Rassegna stampa dedicata alla miniserie di Raiuno Walter Chiari, fino all’ultima risata, che ha ripercorso la vita intensa e travagliata di uno degli attori più amati e al tempo stesso controversi del ventesimo secolo, interpretato da Alessio Boni affiancato da Dajana Roncione nel ruolo di Alida Chelli, madre del suo unico figlio Simone, e Bianca Guaccero nei panni dell’amica Valeria Fabrizi. Le due puntate della miniserie, in onda domenica 26 e lunedì 27 febbraio, sono state seguite in media da quasi 6 milioni di telespettatori (21.83% di share).
La caricatura di Chiari ma Boni si salva
(A fil di rete di Aldo Grasso – Corriere della Sera) Per chi ha profondamente amato Walter Chiari, l’artista più che l’uomo, la biografia interpretata da Alessio Boni è stata una vera sofferenza. Per dire l’accuratezza con cui hanno lavorato gli sceneggiatori: quando viene arrestato nel 1970 dalla Guardia di Finanza per spaccio di droga e portato in carcere, Chiari-Boni grida: «Questa non è giustizia, è giustizialismo». Ora in quell’anno, come attestano i dizionari, con «giustizialismo» si definiva la dottrina politica del presidente dell’Argentina Perón. Ma è tutto così, alla ricostruzione si è preferito la caricatura. Prodotta da Luca Barbareschi, scritta da Enzo Monteleone, Luca Rossi, diretta dallo stesso Monteleone, interpretata da Boni, Bianca Guaccero, Caterina Misasi, Anna Drijver, Dajana Roncione, la miniserie in due puntate «Walter Chiari. Fino all’ultima risata» è una rivisitazione superficiale e maldestra. E dire che con tutto il materiale di repertorio che esiste su uno dei più grandi entertainer dello spettacolo italiano era quasi impossibile costruire una fiction così brutta. Ci sono riusciti (Raiuno, domenica, ore 21.30). Sembra che la vita di Chiari sia solo una sfilata di belle donne, la storia di un talento naturale sconfitto dalla dipendenza dalla droga, un ruotare attorno alla figura del figlio Simone. Manca totalmente la dimensione tragica, che oggi forse è l’unica chiave per riscoprire Walter: dietro ai suoi successi c’è un perdente, dietro al genio non c’è soltanto la sregolatezza, quanto piuttosto la solitudine che sgretola ogni certezza. Chiari voleva trasformare la sua vita di tutti giorni in palcoscenico, costretto fatalmente a recitarvi la parte dell’ingenuo maledetto. L’unico a salvarsi è Alessio Boni, fin troppo, però, sprofondato nella parte. P.S. Ma, un giorno, vivremo mai in un paese in cui la Rai, il Servizio pubblico, decide che finanziare una casa di produzione di un parlamentare in carica è cosa quanto meno inopportuna?
Basta Boni per rifare Walter Chiari?
(L’Indice di Mirella Poggialini – L’Avvenire) È Walter Chiari a vincere, con la sua storia densa di ombre a mascherare risate, o è Alessio Boni a conquistare lo spettatore per la sua interpretazione attenta e ricca, fedele al personaggio colto con grande precisione psicologica? In una miniserie biografica, proposta da Raiuno domenica e lunedì, Walter Chiari, Fino all’ultima risata, dopo aver impersonato Caravaggio e Puccini, Boni – con l’aiuto di un trucco accuratissimo e di un’evidente studio del modello – ha sfidato il rischio di un calo di attenzione legato alla notorietà di Chiari, ancora presente nella memoria del pubblico, e quindi meno adatto a stimolare la curiosità per la sua vicenda umana. Sfida vinta per l’auditel con 5.535.000 spettatori e uno share del 21,01%, per la prima parte: e soprattutto la rievocazione misurata, senza voli di fantasia, sul mondo del varietà, del cinema e della tv, quale si presentava mezzo secolo fa. Un’operazione-memoria che dei trionfi e delle crisi, fra i “divi” dell’epoca d’oro, fa un ritratto semplice e sincero, come dimostra la seconda parte della miniserie, in cui la fama si tramuta in sventura. Boni/Chiari diventa quindi, senza eccessi, il ritratto di una società e dei suoi miti, attraverso un personaggio in grado di comunicare, nella sua poliedrica attività, il senso di una espressività immediata che sapeva coinvolgere e far sorridere. La regia di Enzo Monteleone ha saputo semplificare senza costringere, evitando enfasi e sottolineature: le figure di contorno, eccettuata Bianca Guaccero, sono risultate meno efficaci sia sul piano della somiglianza (fisica e di carattere) sia nel ruolo di maniera loro attribuito. Il protagonista era Walter, «il figlio del poliziotto», un ragazzo come tanti arrivato – per merito – alla fama e all’amore del pubblico, a una vita brillante ma mal spesa, prima di una deriva amarissima. Una biografia che è anche la storia malinconica di tanti altri che come lui si sono perduti.
