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RAOUL BOVA in copertina su "VANITY FAIR": "LE COPPIE GAY NON SONO DI SERIE B"

Creato il 21 marzo 2012 da Superpop @SuperPop
Raoul Bova è in copertina sul n°12 di "Vanity Fair"del 28 marzo 2012.
"Sono cattolico, battezzato e spostato in chiesa". Ma quando, a 16 anni, ha visto un ragazzo innamorarsi di un altro ragazzo, ha capito che certe differenze non contano. L'attore lo racconta a Vanity Fair, sulla copertina del numero che lancia al governo un appello per i diritti dei gay.
Alfano: "Se vince la sinistra avremo i matrimoni gay". Bindi: "Non userei la parola matrimonio". Europarlamento e Cassazione: "Le coppie omosessuali devono avere pari diritti". Domanda: ma l'Italia è davvero quella della politica bipartisan che continua a negare, come nel resto della Ue avviene solo in Grecia, questi diritti? È solo quella dei violenti che hanno picchiato sette ragazzi in discoteca?
A chiederselo è Vanity Fair che pubblica una lettera rivolta al ministro Elsa Fornero (che ha delega alle pari opportunità) in cui chiede formalmente di portare all'attenzione del governo il problema della disparità tra le coppie conviventi, a seconda dell'orientamento sessuale.
Testimonial d'eccezione della petizione è Raoul Bova, a cui Vanity Fair dedica la copertina e un'intervista all'interno del servizio. Quarant'anni, sposato dal 2000 con Chiara Giordano, due figli, l'attore è stato scelto dalla prestigiosa rivista per dire che il matrimonio, o comunque l'insieme di garanzie che ne deriva, è un diritto di chiunque scelga di legarsi a un'altra persona, di qualunque sesso sia. E che questa non è una battaglia dei gay: è una battaglia di tutti.
Quando ha scoperto che esisteva l'omosessualità?
"Intorno ai sedici anni, quando mi accorsi che il mio migliore amico era innamorato di un ragazzo, mentre a me interessavano le ragazze. Non cambiò nulla nella mia amicizia per lui e nel bene che gli volevo: troppe le cose che avevamo in comune perché quell'unica differenza avesse importanza".
Come fa un classico ragazzo italiano a liberarsi dei pregiudizi sull'omosessualità?
"Nel mio caso, mi hanno aiutato molto i viaggi all'estero e la conoscenza di persone che venivano da culture meno conservatrici e machiste della nostra. Ma sono serviti anche le letture e il cinema. E non mi riferisco solo a film che raccontano storie gay, come quelli di Almodóvar. Mi riferisco a qualunque film ti faccia riflettere sulla necessità di permettere a tutti di integrarsi e avere gli stessi diritti. Qualunque film sugli ebrei, gli afroamericani, i diversamente abili. Non è questione di gusti sessuali diversi dai miei, è questione di fratellanza universale e cristiana. Gesù considerava suoi figli anche gli assassini, come si fa a non rispettare un fratello essere umano semplicemente perché è omosessuale?".
Quando un personaggio famoso fa coming out, che cosa pensa?
"Penso che, se ancora c'è chi sente il bisogno di gridarlo al mondo, vuol dire che l'uguaglianza è lontana. Io non mi presento dicendo: "Piacere, sono Raoul Bova, eterosessuale".
A proposito, lei lo interpreterebbe un gay al cinema?
"Certo. Non è mai capitata la sceneggiatura giusta, ma se arrivasse, perché no?". E se uno dei suoi figli, tra qualche anno, venisse a dirle: "Papà, sono gay"? "Penserei che se ha deciso di parlarne con me, di concedermi la sua fiducia su un aspetto così intimo della sua vita, è segno che, come padre, ho fatto un buon lavoro".
L'intervista completa su Vanity Fair in edicola dal 21 marzo.

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