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Rami di mandorlo in fiore

Creato il 11 maggio 2014 da Lundici @lundici_it

1890. Muore l’ultimo inverno, nasce lo spettacolo della primavera. Sbocciano rami di fiori contro un cielo azzurro che riscalda l’animo ferito di un pittore. Rami, come emblema di una vita giovane. Theo, il fratello di Van Gogh, diventato padre, sceglie di chiamare il bambino Vincent.

Il pittore è profondamente commosso dal gesto e scrive a sua madre: “Ho iniziato subito una tela per il figlio di Theo, da appendere nella loro camera da letto, una tela azzurro del cielo, sulla quale si stagliano grandi rami di fiori di mandorlo bianchi”.

Un pittore diverso, un dipinto diverso, come regalo per essere collocato sopra la testiera di un letto. Per rappresentare una nascita sceglie rami di mandorlo, uno degli alberi dalla fioritura precoce che sul morire dell’inverno, annuncia la primavera. Per questo è simbolo di speranza, di ritorno alla vita, anche se, sfiorendo in un breve tempo, raffigura anche la delicatezza, l’effimero e la fragilità.

Contaminazioni orientali. Nella tela, è evidente la profonda ammirazione di Vincent per l’arte giapponese, molto popolare in Europa nella seconda metà del XIX secolo.

Colori forti, accesi di gioconda ispirazione, che solo il tempo avrebbe indebolito. Negli anni, l’intensità cromatica del dipinto è diminuita. Le gemme, oggi quasi bianche, erano in origine di un rosa acceso.

Scorre nel cielo un torrente di fiori, per raccontare l’inizio di una nuova vita, i presentimenti, e l’amore che nessuno avrebbe cancellato. Una stanza. Un letto di mogano, due tende damascate, raccolte fin presso la grande testiera. La culla, un dipinto per rallegrare un bambino.

Van Gogh, lo concepisce come il primo di una serie che non potrà  mai realizzare poiché, subito dopo averlo completato, è sconvolto da un’ennesima crisi e la fioritura è finita, per sempre.

Van_Gogh_Almond_blossom

Rami di mandorlo in fiore Saint-Rémy, febbraio 1890 – 
olio su tela 73,5 x 92 cm
 – Van Gogh Museum, Amsterdam

Rami, gemme e fiori, protagonisti in un’estetica serena. Un pittore sceglie per gli altri di rappresentare la vita, pone ogni suo dolore a disposizione della serenità. Nessuna tonalità drammatica, nulla di oscuro, ogni cosa lascia spazio allo spettatore per un dialogo meno sofferente rispetto ad altri suoi capolavori. Nessun grafismo materico aggredisce la tela, dove tutto scorre vivendo sereno, ogni fiore sboccia per essere ricordato con piacere, oppure, dimenticato con serenità. Ma il cielo, nell’azzurro, comincia a fremere. Il colore si muove senza vortici, il fondo si sfalda lentamente, si accende, vicino al sorriso di un bambino.  Si spegne lento, più oscuro, lontano, sfumato oltre i rami del futuro che verrà.


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