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Rassegna stampa: il ritorno dei Braccialetti conquista il pubblico più giovane

Creato il 22 febbraio 2015 da Iltelevisionario
Rassegna stampa Braccialetti Rossi 2

Il ritorno di Braccialetti Rossi su Rai1 con la seconda stagione

6 milioni 683 mila telespettatori, pari al 24.34% di share, hanno seguito domenica 15 febbraio il ritorno su Rai1 della fortunata serie Braccialetti Rossi. La seconda stagione è partita con circa mezzo milione di spettatori in più della media dei sei episodi della prima, pari a 6 milioni 193 mila telespettatori. La fiction ha conquistato un pubblico insolito per la prima rete Rai, in particolare quello con età compresa fra gli 8 e i 14 anni (oltre il 41% di share), fra i bambini con meno di 7 anni (35.7% di share) e fra gli adolescenti (31.4% di share), come si evince dall’elaborazione Geca su dati Auditel pubblicata sul Corriere della Sera in collaborazione con Massimo Scaglioni. La fiction ha convinto il pubblico del Centro e del Sud d’Italia, con picchi del 39% di share in Puglia e del 31% nelle Marche, mentre al Nord le medie si attestano poco sopra al 20%.

Per Aldo Grasso Braccialetti rossi conquista i giovani con una retorica buonista. Infatti, come scrive nella sua rubrica A fil di rete sul Corriere:

Se la vita in ospedale, da pazienti in lotta contro malattie che lasciano poche speranze, è dura, anche quella fuori dalle corsie non scherza, soprattutto se si è adolescenti e si devono affrontare tutte le sfide del passaggio all’età adulta. Questo il punto di partenza della seconda stagione di «Braccialetti Rossi», la fiction di Rai1 basata sulla serie spagnola «Polsere Vermelles», prodotta da Palomar e diretta da Giacomo Campiotti (domenica, ore 21.20). Il gruppo dei giovani protagonisti, legato dalla condivisione dell’esperienza tragica della malattia, sembra essersi sgretolato, come se l’amicizia faticasse a proseguire senza la protezione delle mura dell’ospedale, non solo un luogo d’angoscia. Leo (a cui intanto sono ricresciuti i capelli) pare vicino alle dimissioni dal reparto di oncologia ma le cose prendono una piega drammatica, Cris è tornata sui banchi di scuola: nella loro storia d’amore s’intromette un nuovo compagno di classe. Vale si è chiuso in se stesso e tutti rimpiangono Davide, morto tragicamente nella scorsa stagione e ritornato in versione fantasma in questi nuovi episodi. Nuovi protagonisti fanno il loro ingresso in scena e gli adulti della fiction sembrano quasi più impreparati e fragili dei ragazzi di fronte all’indescrivibilità della malattia. In verità, «Braccialetti rossi» è più interessante della media delle produzioni di Rai1: è riuscita a crearsi una sua comunità di spettatori giovani, da tempo disinteressati alla proposta del servizio pubblico (si sa che i loro consumi tv s’indirizzano verso altri lidi), ha cercato di rinfrescare un minimo lo stile narrativo anche con l’uso di una colonna sonora ben studiata da Niccolò Agliardi. Ma tutto questo non la salva dalla ricerca della lacrima facile, dalla banalità di certi passaggi nella sceneggiatura, dall’abuso del rallenty, dalla retorica buonista con cui tratta le tribolazioni, molto lontana dalla cognizione del dolore.

Braccialetti è “un inno alla vita”, scrive il giornalista Andrea Fagioli su L’Avvenire:

Di ospedali è piena la tv. Si può dire che abbiano contribuito a farne la storia. I camici bianchi sono sempre stati “in prima linea”: dal dottor Manson della Cittadella al collega Kildare, fino ai medici di E.R. Poche volte però hanno trattato la malattia come i Braccialetti rossi, tornati domenica su Raiuno, anche perché gli “eroi” non sono più i medici ma i degenti, che poi, di fatto, più che eroi, almeno inizialmente, sono anti-eroi: ragazzi normali e per di più malati. Diventano “eroi” strada facendo, quando imparano a dispensare saggezza, affetto e comprensione, come Leo, chiamato in questa seconda serie ad affrontare una nuova e dura prova fisica (un tumore che si ripresenta addirittura alla testa), ma anche sentimentale. Mentre i ragazzi che in ospedale avevano creato il gruppo dei braccialetti rossi si stanno perdendo. Per farli tornare insieme ci voleva un intervento… soprannaturale. Ecco allora che Davide, morto al termine della prima serie, torna (con un espediente forse eccessivo) come una “presenza” che solo Tony, nella sua semplicità, può sentire e vedere. Anche per questo, ancora di più, i Braccialetti rossi 2 si presentano come una favola, che non a caso inizia con il tradizionale «C’era una volta un mondo e dentro il mondo un mare… una costa… un ospedale diverso da tutti gli altri. C’era una volta e c’è ancora…». Effettivamente nessun ospedale è forse costruito in mezzo agli ulivi secolari, con vista mare e stanze colorate dove ci si può muovere come a casa. Ma la favola è favola e come tale ha la sua morale, che in questo caso è un inno alla vita attraverso il valore dell’amicizia e della solidarietà, con dentro tutti i temi che interessano gli adolescenti (l’amore, la scuola, le incomprensioni, il rapporto con i genitori…). È anche educazione alla malattia, al fatto che prima o poi tutti dobbiamo fare i conti con la sofferenza. A dimostrazione, infine, che non si può più considerare la tv fuori dal contesto dei social network, soprattutto se si rivolge ai più giovani, dobbiamo sottolineare come ci sia un rimando continuo al web. Del resto la prima serie di Braccialetti rossi è stata un vero successo multimediale, creando su Facebook una community tra le più vaste ed affezionate per un prodotto televisivo e realizzando su Twitter milioni di visualizzazioni.

 

Il critico Antonio Dipollina analizza su Repubblica il successo della fiction:

Il non luogo perfetto in tv è l’ospedale, quello di Braccialetti Rossi, va da sé, seconda stagione appena partita nella Raiuno post-festival con ottimi ascolti. Il viluppo di storie attorno ai pazienti dell’oncologia pediatrica è realizzato per fare il pieno di tutto il pubblico giovane di riferimento. Sono piuttosto cresciuti tutti i giovani della prima stagione, ma l’insieme – modulato tra social, colonne sonore, divismo a fine di bene e buone cause – rimane al potente spunto di partenza. I ragazzi ammalati e il non luogo, appunto, come posto ideale per basiche dinamiche di vita e sentimenti. Quelli che sono stati dimessi vogliono rientrare, mentre chi vorrebbe andarsene ricade nei pessimi risultati delle analisi, ma arrivano nuove pazienti, casualmente tutte piuttosto carine. All’occhio adulto non sfugge nessuno dei trucchi, ma la vicenda piace e a eccepire arrivano i sensi di colpa, del tutto fuori luogo.

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