Magazine Diario personale
STOP!
Quest’anno l’avremmo vinta, la gara dei castelli di sabbia. Io e gli altri bambini della banda dell’Oasi ne eravamo sicuri. Perché non solo si lavorava con lena e passione e fantasia al nostro meraviglioso castello, ma nel frattempo a turno si pattugliava. Si spiava. Si controllava cosa combinavano gli altri. E la concorrenza stavolta era scarsa. Molto scarsa. Meno di scarsa. Inesistente e penosa. Mancavano ormai pochi minuti, e mentre noi ci si dava dentro coi ritocchi finali – impreziosire le merlature, ricavare finestrelle nelle torri, creare boschetti di alghe – tutti gli altri poveri stronzi non potevano far altro che mettersi il cuore in pace. Avremmo vinto noi.
La concorrenza si divideva grosso modo in due tipologie di perdenti: i bambinetti incapaci che s’erano fatti aiutare da adulti sleali armati di badili e cazzuole, e i bambinetti incapaci che con paletta e secchiello avevano tirato su quattro patetiche torri e mura cadenti. I primi sarebbero stati squalificati, i secondi avrebbero vinto i premi di consolazione. Ma un castello grande e ben fatto come il nostro su questa spiaggia non lo avevano visto mai. Era così alto che ti ci potevi sedere all’ombra. Tutta la gente che passeggiava lungo la battigia tra le conchiglie e i granchiolini si fermava per ammirarlo, e addirittura un vecchietto chiese se era opera “dello scultore”, quel tipo misterioso che a volte fa i dinosauri o i coccodrilli giganti di sabbia e poi chiede un’offerta di soldi o cibarie. Invece l’avevamo fatto noi. I ragazzini della banda dell’Oasi. I vincitori sicuri della gara dei castelli. Eravamo stremati e sudati e fieri. C’eravamo dimenticati di mangiare e di bere, e le mamme preoccupatissime rompevano il cazzo. Neanche le ascoltavamo.
Mettemmo una bandierina sul torrione più alto e pattugliammo per l’ultima volta. Un solo castello quasi bello come il nostro, ma già ufficialmente squalificato. L’aveva fatto un ex capomastro di sessant’anni. Bella forza. All’estrema sinistra, verso Cesenatico, c’erano quelli più patetici, quelli dei bimbi piccoli. Neanche valeva la pena di buttarci un’occhiata. Andammo lo stesso in fondo, fino all’ultimo, perché c’era qualcosa che c’incuriosiva, che non quadrava. Era il castello più brutto di tutti. Strano, perché ci stavano attorno ragazzi grandicelli. Improvvisato in fretta e furia. Due torri e un muricciolo mezzi decrepiti, sabbia troppo asciutta, e soldatini sparpagliati a terra alla rinfusa. Soldatini sdraiati. Tutti morti. Soldatini e animaletti di plastica. Soldatini morti e cavalli morti e mucche morte giraffe morte galline morte. E davanti un cartoncino. Un cartoncino con una scritta in stampatello. La scritta diceva: STOP ALLA GUERRA IN BOSNIA. Capito, i furbiciattoli. Gli stronzetti opportunisti. I leccaculo del mondo dei grandi. Incapaci o troppo pigri per fare un castello, avevano puntato sul messaggio da libro cuore, sul colpo basso allo stomaco. Per rubarci il nostro premio. Che inseguivamo da anni. Ma quella era la gara dei castelli, mica del (finto) impegno umanitario dei furbetti. Vedere quella roba mi fece incazzare, ma non mi preoccupai. Il loro trucchetto non avrebbe pagato. La loro furbizia sarebbe stata sputtanata. Quella era la gara dei castelli di sabbia, cazzo. Cosa c’entrava la guerra in Bosnia? Neppure a noi ci piaceva la guerra. Però sapevamo fare i castelli di sabbia. E avevamo faticato tutto il giorno per fare il più grande e il più bello di sempre. Li avrei presi a calci nel culo quegli stronzetti del cazzo. Costruisci il castello più bello e vinci lealmente, e poi glielo dedichi dopo, il premio, ai bambini della Bosnia che soffrono. Così si fa. Semmai.
