Titolo: Black Friars – L’ordine della Spada
Autore: Virginia de Winter
Editore: Fazi
ISBN: 9788876250798
Numero pagine: 682
Prezzo: € 19,50
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Trama:
Chi è Eloise Weiss? Perché il più antico vampiro della stirpe di Blackmore abbandona per lei l’eternità suscitando le ire di Axel Vandemberg, glaciale Princeps dello Studium e tormentato amore della giovane?
La Vecchia Capitale si prepara alla Vigilia di Ognissanti e il coprifuoco è vicino perché il Presidio sta per aprire le sue porte. Il lento salmodiare delle orde di penitenti che si riversano per le vie, in cerca di anime da punire, è il segnale per gli abitanti di affrettarsi nelle proprie case, ma per Eloise Weiss è già troppo tardi. Scambiata per una vampira, cade vittima dell’irrazionalità di una fede che brucia ogni cosa al suo passaggio. In fin di vita esala una richiesta d’aiuto che giunge alle soglie della tomba dove Ashton Blackmore, un redivivo secolare, riposa protetto dalle ombre della Cattedrale di Black Friars. Il richiamo della ragazza è un sussurro che si trasforma in ordine, irrompe nella sua mente e lo riporta alla vita.
Nobili vampiri di vecchie casate, spiriti reclusi e guerrieri, eroici umani e passioni che il tempo non è riuscito a cancellare: Black Friars – L’ordine della Spada è un mondo nuovo che profuma di antico, un romanzo che si ammanta di gotico per condurre il lettore tra i vicoli della Vecchia Capitale o negli antri del Presidio, in un viaggio che continua oltre la carta e non finisce con l’ultima pagina.
Recensione:
Prendete la saga di Harry Potter e immaginate Hogwarts, gli scherzi tra studenti e i misteri magici nascosti dietro ogni angolo. Prendete poi dalla saga di Twilight una manciata di fascinosi vampiri e unite le due cose, avendo però l’accortezza di passare da una scuola di magia a una di medicina. Infine prendete una protagonista dotata di tutte le possibili abilità e contesa tra due baldi e aitanti personaggi, un umano (ci mancava solo il licantropo…) e un vampiro.
Sebbene l’idea di una Mary Sue che si fa trascinare tra Hogwarts e Forks nel ruolo dell’unica eletta in grado di cambiare il mondo (o di resuscitare l’ultimo di una stirpe sterminata di vampiri, che dir si voglia) sia già di per sé sufficientemente inquietante, bisogna tenere conto anche di un altro dettaglio, ossia il modo in cui evolve l’intera faccenda.
Sì, perché quel poco di trama che si può tracciare è quasi del tutto coperto da uno stile che definire barocco e ridondante sarebbe un eufemismo bello e buono. Interi periodi lunghissimi e appesantiti da parole che sembrano provenire dalla Treccani di mia nonna buonanima, dialoghi talmente ampollosi e iperbolici da perdere anche l’ultimo barlume di credibilità, pagine su pagine di noiosissime descrizioni che fanno passare la voglia di leggere.
Più di una volta mi sono addormentato sul libro, una cosa assolutamente nuova per me, non mi ero mai annoiato tanto leggendo qualcosa!
Così ho pensato bene di fare un’analisi un po’ più approfondita del testo, dal momento che la mole spropositata di narrazione senza azione rendeva pressoché obbligatoria qualche divagazione.
L’impianto di base è palesemente il mondo di Harry Potter, in particolar modo per le ultime ambientazioni, tra cimiteri e notti nebbiose, tanto che verrebbe da chiedersi come sia possibile che l’intera vicenda si svolga quasi sempre dopo il calare del sole. C’è da sperare che sia stata una scelta volta a evitare di dover descrivere vampiri che al sole sembrano coperti di glitter, sebbene siano comunque caratterizzati da una particolare luminescenza nel buio. Però sono freddi, profumati e marmorei, aggettivi che in Twilight vengono ribaditi fino allo sfinimento, un altro duro colpo alla grande letteratura gotica che aveva fatto dei vampiri il trionfo della narrativa folkloristica tramandata nei secoli in cui la scrittura era un’arte apprezzata e rispettata e non una pietosa attività di abbattimento della cultura di massa.
Dal momento che – avendo letto per passione Harry Potter e per sfida Twilight – stavo avendo l’impressione di rileggerli entrambi con parole terribilmente più appesantite, ho provato a concentrarmi sulla protagonista dissociandola dalla valanga verbale che non le lasciava neanche il tempo di portare a termine un’azione.
Il problema è che non era solo una questione di “wall of text”: la Mary Sue in questione, effettivamente, non conclude mai quello che sta per fare! O viene interrotta dai cattivi di turno (e prontamente salvata dallo spasimante del momento), o in un lampo di genio dovuto ai suoi straordinari poteri scopre l’inghippo (con conseguente, interminabile descrizione di come si senta stupita e spaesata nel ritrovarsi così potente), o si perde a dissertare su una qualsiasi questione scatenata da dettagli infinitesimali.
A questo punto, perplesso, ho dato un’occhiata su internet sia al romanzo che all’autrice, e ho notato due particolari che non avevo preso in considerazione. Primo, l’autrice proviene dal mondo delle fanfiction: ed ecco spiegato perché per tutta l’eterna durata del libro ho avuto l’impressione di essere su EFP o qualcosa del genere. Secondo, c’è un nutrito gregge di persone che declama le lodi dell’intera opera senza minimamente rendersi conto di avere per le mani una scopiazzatura fatta e finita. Possibile?
Sì, possibile, purtroppo, se si pensa che un’altissima percentuale di italiani, semplicemente, non legge. Ecco spiegato perché, non conoscendo l’originale, il plagio sembra un’opera d’arte.
A voler cercare anche i particolari più piccoli, ci sarebbe da ridire anche sugli anacronismi: l’autrice stessa parla di un background storico ispirato al Settecento, ma tutto fa pensare piuttosto ai secoli più bui del Medioevo, o al massimo ai decenni secenteschi dell’Inquisizione. Per non parlare delle povere sette religiose, già sufficientemente perseguitate nei secoli, che non trovano pace nemmeno secoli dopo trovandosi chiamate in causa nei panni di organizzazioni paramilitari di folli esaltati.
Però, leggendo tra i vari blog, mi sono accorto che qualche pecora nera aveva già criticato lo stile decisamente troppo pieno dell’autrice, e di conseguenza i libri successivi dovrebbero essere stati scremati e resi più agili.
Se non altro si può comunque segnare una nota positiva: nonostante qualche pecca nell’editing e una trama densa di stereotipi infinitamente prevedibili, la conoscenza della lingua italiana è irreprensibile: un lessico ampio e ricercato e una conoscenza classica anche del latino, per quanto appesantiscano ulteriormente un libro che già di per sé è un mattone, sono comunque un pregio che di questi tempi va tenuto in considerazione.
Che dire? Io non sono uno che lascia le cose a metà, se comincio vado fino in fondo. Sono curioso di vedere se i successivi romanzi, come si vocifera, abbiano superato gli insostenibili limiti di questo primo volume.






