Per quanto possa sembrare incredibile nella “narrazione” su Pino Rauti, dai coccodrilli alla narrazione dell’epica della scena di Fini ai funerali, manca la parola chiave: fascismo. Proprio non è uscita dalle penne e dalle bocche dei commentatori nonostante i saluti romani, le croci celtiche e quello spirito da squadraccia, che persino la figlia di Rauti ha stigmatizzato, dando ai partecipanti alla gazzarra dei vigliacchi che si sfogano ai funerali, ma non hanno osato dire nulla prima.
Ed è molto strano che quella parola manchi, perché se c’è stato un vero fascista nel Msi e più in generale nella destra italiana, quello è stato proprio Rauti. Tanto fascista da non essere nostalgico, da non lasciarsi trascinare da simbologie di un passato che in quella forma non sarebbe più potuto tornare. Le tesi dello “sfondamento a sinistra” sono state spesso prese come un segnale di distacco quando invece erano una strategia per uscire dalla nicchia più o meno grande della memoria. Non fu capito da un partito diviso tra un anacronistico revanscismo e la difesa di interessi bottegai lungo un percorso che va dal doppiopetto strumentale indossato nei primi anni ’50 per rendersi disponibili per operazioni della destra democristiana, alla difesa dei 740 invocata da fini nella campagna elettorale del 2001. E del resto i funerali a suon di camerata e saluti romani dimostra come i suoi fan non abbiano capito gran che.
Rauti è sempre rimasto in disparte dal momento che era portatore di una sorta di fascismo mistico di stampo evoliano, qualcosa che ha a che fare con la ricerca del Graal, piuttosto che con la società reale e la cui derivazione cattolica è evidentissima. .Qualcosa infatti che affascinava più le frange estreme e giovanili che purtroppo sono rimaste tali anche in vecchiaia. Però non bisogna pensare che questa sorta di idealità astratta rimanesse confinata dentro il sogno. Rauti infatti è stato un protagonista della parte più buia e notturna della Repubblica, ed è per questo che ancora di più stupisce la mancanza della parola fascista.
Sebbene sia stato indagato sia per la strage di Piazza Fontana che di Piazza della Loggia è stato scagionato da responsabilità dirette. Ma da quelle morali certo no. Rauti infatti aveva stretti rapporti con l’Aginter press, un’organizzazione eversiva del fascismo internazionale con sede nel Portogallo di Salazar, che si proponeva di portare disordine e caos nelle democrazie occidentali: ”la prima parte della nostra azione politica debba essere quella di favorire l’installazione del caos in tutte le strutture del regime. È necessario cominciare a minare l’economia dello Stato per giungere a creare confusione in tutto l’apparato legale”.Così recita uno dei documenti guida. Ed è ovvio che questo disordine implicava violenza, attentati e la creazione di cellule segrete in grado di prendere il potere con il pretesto di riportare ordine. E nemmeno da questo punto di vista Rauti è stato assente: fu proprio lui a inaugurare il “metodo piduista” che poi ispirò Gelli: nel 1965 è protagonista e di fatto organizzatore di un incontro sul tema della “guerra rivoluzionaria” finanziato dallo stato maggiore dell’esercito e al quale parteciparono imprenditori, grand commis dello stato, oltre ai manipoli fascisti. Rauti parlò della ” tattica di penetrazione comunista in Italia”. E dei metodi per opporvisi, secondo le linee dell’Aginter.
Ma sono tutte cose che non si possono dire, che sono state dimenticate, che si sono volute dimenticare. E non si tratta di rispetto peloso per il caro estinto che certamente sarebbe orgoglioso di sentirsi chiamare fascista a meno di non considerare la sua vita priva di senso. La parola non è stata detta perché si è perso il senso e la bussola della politica dentro un calderone dove tutto si confonde e perde di significato. Che è proprio ciò che si vuole: la tabula rasa da riempire con le formule della finanza. E di certo Rauti ne sarebbe stato offeso.