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Racconti a 4 mani – Pantaloni bianchi

Da Marcofre

Il singolar tenzone “Racconti a 4 mani” di Remo Bassini è terminato. Pubblico di seguito il racconto scritto con Morena Fanti, dal titolo “Pantaloni bianchi”.
Buona lettura

Mi stanno alla perfezione, si vede che sono di uno stilista. È la prima volta che mi permetto una spesa simile; sono una calamita per gli uomini, tanto bianchi da abbagliarli. Inserisco l’allarme dell’automobile, mi volto, vedo un uomo all’ingresso del bar che mi sorride. Ripiega il giornale, lo infila sotto il braccio e si allontana; per un po’ continua a guardarmi, ammirato.
Aldo, invece, non si è neppure accorto del mio nuovo acquisto.
Cammina davanti a me, saltella sulla stampella; pochi passi e siamo arrivati. Ci sediamo a un tavolino; Aldo prende un analcolico, io un caffè. Alziamo lo sguardo e vediamo arrivare l’uomo, di corsa. Indossa un abito stropicciato e ha il viso sudato.
Si avvicina e ci porge la mano, ma Aldo non si muove e gli dice: “Non perdiamo tempo. Parliamo d’affari”.
Lui deglutisce, dice: “Certo” e si passa un fazzoletto sulla fronte. Se ne sta lì in piedi, sposta lo sguardo da Aldo a me e viceversa.
“Si sieda, no? Vuole attirare l’attenzione?”. Aldo gli fa un gesto brusco.
Lui si lascia andare sulla sedia di plastica bianca e rimane in attesa.
“Allora ragioniere? Spero ci porti buone notizie” dice Aldo.
Lui non apre bocca, infila la mano in tasca, estrae un foglio piegato in quattro. Aldo lo prende e gli getta un’occhiata. “Diecimila?” e gli rende il foglio. Quando non sa cosa fare abbassa il capo e si sfrega il mento: come ora. Decido di intervenire:
“Per tacere, diecimila sono pochi. Vogliamo parlare della gamba di Aldo? Non lavorerà per almeno due mesi ed è senza contributi. Se venisse un’ispezione, e scoprissero altri lavoratori in nero, scatterebbe la chiusura del cantiere. Non ve lo potete permettere, coi ritardi che avete. Ne vogliamo almeno il doppio” affermo.
Aldo alza la testa, annuisce e lo fissa. Apre la bocca e dice: “Ventimila. Di meno non accetto”.
Il ragioniere sospira, prende il foglio, scrive la nuova cifra e lo porge a Aldo. Lui lo prende con religiosità, quasi fosse una cambiale. L’ometto si alza e fa per andarsene. Lo tiro per la manica: “Quando?”
“Domani sera alle nove nel parcheggio dell’Ipercoop. Vicino all’uscita sul fiume”. Si è chinato e l’odore del suo dopobarba mi fa rivoltare lo stomaco. In un attimo è già sparito.
“Bene”, dice Aldo; le sue labbra si piegano in un sorriso che non gli arriva agli occhi. Ripenso a com’era all’inizio, a come mi sorrideva prima che tutto questo accadesse. Intanto, si rigira il foglio tra le mani, non gli stacca gli occhi di dosso. Ripete: “Ventimila. Una bella somma per una settimana di lavoro”.
Accavallo le gambe e dondolo il piede destro; mi aspetto che noti i pantaloni bianchi ma lui vede solo il foglio con la cifra.
La sua voce mi strappa dai pensieri, sollevo il viso e lo guardo.
“Che hai?” chiede. “Sei strana. Con quei soldi ci faremo una vacanza, quando avrò tolto il gesso. Grazie alla mia intraprendenza”. Penso che la sua intraprendenza gli avrebbe fatto accettare i diecimila euro, ma non dico niente: si altera facilmente in questi giorni.

È l’ora. Aldo freme vicino alla porta. Prendo la borsa rossa, è grande e ci sta un sacco di roba.
Una punta di rimorso mi chiude lo stomaco ma mi passa subito.
“Ti muovi?” Aldo mi guarda impaziente, vuole mettere le mani su quei soldi, dice di avere un mucchio di progetti per noi due. Ventimila euro: ne parla come fossero la strada per il paradiso.
In macchina Aldo cambia canale in continuazione, sentiamo brani di Vasco e di band degli anni ‘70. Sento che dice: “La felicità è un diritto”; spengo il motore, siamo a destinazione.
Il parcheggio è semivuoto: l’iper sta chiudendo e la gente si affretta alle macchine senza far caso a noi. Lui indossa l’abito del giorno prima, sempre più spiegazzato. Ci osserva arrivare, si guarda intorno e fa cenno di sbrigarci. Ci spostiamo tra due autovetture. Il ragioniere mi mostra la valigetta e io gli mostro la carta che Aldo ha firmato. Quella in cui dichiara di essere caduto in casa nostra, come ha detto al Pronto Soccorso quando l’ho dovuto accompagnare. Hanno creduto alla versione dei lavori di ristrutturazione e della scala scivolata sul terrazzo.
L’ometto tace, legge tutta la dichiarazione di Aldo alla luce dei lampioni, infine annuisce, piega il foglio e se lo infila in tasca.
Guarda perplesso i miei pantaloni bianchi, forse li avrebbe preferiti scuri. Scrolla le spalle, solleva la valigetta, fa scattare l’apertura e ci mostra il contenuto. Sfoglio qualche mazzetta mentre Aldo sorride.
Dopo mezz’ora siamo a casa. Aldo si siede in cucina, apre la valigetta e resta immobile. Accarezza le banconote; mi avvicino, lo abbraccio da dietro. “Saremo felici?” chiedo, gli giro attorno e siedo sulle sue ginocchia, mi passo una mano sui pantaloni. “Sì sì”, mormora, e aggiunge: “Ne possiamo fare di cose”.
“Non sono tanti. Qualcosa bisogna risparmiare”.
“Che problema c’è?”. Si stringe nella spalle: “Tu continui con le ripetizioni. Poi mi cercherò qualcosa. Devo guarire bene, ci vorrà tempo”. Gli accarezzo il viso, e sento come se qualcosa sotto le dita si sbriciolasse. È ancora Aldo quello che appare, eppure non è più lui. È un uomo con cui i miei ricordi faticano a restare in contatto.
Mi alzo, dico:
“Datti un rinfrescata, che sei sudato. Dopo mi farò una doccia”. Strabuzza gli occhi, mi fissa senza vedermi: “Buona idea”. Chiude la valigetta, si alza in piedi, incerto per qualche secondo. Poi la solleva, se la infila sotto il braccio. Impallidisco, dico: “Ma che fai?”. Si blocca, ruota appena il capo, sorride imbarazzato:
“È vero. Ci sei tu qui”. La posa sul tavolo e l’ultimo sguardo è per lei.
Si ritira in bagno; gli ci vorrà un bel po’ con quel gesso. Resto immobile finché non sento scorrere l’acqua.
Tutto si svolge senza esitazioni, o ripensamenti. Il parcheggio dei taxi è a un paio di minuti, l’aeroporto a trenta chilometri. Prendo la valigetta e la borsa rossa in cui metto qualche vestito. Scrivo un biglietto: “La felicità indossa pantaloni bianchi ma tu cosa guardi?”.
Mentre chiudo la porta mi sento leggera.


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