Orazio.
II libro. Con la seconda raccolta vengono trattati argomenti più attuali.
Nell’Epistola ad Augusto Orazio manifesta la propria indipendenza di pensiero criticando l’intento di Ottaviano di risollevare la produzione teatrale, da tempo in crisi per l’assenza di validi artisti in questo campo. Per il princeps il teatro sarebbe stato uno degli strumenti più idonei per la sua propaganda, tuttavia riconoseva il basso livello degli autori moderni, soprattutto se paragonati ai grandi del passato.
Orazio non solo critica questi ultimi giudicandoli anacronistici, ma difende anche gli autori contemporanei e manifesta grande scetticismo nei confronti di un “risorgimento” teatrale: il pubblico non avrebbe di certo apprezzato la poesia drammatica dato il suo basso livello culturale.
L’Epistola ai Pisoni, nota come Ars poetica, è un trattato di poetica diviso in tre parti: PÒIESIS, riguardante il contenuto ovvero la materia trattata da un’opera; PÒIEMA, concernente la forma e lo stile; POIETÈS, che descrive le caratteristiche del poeta ideale.
Nell’Ars poetica la poesia, destinata ad un pubblico colto, deve unire l’utile (principi etici) al dilettevole ed è definita come un esercizio dello spirito: essa necessita infatti di una vasta istruzione di base e delle nobili e tradizionali virtù (che si identificano con quelle riproposte dalla propaganda augustea). Il poeta deve essere in grado di conciliare INGENIUM, cioè il talento naturale, con ARS, intesa come abilità appresa con lo studio: entrambe le caratteristiche sono essenziali ma esigono un perfetto equilibrio.
Vengono inoltre descritte le tecniche formali del labor limae e della callida iunctura.
Il Carmen Saeculare
I ludi indetti da Augusto nel 17 a.c. si conclusero con una solenne processione intonante unCarmen Saeculare prima sul Palatino, poi sul Campidoglio. La composizione del carmen fu affidata ad Orazio, il massimo poeta allora vivente. Nel clima di restaurazione morale e culturalevoluto da Augusto, i poeti dovevano recuperare la loro funzione sacra e civile, tornare ad operare con i loro versi per il bene della res publica.
Orazio organizza la materia, sicuramente già prefissata nei particolari e nei contenuti, in due parti comprendenti ciascuna tre sezioni e seguite da un breve epilogo. Il numero tre rispetta la scansione liturgica dei ludi, che ebbero una durata di tre giorni e tre notti. La prima parte del carme è un’invocazione agli dèi perché concedano a Roma grandezza e prosperità; nellaseconda vengono esaltati i fondamenti morali e politici del popolo romano, che con le sue virtù e con l’assistenza degli dèi ha potuto pacificare il mondo intero. Nella strofa conclusiva interviene in prima persona il coro dei fanciulli, che si dice certo del favore che gli dèi continueranno a riservare a Roma.
Una comunità-stato, nel mondo antico, si fondava giuridicamente su un rapporto di coabitazione fra uomini e divinità: gli dèi abitano la città degli uomini, assicurando loro protezione in cambio di sacrifici e onori. La potenza, la prosperità e l’eternità di Roma dipendono dunque dalla pietas dei suoi cittadini. Il Carmen Saeculare è innanzitutto il testo religioso di una comunità che si riunisce ciclicamente, ogni secolo, per chiedere agli dèi di rinnovare il loro patto, e affida al suo poeta più rappresentativo questo compito.
Ma il carme oraziano ha anche un preciso significato politico: il nuovo saeculum si apre fatti nel segno di una nuova età dell’oro caratterizzata dal ritorno delle antiche virtù romane, dal trionfo della pace nel mondo e da un grande momento di pubblica prosperità. Protagonista di questa miracolosa rinascita è Ottaviano Augusto, celebrato grazie all’associazione della sua famiglia con le divinità palatine e di cui si lodano ai la pietas verso gli dei, il valore in guerra, la clemenza nella pace.
Il ricordo della saga troiana e dell’ approdo di Enea alle foci del Tevere dà una conferma sacrale all’impresa di Augusto, riconducendo la storia contemporanea al suo fondamento mitico: lo stesso accadeva nell’ Eneide, il poema di Virgilio pubblicato solo due anni prima e al quale certamente Orazio deve aver pensato in numerosi passi del suo carme.
Evidenti sono i riferimenti alla campagna moralizzatrice del princeps e alle sue leggi sui matrimoni e sui figli, votate da pochissimi mesi, rafforzando nel lettore ascoltatore l’idea che il rinnovamento sociale e religioso del mondo romano fosse tuttora in corso.
Com’era necessario in un carme di natura civile e religiosa, Orazio scandisce i suoi versi secondo un ideale di classica compostezza e di grave solennità, dove l’equilibrio formale deve rapportarsi questa volta con la necessità di uno stile alto ed ispirato.