marzo 26, 2011 By Paolo
La classe politica marocchina, tutta, senza distinzioni, ha salutato le riforme annunciate da Mohammed VI nel suo discorso del 6 marzo. Come la più parte dei patners internazionali del reame. In politica, come in amore, l’anticipazione è sinonimo di longevità. Sorprendendo il suo popolo annunciando una riforma della Costituzione, il re Mohammed VI ha consolidato il suo trono con lucidità. Questo discorso è stata la muraglia del suo reame, per scansare l’onda rivoluzionaria che ha investito l’anziano mondo arabo. “Storico”, “coraggioso”, “visionario”,, queste sono le parole usate per qualificare il discorso reale del 9 marzo scorso. La classe politica, la stampa ufficiale e indipendente, ma anche i cittadini, barbuti o baffuti, giovani e anziani, hanno salutato il Senso della Storia manifestato dal sovrano marocchino. Dopo aver visto passare il TGV tunisino e egiziano, Nicolas Sarkozy, personaggio politico che crea dubbi su alcuni, si è espresso con temini come “la chiaroveggenza” e la “saggezza” di “SAR Maestà”. Washington non ha tardato a felicitarsi, mentre Madrid sottolineava “la capacità di leadership” del figlio di Hassan II. Da fondale a tutto questo, con riserva di mantenere le sue promesse, il reale indirizzo non puo’ che far gioire i democratici sinceri. La nuova Costituzione, che sarà sottomessa a referendum, “consacrerà” la dimensione amazigh del popolo marocchino, “elargirà” le libertà pubbliche, “erigerà” la giustizia marocchina, oggi sofferente, “a rango di potere indipendente” e validerà i principi di separazione dei poteri. Il Primo Ministro, dirigente del partito in testa alle elezioni legislative, sarà il vero “capo dell’esecutivo”, la vita pubblica sarà moralizzata e i “principi di regionalizzazione avanzata” dovranno permettere di risolvere l’equazione del Sahara occidentale. Tutto questo sarà inciso nel marmo. Queste promesse daranno termine allo strano concetto della “monarchia esecutiva”, che giustificava la concentrazione e la realtà dei poteri politici ed economici dietro le pesanti porte del Palazzo. Con riserva, ancora una volta, nelle sue declinazioni, questo programma dovrà soddisfare i democratici, chi ha da lungo tempo alzato la voce con il motto”Un re che regna e un Governo che governi”. Tutto questo comporterà una iscrizione pacifica e naturale nel corso della Storia e nei processi di rinascita politica del mondo arabo. Gli slogans delle manifestazioni del 20 febbraio e 20 marzo, uguaglianza, democrazia, dignità, libertà, sono stati recepiti e la sindrome dell’autismo benalista ha risparmiato Rabat. Il re ha voluto lanciare un messaggio forte e chiaro: “Vi ho capiti”. Ma è anche nella forma che Mohammed VI è riuscito nell’operazione di chirurgia democratica. Circondato da suo fratello, Moulay Rachid, e da suo figlio Hassan, con lo sfondo della bandiera nazionale, il sovrano si è indirizzato alla nazione con solennità, mentre tutta la Rabat politica era stordita dalle informazioni vaghe della reale iniziativa. Dimissioni del governo oramai scaduto di Abbas El Fassi? Fuoriuscita dei walis in serie? Nuove promesse di “sviluppo umano”? L’oligarchia economica del reame e i dinosauri della classe politica hanno fremuto prima di ascoltare il re, con la quasi-totalità dei quotidiani marocchini, vittime anche esse di blocchi sovietici. Hassan II aveva chiuso il cerchio di Franco con la Marcia Verde. Mohammed VI ha aperto quello della governanza araba del XX° secolo. Un figlio, a volte, è fedele “al talento” del padre, tralasciando il resto.
Credits: Jeune Afrique – Nicolas Marmiè – Rabat