Una voce incantevole e parole che la fanno sembrare molto più saggia dei suoi 19 anni. Sorride Rakele, perché ha il suo futuro tra le mani. Ha la forma di un disco, il primo per lei. Prodotto dalla Carosello Records, s’intitola “Il diavolo è gentile” ed esce oggi. Per l’occasione lo presenterà nella città che ha cullato il suo sogno sin da piccola, Napoli.
Nata a Giugliano il 20 luglio del 1995, Rakele comincia a studiare canto già all’età di 9 anni, con un maestro del San Carlo. Allo studio presto unisce la pratica, perché diventa front woman di una band, mentre prosegue le lezioni di canto e dizione a Roma, a 15 anni. La svolta, però, arriva un anno e mezzo fa, quando ad uno stage è notata dai produttori Cesare Chiodo e Tony Bungaro. Da questo incontro alla partecipazione all’ultimo Sanremo il passo è breve. Ora che di passo verso l’agognato mondo della musica ne ha fatto un altro, abbiamo voluto conoscere le sue impressioni, le sue idee, le ansie e le aspettative di una ragazza semplice e umile, qualità che assieme al suo indiscusso talento potrebbero portarla molto lontano.
Cominciamo dalle presentazioni. Il tuo nome di battesimo in realtà è Carla, Rakele quello d’arte. Da cosa nasce questa scelta?
Tutto nasce dal fatto che i miei genitori avrebbero voluto chiamarmi Rachele, ma poi hanno optato per Carla. Quindi, quando mi è stata data la possibilità di scegliere un nome d’arte ho scelto Rakele. Ma, in fondo, Carla e Rakele sono la stessa persona, perché l’una è la proiezione dell’altra. Se Carla ha una verità, Rakele ha la stessa verità.
Carla per diventare Rakele ha iniziato a studiare canto sin da piccola, prima al San Carlo di Napoli e poi a Roma. Grandi sacrifici che rivelano anche grande consapevolezza dei propri mezzi, ma hai mai pensato che non ce l’avresti fatta?
Guarda, gli ostacoli sono stati tanti, ma non mi sono mai arresa. Prima di conoscere i mie produttori, che hanno davvero cambiato il mio destino, mi sono data molto da fare. Già a 15 anni prendevo treni, andavo avanti e indietro senza fermarmi un attimo, pur ricevendo qualche porta in faccia. Però, alla fine, mi sono servite per spronarmi. Poi, io sono una persona che anche quando fa le cose bene, vuole farle sempre meglio.
E se questo incontro con i tuoi produttori non fosse mai avvenuto, quale sarebbe stata la tua alternativa?
A me piace molto la psicologia, infatti mi sono diplomata al liceo psicopedagogico. Mi piacciono molto le materie umanistiche, però non so se avrei fatto questo all’Università, perché oggi è molto difficile trovare sbocco con tali discipline. In realtà preferisco non pensarci, perché voglio concentrarmi su quello che sto facendo oggi.
E i talent show musicali, li consideri valide alternative per emergere nel mondo della musica?
Assolutamente, li considero positivamente. Allo stesso tempo, però, devo dire che ho sempre preferito le vie più tradizionali, che sono anche più difficili. I talent show a volte possono essere anche un rischio, perché ti danno una visibilità immediata, che però spesso diminuisce col tempo. Poi se non vinci, c’è il pericolo di bruciarsi. Per questo ho scelto la gavetta, sperando che qualcuno mi notasse – come poi è successo – e mi desse la possibilità di mettere in mostra tutto il mio bagaglio di esperienze.
Beh, sicuramente hai potuto metterlo in mostra al Festival. Cosa ha rappresentato per te Sanremo?
Sanremo è stata un’esperienza bellissima, perché ha messo alla prova la mia personalità, le mie emozioni, le mie capacità. Al di là di come è andata, quindi, la considero un’esperienza molto positiva. Poi, io ho sempre detto che per me Sanremo rappresentava un punto d’inizio, che mi permetteva di far conoscere la mia musica e il mio progetto discografico. Per cui avrò sempre un buon ricordo del Festival.
Hai anche detto che da Sanremo ti aspettavi la notorietà. Ora che la stai ottenendo, un po’ non ti spaventa dover rendere la tua vita di dominio pubblico?
In realtà più che alla notorietà ambivo a farmi conoscere, a far conoscere Rakele e la sua musica. Ma non ho mai pensato che Sanremo potesse cambiare me o la mia vita. Penso sia importante restare con i piedi per terra e trasmettere, anche attraverso le mie canzoni, i valori con i quali sono cresciuta.
Sul palco dell’Ariston hai cantato“Io non so cos’è l’amore”. E Napoli invece, sapresti dire cos’è?
