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Racconto in tre puntate (in attesa di riprendere il libro) - DUE

Da Bartel

Racconto in tre puntate (in attesa di riprendere il libro) - DUE“Pressione sistolica 174, diastolica 130. Hai i trigliceridi che ti escono dagli occhi. Fumi come un turco, tra pranzi e cene di lavoro non so quanto vino e superalcolici ti scoli. La tua sola attività fisica è rappresentata da un rapporto settimanale, e non tutte le settimane, con tua moglie e dallo sbattere i pugni sul tavolo con i tuoi impiegati. Infine, sei quasi obeso e pretendi anche di campare a lungo?”. Cosi il suo vecchio amico Annibale, nonché medico di famiglia, lo aveva arringato una settimana prima. Che allegria! Quarantatre anni e già da buttare via! Cosi da una settimana, durante la pausa pranzo, niente pranzo e corsettina ridicola nel parco panoramico vicino all’ufficio, passando discretamente dal retro “per non farsi prendere per il culo dagli impiegati. Che vita di merda!“. Stessa storia anche oggi, ed anche oggi, strizzato nella tutina nera, la sensazione di morte imminente dopo cinque minuti di corsa. Poi li ha visti seduti sulla panchina. Lui sulla sedia a rotelle in realtà, vecchissimo e completamente calvo, una giacca da camera con uno stemma, gli occhi socchiusi e un rigagnolo di bava che scivola via da un angolo della bocca. Lei piccola, con il volto pieno di rughe profonde come tagli e i capelli nerissimi. La vecchietta é cosi piccola che da seduta i suoi piedi non toccano terra e le pantofole penzolano nel vuoto. Le pantofole! L’uomo grasso ha rallentato e vorrebbe chiedere se i due vecchietti hanno bisogno di aiuto. Lo sguardo della donna lo scoraggia decisamente. Passando loro accanto ascolta la voce femminile monotona che parla a chi sembra non sentire e forse non sente sul serio.  “...e laggiù,  in via Saffi è nata Giulia, mia figlia. E’ nata d’inverno e tu non te lo immagini il freddo che faceva in quella casa, con il libeccio che entrava da sotto la porta, non te lo puoi immaginare. Poi è nato anche Mario, ma lui...”. L’uomo grasso ricomincia a correre con più forza. Si volta solo un attimo, senza smettere di correre, e ha l’impressione che la vecchia lo guardi. Un brivido leggero gli percorre la schiena, forse un infarto imminente “No, no io non voglio diventare cosi...no...meglio morire subito, anzi appena torno in ufficio chiamo l’agenzia di viaggi, voglio andare in vacanza per un mese, magari  su un’isola...lontano da qui, da tutti...”. Si volta ancora e i due vecchietti non ci sono più. “Madonna mia, pure le allucinazioni, madonna mia bella...”.
“Da questa parte prego”. Il giovane medico dagli occhi blu scorta l’ispettore Mastrantonio e i coniugi Rinaldi nell’ala est della casa di riposo. A destra e a sinistra lungo il corridoio, si affacciano porte, interrotte da grandi finestre con tendine chiare. Ovunque corrimano e luci di emergenza. Sulle porte accanto al numero e sopra lo spioncino i nomi degli ospiti. “Per rendere meno anonima la loro stanza” spiega il medico. “Fate piano per favore, molti nel pomeriggio riposano e io non voglio allarmarli più del necessario”. Mastrantonio pensa sia il caso di cominciare a fare il poliziotto: “Dottore, lei conosceva bene gli scomparsi?” “Si , il cavaliere da molto tempo, mentre la signora Diletta l’ho vista solo un paio di volte...e questa è la sua stanza, la 112...prego”.La stanza è piccola, con un balconcino che si affaccia sul giardino, una stanza adatta alla piccola donna dai capelli ricci e neri che l’ispettore ha osservato nella foto che gli è stata data e che ha trasmesso in centrale. Il poliziotto entra da solo, facendo segno agli altri di fermarsi sull’uscio. Una poltrona di fronte alla porta-finestra occupa quasi tutto lo spazio libero tra il lettino e l’armadio bianco. Sul lettino una valigia aperta e dentro abiti piegati e una foto incorniciata. Dal bianco e nero della foto emerge la figura intera di un uomo di circa 30 anni, una sigaretta che pende dalle labbra sorridenti, una camicia bianca e mani nelle tasche dei pantaloni larghissimi. La fotografia è stata scattata in una giornata di sole di molti anni prima, nessuna ombra sul viso sorridente dell’uomo dai tratti eleganti, grandi occhi, capelli cortissimi e un gran naso. Se fosse biondo potrebbe essere il fratello della donna che alle spalle del poliziotto si tortura le mani e vorrebbe piangere. “Quello è mio padre, mia madre non abbandonava mai quella foto, mai...”. La donna bionda si morde l’interno della guancia e nasconde il viso sul petto del marito. Gli occhi verdi di Berto Rinaldi scompaiono dietro le palpebre e il suo volto da Cristo alla colonna non sfugge al giovane medico, che comincia a osservarlo con maggior interesse. Nel suo campo visivo si affaccia il volto curioso e dagli zigomi alti di Suor Maria. “Ah, ispettore questa è la suora che si occupava delle esigenze della signora Diletta, sorella Maria Wanabe....” La suora di colore squadra Mastrantonio “Signore, scusi, è lei il coll del signor poliziotto che é andato via per un’emergenza?”“Come scusi?”“Si, il coll del poliziotto che  è corso via prima”“Io sono un poliziotto, signora, cioè sorella...sono l’ispettore Mastrantonio. Si spieghi meglio, per favore , non capisco““Non so, il poliziotto con la pancia...” e mima una bella rotondità ventrale da donna incinta “ha detto di parlare con il suo coll...”“Forse voleva dire collega sorella” interviene il medico che cerca di non sorridere stringendo le labbra.

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