22 luglio 2013 Lascia un commento
E’ la storia sopra le righe ma non di meno drammatica di Rupert Pupkin un figlio del vuoto televisivo con un passato difficile, un uomo incapace di distinguere la fantasia che lo vuole divo alla pari del suo idolo Jerry Langford (Jerry Lewis), quando nella realta’ e’ poco piu’ che un disadattato.
Con maestri come quelli televisivi, le menti piu’ deboli cedono e Rupert Pupkin di cio’ non e’ forse archetipo ma modello si.
Scorsese si rivolge alla propria esperienza e al mestiere gia’ acquisito e non inventa molto, lascia la sua impronta per quanto il film sia totalmente attoriale e sulle forti spalle di De Niro e Lewis poggi l’intera struttura.
Il cortocircuito metanarrativo tra Lewis e’ il suo personaggio e’ la grande invenzione, l’idea fondamentale e da li’ lo sviluppo e’ quasi automatico. La follia di Pupkin e’ riversata sullo spettatore attraverso la confusione che in breve tempo si sposta dalla sua mente allo schermo e se fino ad un certo punto e’ facile distinguere la fantasia dalla realta’, lentamente queste si confondono ed e’ qui che Scorsese rafforza la sua presenza ed esalta il proprio mestiere. Del resto a ben vedere, la formula e’ mutuata pari pari da "Taxi driver" del quale segue le orme sin nella conclusione, per quanto lo faccia con toni molto molto piu’ leggeri e divertiti e De Niro in fondo veste gli stessi abiti sociopatici gia’ indossati da Travis e ancora prima dal Jon Rubin di depalmiama memoria
Nulla da dire sui protagonisti. In questi anni ho sviluppato un’anomala antipatia per De Niro credo dovuta al fatto che piu’ passano gli anni piu’ si ridimensiona il passato glorioso che pure ci ha offerto performance straordinarie e comunque la vicinanza temporale dalle avventure di Jake LaMotta, sottolinea la versatilita’ di un attore che in quegli anni era davvero al suo massimo.
Lewis e’ lontanissimo dal "picchiatello" che fu, una maschera indossata da un grande professionista ed esperto conoscitore del mondo dello spettacolo, che si manifesta in tutta la sua grandezza ed importanza.
Particina minuscola ma mi e’ piaciuta tantissimo Shelley Hack, anche per ricordarci che si puo’ essere grandi attori e attrici anche in piccoli ruoli.
Buono ma c’e’ qualcosa di imperfetto che resta sottotraccia in virtu’ delle tante forze in campo fin troppo esagerate per un soggetto tanto piccolo, per via di De Niro gia’ visto e per lo spirito per certi versi anticipatore ma gia’ surclassato dal "Videodrome" di Cronenberg successivo di pochi mesi e poi diciamolo, per il duo superarsi dopo "Toro scatenato" era davvero impossibile.