Ci fu una pausa, poi alle cinque del pomeriggio la Cocorita ci chiamò per mandarci alla premiazione. La bagnina dell’Oasi si chiama Moira ma noi la chiamiamo Cocorita perché ha una voce da cocorita e le erre arrotolate da cocorita. E anche il cervello non è che si discosti molto da quello di una cocorita. Io la chiamo anche Cavallo Degli Scacchi, perché ha la faccia magra e un collo lungo lungo, ma poi sotto prende a modificarsi a tradimento e s’allarga fuori a botticella. La Cocorita disse che la premiazione sarebbe avvenuta nella zona più centrale, all’altezza del Bagno Schiuma. Vicino alla pineta, disse. Così c’incamminammo per andare a ritirare il nostro meritato premio.
La premiazione non la facevano vicino alla pineta, la facevano dentro la pineta, quei deficienti. E io c’ero andato senza ciabatte. Camminavo a piedi nudi sopra tutti quegli aghi di pino, facendo attenzione. Cocorita del cazzo. Poteva avvisare. Camminavo come un novantenne. A fare la premiazione, con tanto di palchetto improvvisato e di microfono c’era un politicante alto e grosso. L’avevamo visto passare tutto impettito sulla spiaggia con quella faccia da vicesindaco. Era una specie di vicesindaco alto e grosso con dei gran baffi grigi o giù di lì. Io guardavo i premi e pensavo a che giro bisognasse fare per salire sul palchetto senza troppi danni per i piedi e senza sembrare un subnormale novantenne.
Be’, adesso proprio non mi va di farla lunga. Non mi va di farla lunga perché mi vien da vomitare, cazzo. Insomma lo starete già capendo, il perché mi vien da vomitare: mi vien da vomitare perché quel bestione ben pasciuto d’un politicante di merda ha pensato bene di regalare il nostro primo premio agli stronzetti. Ai furbiciattoli! Ai farabuttelli opportunisti! E mica si è accontentato di premiarli! No, dovevate sentire come li incensava, come gli leccava il culo, come si complimentava per la sensibilità e l’attenzione e la lezione di umanità e civiltà che col loro cuore tenero e palpitante e puro stavano dando a tutti gli adulti vacanzieri che stavano lì e a tutto il resto del mondo che purtroppo non c’era, peccato davvero, altrimenti il mondo avrebbe potuto ascoltare la sua pomposa retorica e conferirgli dei seggi onorari all’Onu, a lui e agli stronzetti.
Non ci credevo. E lui non la smetteva più. Lo stronzo politicante coi baffi grigi e la pancia piena e l’orologio d’oro e il conto in Svizzera. Che magari si arricchisce vendendo armi e mine antiuomo. Dev’essere uno che ama le Partite del Cuore, pensai. Quelle mascalzonate. Stronzi contro Ipocriti. Tutti lì a farsi belli e divertirsi e mettersi in mostra e dare lezioni e guadagnarci soldi e dare una percentuale in beneficenza che poi sparisce chissà dove. I “Buoni” che si mettono in mostra a me mi sono sempre puzzati assai più dei “Cattivi”.
E gli stronzetti opportunisti tutti tronfi e pieni di sé sul palchetto, e nessun cazzo di pino che avesse l’intelligenza di sganciargli almeno qualche bella pigna sulla testa.
Deluso, mi allontanai un po’, senza neanche più fare attenzione ai maledetti aghi che mi spungevano i piedi. Poi, mentre quello andava avanti a blaterare le sue zuccherosità umanitarie, quando non ce la feci proprio più mi nascosi dietro un tronco di pino e urlai a squarciagola tutta la rabbia che mi piangeva nel petto: “STOP ALLE STRONZATE!”
Poi scappai via.
Non mi badarono. Probabilmente mi compatirono. Il sindacone andò avanti a parlare parlare. Ero già lontano, quando sentii scrosciare gli applausi.
Solo che lì ad ascoltare le stronzate e applaudire convinto c’era pure mio padre. Non l’avevo visto. Neanche lui mi aveva visto. Però aveva riconosciuto la voce. Così più tardi a casa me le diede, e andò a finire che venni pure messo in castigo per la sera, stronzetto insensibile che non ero altro.
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