di Francesca Battistella
“Quella mano di carte, comunque, s’inabissò nella memoria fino all’ultima domenica di ottobre del 1986 in cui l’asso di spade comparve al sedicesimo posto preceduto dal fante di pari seme, a significare che Don Cecè sarebbe morto.”
Maricò legge il futuro nei sogni e nelle carte: un dono che costituisce al tempo stesso “la sua fortuna e la sua maledizione”. E se la buona sorte, nelle vicende umane, tende a manifestarsi con una certa parsimonia, le maledizioni non tardano a presentare il conto franandoci addosso quando meno ne avremmo bisogno: ecco dunque che, nel volgere di un paio di mesi, il destino di Don Cecè Tarallo detto o’ femmeniello si compirà gettando sulle spalle dell’incolpevole sognatrice, proprietaria della pensione “Casa Serena” e protagonista del romanzo in commento, un’eredità pesantissima: l’eco di un segreto a dir poco inconfessabile e una vicenda tenebrosa – il rapimento e la successiva scomparsa del nipote di Vittorio Amitrano, spietato boss della camorra – che dal passato domanda a gran voce la sua vendetta.
Lo sfondo è una Napoli “a due facce”: la Napoli chiassosa e trionfale del primo scudetto, delle prodezze miracolistiche di Maradona, e la Napoli insanguinata e ferita a morte dalla criminalità organizzata. Una città di grande fascino che sente il peso delle proprie cicatrici ma sa regalarsi – e regalarci – più di un sorriso (spiraglio commediesco nella tragedia, le camere in affitto di “Casa Serena” offrono gustosi siparietti e persino una fresca, romanticissima, storia d’amore).
Re di bastoni, in piedi è un noir (un giallo?) atipico quasi totalmente impermeabile ai cliché più sfruttati del genere: la trama – intrigante anche se non troppo originale – si dipana con garbo e misura seguendo, sul filo di un’ironia che all’occasione sa rivelarsi pungente, ritmi e traiettorie del tutto peculiari. I personaggi sono caratterizzati con grande abilità e costituiscono, senz’alcun dubbio, il punto di forza del romanzo: attraverso l’uso sapiente del dialetto e una fitta rete di dialoghi che non esitiamo a definire brillanti, l’autrice riesce nella non facile impresa di dipingere un affresco vivo e verosimile. A dispetto della poca suspense e dei pochi – pochissimi! – misteri, insomma, la lettura è assai piacevole: lo si deve al talento di Francesca Battistella per la narrazione, al suo gusto squisitamente cinematografico per la battuta (non a caso nel 2011 il romanzo è stato selezionato da TorinoFilmLab per un adattamento in sceneggiatura).
Consigliato.
Simona Tassara
- da Fralerighe Crime n. 8 (recensione originariamente pubblicata sul blog di Uno Studio in Giallo)