Napoli è una città meravigliosa. Se dovessi darle un colore, ne sceglierei due. Uno è l’azzurro perché, nonostante tutti i suoi problemi, Napoli per me è una città limpida, trasparente in tutte le sue emozioni. Forse per questo riesce a trasmetterle così bene. Ma Napoli è anche passione, e quindi è di colore rosso. Io sono molto orgogliosa di essere napoletana e quando dico che è meravigliosa non è perché è la mia città, ma perché credo che abbia una magia unica, che non esiste in nessun altro posto. Anche il mio produttore, che è di Roma, quando viene a Napoli dice che c’è una magia particolare, che spinge le persone a ritornarci sempre.
La musica, però, ti ha portata lontano da tutta questa magia. Prima Roma e ora Milano. C’è un elemento di Napoli che proprio non hai trovato in queste città e uno che, invece, da Roma e Milano porteresti volentieri a Napoli?
Sicuramente una caratteristica che distingue Napoli da Roma e Milano è il calore della gente. Noi napoletani se abbiamo un problema o se siamo in difficoltà siamo comunque di buon umore, ce lo si legge in faccia. Anche nei bar capita che ti offrono un caffè anche se non ti conoscono. Quindi diciamo che siamo molto aperti. Invece a Milano sono più chiusi. Non è una questione di pregiudizio, perché ovviamente ci sono anche i milanesi aperti, ma quella familiarità che abbiamo a Napoli anche con gli estranei a Milano è molto più difficile trovarla. Un altro elemento caratteristico di Napoli è il sole. Anche se sta a Milano e piove un napoletano è comunque allegro, perché ha il sole che si porta dentro da Napoli che lo rallegra. Invece, ciò che porterei da Milano a Napoli è l’organizzazione. Non che a Napoli non ci sia, però, diciamo che ne abbiamo una tutta nostra, una confusione nella quale ci sentiamo organizzati. Comunque, devo dire che a me Milano piace, perché bisogna avere anche l’intelligenza di apprezzare le cose positive degli altri posti. Pensavo che Milano fosse una città grigia, invece vivendoci la sto apprezzando. Anche Roma è una bellissima città.
A Napoli porterai sicuramente il tuo primo disco, “Il diavolo è gentile”. Una provocazione?
Assolutamente sì. È una provocazione rivolta ad una realtà superficiale e apparente. Una realtà dove tutti sono attenti ai particolari, ai difetti, e dove molti indossano una maschera. Alla fine le persone spesso si mostrano in un modo, ma poi scopri che sono diverse. “Il diavolo è gentile”, quindi, nasce dalla constatazione di tutto quello che vedo ogni giorno. Ci sono persone che vengono prese in giro solo perché magari sono un po’ più grassottelle o perché portano gli occhiali e che per questo si sentono sempre osservate. Diciamo che il mio disco è una risposta a tutto questo. Inoltre “Il diavolo è gentile” è anche una canzone, che dà appunto il nome all’album.
Ecco, oltre a questo brano ve ne sono altri nove, sintesi di sonorità internazionali, melodia italiana e sound elettronici. Non hai paura di debuttare con uno stile musicale un po’ insolito per l’Italia?
Avrei più paura di proporre una musica tradizionale piuttosto che rischiare con una più insolita. E poi secondo me vale la pena rischiare per un qualcosa in cui si crede davvero. Certo, bisogna sapere anche quando è il momento di farlo, perché quando non lo è conviene stare a casa.
Qual è la difficoltà maggiore che hai trovato nell’elaborazione del disco?
Difficoltà particolari non ne ho trovate, perché quando fai quello che ti piace e cerchi di tradurre quello che senti in parole, immagini e musica tutto è più semplice. Certo, per realizzare questo disco abbiamo fatto anche le 3:00 del mattino. Quindi forse la difficoltà è stata quella di non dormire. Per il resto nessun problema, anzi è stato un divertimento, un viaggio molto interessante.
Un viaggio che continua con la presentazione di Piazza Garibaldi. Altri appuntamenti per promuovere il tuo album?
Guarda, ci sono altre date e programmi in via di definizione. Per il momento stiamo facendo tanta promozione e tante interviste. Poi, quando tutto il resto sarà ufficiale, lo renderemo pubblico.
In “Il diavolo è gentile” ti sei cimentata anche con l’inglese, cantando la cover di “Magic” dei Coldplay. Cosa pensi, invece, della musica napoletana?
Adoro la musica napoletana tradizionale, perché penso che Napoli sia una città ricca di storia e tradizioni, e canzoni quali “Io te vurria vasà”, “Malafemmena” rappresentano in pieno la nostra cultura. Inoltre, queste canzoni hanno fatto la storia non solo della musica napoletana, ma sono conosciute in tutto il mondo e hanno portato Napoli ovunque.
E dovendo scegliere proprio tra le canzoni napoletane quale dedicheresti a Napoli o quale potrebbe rappresentarla meglio?
La canzone che rappresenta meglio Napoli, al giorno d’oggi, è sicuramente “Napul’è”. A me piace molto. Poi risentendola dopo la scomparsa di Pino Daniele mette davvero i brividi. Mi è dispiaciuto tantissimo della sua perdita, ma sono convinta che anche da un’altra dimensione lui ci farà ascoltare la sua musica e continuerà ad amare Napoli.