Capelli biondi e occhi azzurri sul viso scavato, tutto zigomi. La storia di Jacques Anquetil, principino secco e gaudente, è a metà tra la fiaba e la trama di un film di Hollywood. Suo padre faceva il coltivatore di fragole a Rouen e il desiderio di correre in bicicletta e soprattutto di vincere, forse glielo aveva trasmesso Fausto Coppi. Sì, Fostò: Jacques, ancora ragazzo, lo incontra e ne rimane incantato. Coppi è tutto quello che lui vorrebbe essere. E non solo professionalmente, anche nella sua esistenza. Pensa, Jacques, alla sua grande villa, alla vita di agi che lo rendeva una specie di idolo di cristallo.
Una vita da rocker, vorrebbe: palcoscenico, urla, sudore suo e del pubblico, applausi e luci. E Champagne, del quale va matto, una villa, donne. Il ciclismo non è questo, no. Eppure Jacques, anima dai tanti contrasti, si mette in sella presto. A soli diciannove anni, al Gran Prix des Nations, vince con sei minuti di vantaggio sul secondo classificato. Le cronometro saranno per lui un sigillo. Il fisico asciutto, senza un filo di grasso, che lo fa assomigliare a uno scattante levriero, la posizione perfetta, elegante, aerodinamica, gli regalano l’amicizia con il tempo. Tempo che manovra, usa, sfianca, anche nella vita. E’ lui il dominatore. Lui sceglie, con accuratezza e sventatezza insieme, le gare che saranno le sue predilette. Dalla cassaforte del suo tesoro centellina il suo talento, lo divide forse scelleratamente con l’esistenza gaudente, un po’ dannunziana, che conduce. Nessuna dieta del ciclista, per lui. Gli piacciono le ostriche, il vino bianco, il whisky e andare a cento all’ora con la sua automobile nuova verso la Costa Azzurra. I compromessi non fanno per lui, per il suo carattere un po’ indomabile, senza pregiudizi. Tra la sua vita privata e la bicicletta c’è un abisso. La villa-castello che ha comprato in Normandia, ad Ambreville, con attorno 250 ettari di boschi e prati l’ha chiamata Parc des Elfes. Un nome sognante, che mischia la vita un po’ disperata da rockstar con le favole per bambini, dove Jacques è il re assoluto. Le luci della residenza principesca sono sempre accese e il giradischi non si ferma mai. Tranne quando Anquetil si isola per preparare le corse. Niente feste, niente risate: sul castello scendono sere e notti tranquille prima dei Tour che decide di fare suoi. Cinque ne vincerà, nella sua carriera. E il pubblico, forse, non lo tratta come si immaginava: niente adorazione viscerale, per lui. La gente sa che è un corridore di razza, un campione puro ma la devozione è ben lontana. Jacques cambia le carte in tavola anche in una sola tappa ma lo fa senza spettacolarità: è un ciclista metodico, forse troppo serio e il pubblico non lo riconosce del tutto come “re”. Preferisce il sorridente Pou Pou, l’eterno secondo, per lui sì che l’amore trabocca spontaneo e verace.
Nel 1956 il biondino di Rouen sfida il suo idolo sul terreno che ama: tenta il record dell’ora che era ancora nelle mani di Fausto Coppi. Il primo fallimento lo sprona per la vittoria: conquista il primato con 46, 393 km. Non vuole tutto, re Jacques, vuole solo quello che dice lui. Potrebbe dominare anche nelle grandi classiche ma le sue preparazioni le dedica solo alle cronometro e ai Grandi Giri. Potrebbe avere tutte le donne che vuole ma si innamora follemente della moglie del suo medico: Janine. “Al cuore non si comanda” viene da dire. E infatti Jacques non è abituato né a comandare né a essere comandato. A Janine bionda, di sei anni più grande, fa una corte spietata fino a farla divorziare, sposarla e portarla con sé nella Villa degli Elfi, con i figli.
E’ strano, Jacques, figlio di un raccoglitore di fragole che vive in un castello come un re ed è capace di soffrire in bicicletta, vincendo tra ali di un pubblico che lo ammira ma non lo venera. Quando decide di lasciare il ciclismo pedalato, nel 1969, la vita della Villa degli Elfi lo assorbe completamente. L’esistenza fuori dagli schemi lo porta a soddisfare il suo desiderio di paternità con la figlia di Janine e ad innamorarsi poi della nuora acquisita Dominique.
Amori. Fino alla fine ha amato, Jacques. Ha amato la vita e la bicicletta: mondi divisi da un abisso che per lui non fu incolmabile. Vita da rocker fino alla fine, quando le luci si sono spente troppo in fretta, troppo presto. La maledizione dei ventisette, dicono nel mondo della musica: Kurt Cobain, Janis Joplin, Jimi Hendrix. Jaques Anquetil aveva cinquantatrè anni quando se ne andò e forse lo sapeva che la sua vecchiaia non l’avrebbe vissuta. “Non arriverò alla sua età” aveva detto a Janine quando aveva appreso della morte di suo padre.
Età. Tempo.
La sapeva lunga, Jaques, sul tempo. Sapeva che si doveva afferrare subito, senza esitazioni. Aveva il fisico ma anche la testa e l’anima da cronoman. Sapeva dominarlo, il tempo. Come fece con tutte le altre cose della sua esistenza. Solo il buio faceva paura a re Jacques che, di notte, teneva accese tutte le luci del suo castello. Janine stessa ricordava che il marito non dormiva mai con la luce spenta.
Il perché non lo sapremo mai.
Tutti i campioni hanno i loro fantasmi. E, forse, è proprio per questo che diventano leggenda.