Walter. Soltanto una fiction
(di Massimo Tosti – Italia Oggi) A una domanda di Mara Venier a La vita in diretta (Raiuno, lunedì, ore 15.15) su cosa pensasse della fiction dedicata al padre, Simone Annichiarico ha risposto: “E’una fiction”. Replica esauriente. Walter Chiari, fino all’ultima risata è una fiction, nel vero senso della parola. Simone figura nei titoli di testa come “consulente”, e recita in un piccolo cameo all’inizio della prima puntata: chiede un autografo a Walter, davanti alla sede della Rai in via Asiago, e gli confessa: “Mia madre dice che le somiglio”. Ma la risposta data alla Venier è la doverosa presa di distanza dalla versione romanzata di suo padre diretta da Enzo Monteleone (e prodotta da Luca Barbareschi, che ha dichiarato di aver tenuto fede a una promessa fatta a Walter tantissimi anni fa) e interpretata da un bravissimo (e persino somigliante) Alessio Boni. L’impresa era decisamente ardua, perché per chi è entrato (da poco o da molto) negli “anta”, il ricordo dell’attore, della sua simpatia, delle sue vicende (i successi, ma anche le vicende drammatiche che lo coinvolsero) è talmente vivo da non accettare ricostruzioni necessariamente superficiali. Un prodotto ben confezionato, ma freddo, che non suscita le emozioni che era capace di provocare l’originale. Un grandissimo protagonista delle scene televisive, teatrali e cinematografiche, la preda preferita dei paparazzi per le sue conquiste amorose (da Lucia Bosè ad Ava Gardner, per citare le due che più sollecitarono l’interesse dei settimanali di gossip), un genio assoluto dell’improvvisazione, il re dell’affabulazione, ma anche l’uomo distrutto dal processo per uso di cocaina che gli costò l’isolamento nel mondo dello spettacolo. Gli sceneggiatori hanno ridotto tutto a una serie di episodi (alcuni veri, altri inventati), senza riuscire a ricostruire il fascino di Walter, un fuoriclasse che non si può raccontare, perché tutto è stato raccontato “in diretta” da lui, quando era vivo, e riempiva la scena, da autentico mattatore della risata (o della disperazione, mai esibita).
TV&TV
(di Alessandra Comazzi – La Stampa) Chissà quale effetto ha fatto Walter Chiari su coloro che non l’hanno conosciuto, lontanissimi non soltanto dai tempi della rivista, dei Fratelli De Rege con Campanini, delle decine di film e belle donne, con Ava Gardner come solitario diadema delle conquiste. Ma lontanissimi anche dagli anni della popolarità tv, affabulazioni e barzellette, dell’arresto per uso e spaccio di cocaina, del ritorno in teatro: a Torino, per esempio, arrivò a metà degli anni ’80, chiamato da Gregoretti che allora dirigeva lo Stabile, e recitò in un ottimo “Critico” di Sheridan, traduzione di Masolino d’Amico. Chissà che effetto farò Walter Chiari conosciuto attraverso lo sceneggiato in onda l’altra sera e ieri su Raiuno, regista Enzo Monteleone, produzione Casanova di Barbareschi, ruolo cameo per il figlio di Walter, Simone Annichiarico. Ebbene, hanno visto intanto una davvero interpretazione di Alessio Boni, signor attore d’Accademia. E’inutile, chi ha studiato per fare quel mestiere lì è più bravo degli altri. Dunque Boni, alla Actor’s Studio, “diventa” Chiari. Ma allo tempo, alla italiana, alla Mastroianni, non imita ma interpreta. Brava la Guaccero-Valeria Fabrizi. Un bel lavoro, peccato che, oltre alla personalità dell’artista, non sia resa di più pure l’aria dei tempi. Deve essere questione di costi.
Walter Chiari, l’ultima occasione persa
(La Teledipendente di Stefania Carini – Europa Quotidiano) È quasi la fine, quand’ecco l’ultima fatidica occasione per Walter Chiari: un film presentato alla Mostra del cinema di Venezia, Romance(1986), con tanto di possibile vittoria della Coppa Volpi. Un film così pregnante che si sprecano lodi sui giornali, e pure Repubblicascrive: «Era da tempo che non si vedeva una coppia così affiatata. Ottimo Luca Barbareschi…». Senza pudore: il produttore Barbareschi cita in una sua fiction l’“ottimo” attore Barbareschi. E allora ci si chiede se quel film fosse stato vissuto con quell’enfasi da Chiari, o se invece sia solo il ricordo trasfigurato di un giovin attore. È proprio questa mancanza di messa a fuoco (oltre a ricostruzioni imprecise) che si registra in tutta la fiction. Certo, la Casanova del sopracitato Barbareschi ha buoni valori produttivi (i soldi ci sono, così come una certa cura formale), ma al solito manca la scrittura. Le biografie nel nostro paese hanno un che di cristologico, sarà il nostro retaggio cattolico. Quando si deve metter in scena la vita di un personaggio vanno fatte delle scelte. Quale periodo raccontare? E perché? E poi ancora: se si usa il flashback, è spesso per metter in scena periodi di vita lontanissimi tra loro, creando così un contrasto che focalizzi il percorso del protagonista. In Walter Chiari non c’è nulla di tutto questo. Tutta la sua vita viene messa in scena: si parte dall’arresto per risalire alla giovinezza, e poi le due linee temporali si ricongiungono fino a raccontare la sua morte davanti alla tv. Che scelta kitsch: Alessio Boni che fa Chiari “muore” vedendo il vero Chiari sul piccolo schermo, riesumato grazie al materiale d’archivio. Ecco, siamo alla sacra sindone audiovisiva: il fantasma in video si appoggia sul suo calco in fiction, e dovrebbe così marchiare di verità quanto raccontato. La vita di Chiari è una via crucis con le sue stazioni, e tutto scorre fino all’inesorabile Fine. Se ne raccontano i Miracoli (il successo) e i Dolori (droga, infarto, vecchiaia) come se tutto fosse già scritto e dunque ovvio, impossibile andare oltre, in profondo. Alessio Boni tiene in piedi tutta la narrazione, ha studiato ogni mossa di Chiari, ne è il suo fedele calco. E però, il rischio è che la risata perfettamente imitata non diventi mai sfumatura dolorosa, che Boni non riesca così ad apportare nulla di suo al personaggio. Ma nelle sacre rappresentazioni i caratteri sono già dati, e non serve altro.