Una scultura di libri di Alicia Martin
Sempre nel corso delle mie peregrinazioni ferroviarie ho conosciuto Zweig (di cui ho da quasi un mese un testo in giacenza in libreria, sempre per via di questi impedimenti) e il suo Mondo di ieri e la Woolf di Una stanza tutta per sé, che mi hanno messo di fronte ad un problema che ho sentito fin da quando, al liceo, sono stata, con maggiore o minore soddisfazione, invitata o costretta a leggere diversi classici e ad incontrare riferimenti ad opere complesse, articolate e inserite in una rete di comunicazioni con tutto quanto l'uomo ha prodotto in millenni di storia. No, non ho sorseggiato l'acqua lagunare, credo di avere ancora un filo di logica per poter stendere questo articolo.I due testi citati sono densi di nomi e riferimenti ad autori ed opere di cui non conosco che una minima parte. Scrittori vissuti fra Ottocento e Novecento in Germania, Austria e Gran Bretagna hanno letteralmente sfilato sotto i miei occhi di lettrice e - altra confessione scabrosa - non ho quasi mai avuto l'onestà di andare a capire chi fossero, per Zweig a causa del forte coinvolgimento nella lettura. Questo, come lamentavo nella recensione al saggio della Woolf, mi ha impedito di comprendere pienamente alcuni passaggi o di gustarne l'intensità, ma non si tratta che di un esempio dello spaesamento e del conseguente senso di inadeguatezza di fronte alla ricchezza della letteratura. Ogni libro è fonte inesauribile di rimandi ad altri libri, impliciti o espliciti che siano. Dietro alle parole, ai pensieri, ai nomi si celano realtà da cui si dipanano fibre che, come le rette infinite passanti per un punto, sfrecciano in ogni direzione, ad annodarsi a mille altre e a costruire intricate ragnatele in cui noi appassionati lettori cadiamo come insetti, ma senza correre alcun pericolo. Cogliere, leggendo un testo, un collegamento con altri (soprattutto quando si tratta di classici) mi fa sorridere, strabuzzare gli occhi o commuovere, a seconda dei casi... e quanto di queste emozioni contribuisce a farmi amare la grande letteratura, il cui gomitolo inesauribile noi insegnanti siamo chiamati a svolgere per gli studenti. Studenti che, spesso, trovano un altro bandolo e diventano a loro volta abili ricostruttori di relazioni testuali. Questo folle post - dettato dalle mie errabonde avventure di cui sopra - vuole semplicemente tradurre lo stupore di rintracciare le mille direzioni che i libri possono aprirci e, parallelamente, il senso continuo di insoddisfazione che ne deriva: come eterni viaggiatori ci chiediamo quale sia il punto esatto di partenza per dipanare la rete e siamo portati a ricercare il punto d'arrivo di queste relazioni, finendo fatalmente per invischiarci maggiormente nell'incantesimo della lettura. Perché i libri non esauriscono i significati, ma, ad ogni pagina, riga o parola li moltiplicano. Ecco perché per alcuni di noi essi costituiscono una vera e propria dipendenza ed essere privi di essi e dei loro accessi a nuovi libri e a nuovi mondi di lascia disorientati.
Capita anche a voi di vivere questa dolce prigionia?
C.M.