Il bluff eclatante delle quote che porta solo ad una ulteriore denigrazione delle donne, vittimizzate e trattate come incapaci
di Pierfrancesco Argentieri
Negli ultimi mesi è un gran vociferare di Quote rosa, sia nelle personali riflessioni degli utenti dei social sia in quelle dei così detti esperti “autorevoli” su gli organi di informazione.
Per chi non lo sapesse queste quote nascono come tutela della parità dei sessi ed obbligano per legge vari settori amministrativi, sia pubblici che privati, ad avere una presenza di donne-uomini al 50%-50% . Un esempio pratico? Le vicine elezioni europee. Tutti i partiti che si presenteranno al seggio dovranno indicare all’interno delle proprie liste un numero paritario di uomini e donne, pena esclusione della lista stessa.
Il motivo è presto detto: agendo in questa maniera le donne vengono considerate, senza andare troppo per il sottile, incapaci di raggiungere gli obiettivi nello stesso modo dei colleghi maschi e che quindi, soffrendo di questa presunta mancanza, debbano essere tutelate con provvedimenti tesi a dare quella spinta in più che per natura le donne non hanno. Roba da pazzi.
In questi termini inoltre ci sarebbe l’impossibilità di avere un domani una lista pronta a presentare l’ 80 % di donne (ad esempio) dato che le quote stesse le bloccherebbero al 50% del totale. E questa sarebbe parità? E se un CdA volesse comporsi di 7 donne su 10 partecipanti perchè non potrebbe farlo? Se in una qualunque situazione, le donne competenti fossero maggiori degli uomini questa legge ne limiterebbe la presenza. Non solo: immaginiamo che il buonismo cieco che ha partorito queste quote domani abbia un ulteriore evoluzione, andando ad indicare in ogni ambito percentuali di rappresentanza per ogni tipologia di differenziazione della popolazione.
Quote in base al credo religioso, quote in base all’etnia di appartenenza,quote per i diversi orientamenti sessuali e così via. Si avrebbe un fallimento della meritocrazia che non potrebbe esprimersi poichè strozzata dalle varie imposizioni. In questo scenario questa compulsiva ricerca della parità impedirebbe al singolo di esprimersi al meglio visto che si punterebbe più ad un patetico melting pot forzato dalla legislazione e difficilmente si avrebbe una propria evoluzione sociale o un proprio accrescimento personale, salvo essere in possesso dei vari “prerequisiti” richiesti per far parte di una delle varie quote di minoranza. Una dittatura del volemosebbene, fatta di girotondi e stucchevoli progetti che nel pragmatico sarebbe vuota e priva di prodotti.
Le diversità sono fondamentali, dovrebbero essere coltivate e rese libere di esprimersi, non sottoposte a paletti legali che determinino le loro evoluzioni e che comporterebbero soltanto un appiattimento totale. Una legge boomerang, una manovra politica che punta al consenso popolare ma che in realtà è mal disposta e già si sta rivelando fallace ed autolesionista. Un esempio fresco fresco: il Governo ha nominato tre Presidenti di Azienda di imprese a forte partecipazione statale: Emma Marcegaglia (ENI), Luisa Todini (Poste Italiane) e Patrizia Grieco (ENEL).
Un bluff eclatante dato che in suddette aziende la carica di Presidente è solo di contorno mentre gli incarichi più importanti e operativi vengono svolti dall’Amministratore Delegato che in tutti e tre i casi sono occupati da uomini. Insomma, nonostante il gran vociare e la bagarre che ne è nata attorno, queste quote porterebbero solo una ulteriore denigrazione delle donne, vittimizzate e trattate come incapaci, come se avessero chissà quale handicap che impedirebbe loro di ottenere da sole il raggiungimento dei propri obiettivi. Il quotidiano invece ci insegna che in questo contesto sono ben più determinate dei maschietti. Il sessissmo (che esiste, e se qualcuno lo nega farebbe meglio a svegliarsi) va combattuto da un punto di vista culturale, filologico e formativo, se vogliamo avere un ritorno reale nel pratico.tutte le foto sono di Patrick Nagel