Anche quest’anno non si ci sono eccezioni; nella città di Salé le forze dell’ordine hanno arrestato un gruppo di giovani marocchini che hanno rotto il digiuno in un caffè della spiaggia prima della fine della giornata. Per evitare queste scene, oramai frequenti, le grandi superfici commerciali che non chiudono le loro porte nel periodo del Ramadan, vedi McDonald’s, hanno preso la decisione di servire i loro cibi esclusivamente a bambini e ai non musulmani presenti in Marocco. Di fatto, hanno trasformato i loro dipendenti in agenti d’autorità che possono richiedere un documento d’indentità per assicurarsi che il cliente è autorizzato a mangiare sul posto. Questo non piace agli apostati e ai militanti dei diritti umani. Vero è che queste grandi attività commerciali, se non si comportassero in questo modo, attirerebbero le forze dell’ordine marocchine in pieno spiegamento. Nel reame degli alaouiti, numerosi sono i delatori che vorrebbero denunciare queste aziende nel caso servissero cibi ai marocchini. Il Marocco è una società ostile ai segni ostentati degli apostati; in questo paese, la sofferenza dei digiunatori del Ramadan e il resto della popolazione apostata è una realtà, non un mito. Quasi inesistente il digiuno nei quartieri di lusso, è palpabile in tutte le altre zone delle varie città marocchine e nei luoghi rurali. Nei quartieri chic, l’identità dell’apostata, la sua libertà e i suoi diritti, sono sovente rispettati. L’apostata può, per esempio, mangiare, bere, fumare liberamente durante tutto il periodo ramadanesco e raro è essere criticato dai vicini della zona. I più fortunati poi, partono verso l’estero, garantendosi con l’anonimato e la democrazia, la possibilità di vivere normalmente questo periodo. Per contro, nei quartieri popolari e nelle medine, la situazione è completamente diversa: l’apostata che dichiara di non digiunare ha le porte aperte all’inferno. In questi luoghi di sotto-cultura e di privazioni gli abitanti tollerano molti peccati ma non il rifiuto del digiuno richiesto dall’Islam. Gli apostati che vivono in questi luoghi soffrono di discriminazioni e sono sovente vittime di vendette. I linciaggi pubblici e gli arresti dalle autorità competenti sono spesso il risultato di chi osa sfidare la società mangiando, bevendo o fumando durante il periodo del Ramadan. La Costituzione del paese garantisce la “libertà di culto, ma non ai cittadini notoriamente conosciuti per la loro appartenenza all’Islam”. L’articolo 222 del Codice penale marocchino prevede una pena variabile da uno a sei mesi di carcere (senza condizionale) a tutti i marocchini di confessione musulmana che rompono ostentatamente il digiuno in un luogo pubblico durante il Ramadan. Oltre alla libertà di culto, il diritto marocchino non garantisce il rispetto delle libertà d’opinione e di espressione degli apostati. L’articolo 220 del Codice penale condanna gli apostati del Marocco a vivere nascondendosi, senza mai poter esprimere la loro opinione, i loro disaccordi con la religione islamica, restando in silenzio sulle cause che animano il loro rifiuto all’Islam, diventando degli ipocriti che dimostrano di essere “musulmani” quando nella realtà sono lontani da questa figura. Il disagio degli apostati potrebbe essere pericoloso se le fatwas del Consiglio superiore degli Oulema fossero legittimate da una fonte legislativa marocchina. Questo Consiglio presieduto dall’emiro dei credenti, il re Mohammed VI, prevede la pena di morte come sanzione a tutti i marocchini notoriamente conosciuti per la loro appartenenza all’Islam che disconoscono la loro religione. Il movimento più preso di mira in questi ultimi due anni è stato quello del 20 Febbraio, nato durante le rivolte della primavera araba e raggruppa non-digiunanti, apostati, islamofobi, omossesuali; i suoi attivisti, spesso incarcerati, sono stati vittime delle propagande diaboliche delle forze d’opposizione religiose e conservatrici che hanno suscitato la collera delle strade marocchine e le manifestazioni di questo gruppo pacifico, lo sottolineo, sono state prese di mira e attaccate dagli abitanti dei quartieri popolari.
Credit: LeMag.ma – Kamal Znidar