Pubblicato da Andrea Sartori su giugno 5, 2012
Andrea Sartori
Che cos’è una diagnosi in ambito psichiatrico? Un’etichetta incollata alla vita del paziente come un destino che questi non si può scrollare di dosso? Un escamotage che il medico utilizza per riempire l’apposita casella di un referto, garantendosi una coscienza tranquilla, professionalmente conforme?
Il libro dello psichiatra e studioso di antropologia culturale Giorgio Villa – Dimagrire con la psichiatria, Exorma Edizioni, Roma 2012 – è il tentativo di ragionare intorno a queste domande, utilizzando la rielaborazione narrativa della propria esperienza clinica nel servizio di emergenza del 118, come strumento d’indagine.
Non a caso Bruno Callieri, deceduto lo scorso febbraio a conclusione di una vita spesa a umanizzare la psichiatria, nella prefazione ascriveva il volume al filone della narrative medicine, ovvero a quell’ambito del racconto della malattia – e del suo possibile impiego clinico – di cui il ‘900 è stato prodigo di esempi ante litteram, basti pensare alle Memorie di un malato di nervi (1903) di Daniel Paul Schreber, ma anche alle angosce e agli sdoppiamenti – di certo non riducibili al solo dato clinico – di Franz Kafka, Italo Svevo, Luigi Pirandello, o allo stesso Sigmund Freud, cronista e narratore dell’inconscio di legioni di pazienti.
I racconti di Villa hanno tuttavia una particolarità, che marca una netta distanza tra la sua scrittura e quella di chi nega, sic et simpliciter, che la follia sia una patologia, e viceversa la equipara a una qualche forma di poesia o di non meglio precisata artisticità.
Di ogni caso narrato, Villa riporta la duplice classificazione secondo l’International Statistical Classification of Deseases, Injuries and Causes of Death (ICD-10), e secondo il Diagnostic and Stastical Manual of Mental Disorders (DSM-IV-TR). Ecco allora, ad esempio, che la logorrea di un padrone di casa altrimenti null’altro che simpatico e liquidabile come una macchietta tutt’al più pesante da sopportare, ci pone dinanzi a un ben più preoccupante Disturbo Istrionico di Personalità e ai relativi codici numerici, afferenti ai due sistemi di classificazione.
Qui Villa affronta in modo critico la vulgata anti-psichiatrica secondo la quale la malattia mentale sarebbe un’invenzione del potere medico. È questa un’idea che non andrebbe annessa neppure al pensiero di Franco Basaglia, che volle chiudere i manicomi nella prospettiva di una riforma della psichiatria, non della sua negazione.
L’autore di Dimagrire con la psichiatria, d’altra parte, sa bene che le categorie diagnostiche non sono scolpite nella pietra. Il frequente ricorso all’ironia, di cui il titolo del libro è solo il “sintomo” iniziale, svolge anzi l’importante funzione – nota già al Pirandello del saggio L’umorismo – di mostrare l’altra faccia delle medaglia, di svelare quanto vi sia di inaspettato nell’accostare ogni caso clinico, per di più se ciò avviene nel contesto sempre mutevole e non garantito dell’intervento d’emergenza.
Che cos’è, dunque, una diagnosi psichiatrica? Essa è, innanzitutto, un rapporto umano tra un medico e un paziente: «come avviene in tutti i rapporti umani è questione complicata, e più che una casella tassonomica appare essere uno strumento per esplorare la relazione, per comprendersi di più e non per giudicare». Se la statistica e la diagnostica hanno cittadinanza nelle cose umane, nella misura in cui possono contribuire a gettare dei ponti tra gli individui, anziché approfondirne le incomprensioni, la psichiatria non può essere lasciata sola di fronte al disagio, né d’altro canto deve abbandonare la specificità del proprio sguardo facendosi assorbire da uno dei suoi interlocutori (oggi, in particolare, le neuroscienze).
È per tale motivo che Villa dischiude la narrazione dell’emergenza anche ad altre suggestioni, come quelle cinematografiche e letterarie. Nel libro sono frequenti, infatti, le libere associazioni con situazioni tratte da entrambi gli immaginari, da sempre sensibili alle distorsioni, talvolta profetiche, del mondo del folle. Anche in ciò Villa si riallaccia alla corrente più costruttiva del rinnovamento psichiatrico di alcuni decenni fa, quando la disciplina, pur con le ingenuità e le ipoteche ideologiche di allora, entrava nel dibattito pubblico e non si rinserrava nell’incomunicabilità dei propri tecnicismi.