5 milioni 300 mila telespettatori, pari al 20.02% di share, hanno seguito domenica sera su Raiuno il debutto della nuova fiction Braccialetti Rossi, diretta da Giacomo Campiotti. “È molto difficile controllare l’emotività, rifuggire dal ricatto del contenuto e dare un parere distaccato su Braccialetti Rossi“ scrive Aldo Grasso sul Corriere della Sera:
Quando una fiction racconta la vita di un ospedale che ospita malati molto gravi, quando poi questi malati sono bambini e adolescenti che devono fronteggiare esperienze molto dure, il cancro, l’anoressia, addirittura il coma, e che nel frattempo devono anche crescere, fare amicizia, scoprire i primi amori, la confezione del prodotto rischia subito di passare in secondo piano. I protagonisti di Braccialetti Rossi sono sei ragazzi malati, costretti a subire un lungo ricovero ospedaliero: tra loro c’è il carismatico Leo, che cerca di convincerli a entrare a far parte di una compagnia, una sorta di «gruppo dei pari» che li aiuti a vivere con più speranza e leggerezza i piccoli e grandi problemi della vita. Insieme a loro i medici e i genitori, spesso molto più «incasinati» dei loro figli. Un po’ romanzo di formazione e un po’ medical drama, la fiction, scritta da Giacomo Campiotti (che l’ha anche diretta) e Sandro Petraglia, a tratti ricorda il successo anni 90 Amico mio e il suo versante melodrammatico. Braccialetti Rossi dovrebbe servire a innovare e riportare su Rai1 il pregiato target giovane: si vede che il prodotto è più curato e ben fatto rispetto alla media generalista (anche grazie al cast e alla colonna sonora pop), ma non sfugge ad alcuni limiti: l’immancabile voce fuori campo (del bambino in coma) che raccorda le storie, la tenuta delle storie di contorno, il realismo nella rappresentazione dei casi. È così che la facile commozione rischia di sostituirsi all’approfondimento psicologico e alla tensione narrativa.
La giornalista de La Stampa Alessandra Comazzi esprime, dopo la prima puntata, la propria perplessità sulla fiction, che definisce comunque di qualità con ragazzini molto bravi: si tratta di un’operazione strappacore o di uno scossone alle coscienze? Invece per Stefania Carini di Europa Quotidiano la serie è una fiaba realistica:
La componente fiabesca è affidata a quattro supporti: la ambientazione in un ospedale italiano talmente splendido ed efficiente da far sembrare lazzaretti medievali quelli di E.R, di Grey’s Anatomy e del Dr. House; il bambino in coma nella funzione di io narrante; gli spiriti che comunicano tra loro se e quando i corpi, per l’arresto temporaneo delle funzioni vitali, allentano la presa; la solidarietà fra gli adolescenti, che indeboliti dalla malattia (cancro, anoressia, cuore, traumi) trovano forza nella solidarietà. La componente realistica risiede nel parlare del mondo reale, dove gli spiriti non comunicano e tendono semmai ad azzuffarsi appena i corpi glielo consentono, ma «per contrapposizione implicita», rappresentandolo cioè nel suo contrario. A farla breve, l’opposto della “filosofia” dei reality, di Uomini e Donne e dei mille altri programmi che partono dal presupposto che il pubblico debba essere servito solo e unicamente “di piatto”.
Per Mirella Poggialini de L’Avvenire il dolore della malattia è vinto dall’amicizia, che offre fiducia o almeno consolazione. Infatti:
la semplicità del racconto si sovrappone giustamente alla tragicità delle situazioni, creando un clima sorprendentemente sereno in un ambiente carico di dolore e di ansia. Perché in effetti un ospedale, per chi ci sia dentro e ci debba vivere esperienze spesso drammatiche, accoglie oltre che imprigionare, offre conforto e appoggio illuminati di costante speranza: e quando si tratta di ragazzi, fervidi di rabbia e di paura ma vitali in ogni loro manifestazione, può diventare un luogo di aggregazione solidale e affettuosa. Infermieri e dottori, magari non tutti dotati di comprensiva dolcezza, si alternano ai familiari, sovente angosciati sino allo smarrimento. E la fiction lo dimostra via via, mentre descrive con partecipe misura i drammi di ognuno – come il ragazzo cui deve essere amputata una gamba, colto nella sua ultima corsa nei corridoi – mentre il grande colpo di teatro, per così dire, è il piccolo Rocco, che giace in coma in una camerata e diventa il narratore e l’interprete delle ansie e delle paure di chi lo circonda, facendo da tramite, nel regno dei sogni e degli incubi, fra chi vive e chi sta per lasciare il mondo e volare via. Un’atmosfera pacatamente serena ha concluso la prima puntata con il tocco di un’amicizia salvifica, in cui i ragazzi ritrovano il sorriso e il senso del gioco, pur fra lettighe e respiratori, crisi cardiache e silenzi densi di panico. La malattia si vince – o si sopporta – attraverso il rapporto amicale, che offre fiducia o almeno consolazione nel candido mondo delle camerate in cui si cerca di placare il dolore.
La prima puntata è stata promossa anche dal Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Vincenzo Spadafora, per il quale “non era facile decidere di avventurarsi in una fiction ambientata in un ospedale per bambini. Non era facile far recitare ragazzi senza capelli perché affetti da tumore, eppure sorridenti, allegri, generosi. E soprattutto non era facile far capire che bambini e ragazzi hanno sempre dei diritti, anche e soprattutto quando la malattia li colpisce. Grazie quindi alla Rai e ai dirigenti della fiction”.