Giorgio Napolitano, primo presidente della storia repubblicana ad essere stato rieletto (navecorsara.it)
Tu chiamale, se vuoi, rielezioni. Giorgio Napolitano, 88 anni il prossimo 29 giugno, si è dimesso nella mattinata di luned¡ 22 aprile dalla carica di Presidente della Repubblica italiana. Il pomeriggio dello stesso giorno Napolitano giura come nuovo Presidente dopo essere stato rieletto con 738 voti al sesto scrutinio, altro capitolo di una delle pagine più travagliate della storia repubblicana. Nel bel mezzo di una crisi economica e istituzionale che, in tempi di pace, non ha precedenti, la scelta della classe politica italiana (Pd in testa) è stata inequivocabilmente infantile: non siamo in grado di fare da soli e ci affidiamo all’anziano saggio che ancora una volta dovrà tenere – di fatto – le redini del paese. Altro che “tirare la giacchetta”: qui ci si è proprio nascosti in preda a imbarazzo, vergogna e conscia inadeguatezza dietro le gambe ritenute salde e possenti di chi è ritenuto più grande e più responsabile.
Nel mezzo della tempesta l’implosione (per molti ormai un vero e proprio suicidio) del Partito Democratico a guida Bersani, passato nel giro di nemmeno due mesi dall’essere il grande favorito prima delle elezioni politiche a diventare una pentola a pressione che invece di esplodere è, tanto semplicemente quanto clamorosamente, collassata. Dilaniata da correnti, veti incrociati, antipatie personali e regolamenti di conti la creatura politica piddina è sull’orlo del baratro: il fallimento certificato della segreteria ormai (forse) alla porta impone una ridefinizione in tempi rapidi di idee, percorsi e persone. Nemmeno Matteo Renzi, sconfitto alle primarie del dicembre 2012 da Bersani, è attualmente nella posizione di garantire un futuro roseo al partito. Il sindaco di Firenze è rimasto coinvolto nei giochi e negli intrighi delle nomine dei candidati presidenti, scottato dall’appoggio a Prodi e dalle documentate riunioni col nemico “storico” all’interno del Partito Democratico, Massimo D’Alema, che hanno fatto un po’ sbiadrire il ruolo di rottamatore del giovin Matteo, che dovrà ora essere abile nel sapersi imporre come leader navigato e attento senza perdere l’etichetta di innovatore e rottamatore che gli farebbe pescare tonnellate di voti a destra.
Dopo la rielezione di Napolitano, in ogni caso, ci sarà del tutto verosimilmente un governo del Presidente. Perché re Giorgio è colui che, volente o nolente, (“obtorto colle”, è stato brillantemente sottolineato) come il santo omonimo della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, ha ucciso il drago dello stallo “Quirinale” accettando la candidatura – di fatto una vera e propria investitura – per un secondo mandato. Si fa bene a sottolineare come poco più di una settimana fa lo stesso Napolitano rispedisse al mittente, bollandola come “ridicola”, l’ipotesi di una sua rielezione. Ma il quadro nel giro di sette giorni, dal primo scrutinio con la proposta del Pd di Marini, è stato stravolto dalla liquefazione del Partito Democratico. Come il Santo, che nella leggenda promise alla popolazione del villaggio terrorizzato dal drago di uccidere la bestia in cambio di una conversione in massa tramite battesimo, così il nuovo e vecchio Presidente sarà in una certa misura al di sopra dei partiti nella definizione del nuovo esecutivo. In cambio del soccorso prestato, la sua volontà sarà determinante e ad essa i partiti dovranno bene o male adeguarsi, a meno di non volere continuare questo gioco rischiosisismo di interessi di parte e fazione che al Pd costerà molto, quasi tutto, e al Pdl molto non nell’immediato ma sul medio-lungo termine. La fine pidiellina di fatto coinciderà con quella del padre-padrone-fondatore, Silvio Berlusconi. Grillo e il suo costituzionalista di riferimento Paolo Becchi hanno invece definito la rielezione di Napolitano un vero e proprio colpo di stato, rifacendosi al 18 brumaio 1852 di Luigi Bonaparte e alle riflessioni di Marx e Curzio Malaparte sull’evento. Forse è eccessivo, ma è difficile negare come questa fase storica e poltica dell’Italia repubblicana sia nei suoi sviluppi parecchio distante dalle intenzioni fondanti dei padri costituenti. Il parlamentarismo, cuore dell’ordinamento italiano, è di fatto bloccato da diverso tempo e la connotazione sempre più spiccatamente “presidenzialista” dell’assetto costituzionale del Belpaese rischia di creare, se non un pericoloso precedente, quantomeno un’anomalia che potrebbe rappresentare nei prossimi anni una sorta di boomerang.
Buona terza Repubblica a tutti