Magazine Racconti

Racconto di fine ottobre

Da Flavialtomonte

È domenica e piove. Le gocce di pioggia bagnano il finestrone della camera da letto senza che la luce fioca filtri un novembre leggero, casto, in ritardo. Ha bisogno di molto tempo, Marie, e non sa ancora da dove cavarlo: se in questa domenica o nella prossima. Nell’attesa, le sue parole, hanno bisogno di pronunciarsi con discreto accento.

Questa domenica non è come tutte le altre per Marie che percorre il corridoio con addosso un enorme plaid. Braccia incrociate sul petto e collo inclinato dando l’impressione che la pioggia martelli anche sopra la sua testa. Prepara la colazione e poi affonda il peso del corpo sulla poltrona di fronte al televisore, di fianco al tavolinetto, accanto all’ultimo libro letto. Una pagina a caso recita una frase che forse, è anche la sua: «Non mi sono mai sentito così profondamente distaccato da me stesso e al contempo così presente nel mondo.» è Albert Camus a scrivere ma solo lei a leggere. Lei che ha smesso di immaginare le gocce di rugiada come lacrime del cielo; lei che non lo guarda più il cielo. 
Attenta a non inciampare, con la coperta abbracciata ai fianchi in maniera del tutto casuale, riposa il libro e torna in cucina. L’espressione è di chi è ferma in un punto a riflettere su quale azione aveva programmato prima di scordarla. Abbandona plaid, speranza di ricordare e scende al bar sotto casa: ordina due bomboloni al cioccolato.
Una giovane donna con in braccio una bambina di circa due anni la precede. La bimba ha lo sguardo perso sul bancone dei dolciumi. Marie si affeziona subito alla scena ripensando a tutte quelle volte che anche lei amava incantarsi di fronte a tanta dolcezza e bontà. E anche oggi, anche di domenica, ha ripreso quella magica espressione di ipnosi dolciaria
- Ha chiesto?
- No, vorrei due di questi.
Indica gli unici due bomboloni che si era prescritta, mentre dalle labbra della duenne scoppia un lamento. Aveva visto Marie prendere i due dolci enormi e ne voleva uno. Marie tira giù questa ipotesi donando un bombolone alla piccola. La madre ringrazia Marie e lei si incammina soddisfatta. Crede fortemente che è giusto così, che se li avrebbe mangiati entrambi non sarebbe cambiato nulla. E riprende a camminare gustandosi il dolce. 
Un grande manifesto incollato sulla parete rossa di una casa in restauro recita l’evento di un concerto di musica classica. È lì che sarebbe andata.

A Marie piace camminare di fretta seppur in anticipo o senza tempo, le dà sicurezza quel darsi da fare senza appuntamento. Sceglie il suo tempo. La sua scadenza è sempre quella imminente. Ha più emozione l’immediato del rimandato, ha la sua bella durata, e raramente si riescono a trovare emozioni di lunga durata.
Rallenta gradualmente il passo quando è nei pressi del teatro. Non vuole perdersi l’atmosfera del luogo esterno al teatro prima di quello interno. Crede che l’odore delle poltroncine rosse e del palcoscenico in legno si percepisca già cinque casolari prima. Anche le persone che vi risiedono, sono diverse, hanno l’aria di chi conosce qualcosa in più del mondo. Una realtà illusoria a cui credono solamente perché l’hanno vista. Un azzardo per cui, forse, vale la pena entrarci.

Racconto di fine ottobre

Tutto come in ogni teatro, numerose poltrone rosse e un enorme palcoscenico. Il pubblico non è ancora arrivato e Marie gode di una certa soddisfazione arrivando in anticipo, prima degli altri, la rende protagonista. Ogni volta che le si presenta qualcosa di nuovo, assume l’atteggiamento di una bambina, piena di meraviglia sale le scale che portano ai piani più alti, e si concede una lenta e intensa perlustrazione. Il pavimento è in velluto, le pareti sono state intonacate almeno trecento anni prima, i numeri di ogni platea sono in rilievo, i tendoni rossi decorano gli ingressi di ogni porta, anche quella del palcoscenico. Non tarda a raggiungere le quinte del teatro, qui il pavimento è in legno, un legno vissuto dagli attori e dai ballerini che hanno esibito la loro performance. Dal punto di vista dell’osservatore potrebbe sembrare uno spazio scenico enorme, il palcoscenico, in realtà stare lassù è limitante quando si tratta di commedie a più di tre personaggi. I camerini sono vere e proprie stanze, sono dietro all’ultima quinta ed è intuitivo arrivarci. C’è una bacheca all’ingresso con l’ordine del giorno, il calendario mensile degli spettacoli e un elenco di persone, forse sono gli addetti del teatro. 

È ora di prendere posto e Marie ne sceglie uno in platea. Due ore di concerto. Ad ogni esecuzione il musicista raccoglie gli applausi uscendo e rientrando per tre volte dalle quinte. Notare il rito di entrata e uscita è inevitabile per Marie che ne studia l’atteggiamento. Lo strumento, al suo rientro sul palcoscenico, è sempre nella mano destra o, quando esce di scena, cambia posizione, per scaramanzia? E poi, mentre sparisce dalla quinta, mantiene la concentrazione dell’esibizione o rilascia andare qualche emozione? Queste e altre domande, hanno formato nella sua testa un concerto molto più caotico di quello a teatro.
Il telone si affretta a scendere nascondendo strumenti e musicisti, anche Marie si affretta, a entrare in scena.
 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :