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Recensione de “Il Figlio” di Michel Rostain

Creato il 13 novembre 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
Il figlioCari lettori, è una penna particolare quella di Michel Rostain, una di quelle che segnano non poco  il lettore, perché sanno accarezzare, graffiare e rasserenare la coscienza. Narrare un dolore così lacerante quale quello vissuto per la morte di un figlio richiede grande capacità comunicativa e Rostain, in questo suo prezioso lavoro, ne dà grande prova. Trama e RECENSIONE. Il tempo della morte è terribilmente narrabile” e Rostain lascia la narrazione alla voce del figlio Lion, morto a 21 anni di meningite, in un tempo letterario che, come il pendolo di un orologio, oscilla avanti e indietro rispetto al momento in cui tutto si spegne. Si snodano i ricordi, le aspettative mancate, i rimpianti e la voglia di continuare a vivere anche il momento del dolore, perché è prezioso, perché il dolore non si arrende all’oblio. “Papà non sopporta niente che lo distragga dal suo sconforto. […] L’unica cosa alla quale aspira è questa attualità intima, la sofferenza che la morte provoca in lui. Ne avrà un po’ con questo presente. Vuole viverlo in modo totale, come con purezza. Allora lo coltiva. Si ritira”. Il padre si immerge nella vita del figlio, nei giorni prima della morte, spiandolo, evocandone le sensazioni, i palpiti, gli sconforti. Come ad invocarne la presenza. Rivede gli eventi che lo hanno tenuto lontano dal figlio agonizzante, li snocciola, cerca di capire. Assapora poi quei ricordi che raffigurano una famiglia unita, vicina nelle intenzioni anche se non sempre negli interessi. Avrebbero voluto che Lion studiasse musica, che seguisse le orme dei suoi genitori, entrambi registi di teatro e di opera, ma non hanno mai insistito per non piegare alle loro aspettaive la sua volontà. E i riferimenti alla musica, all’opera, impreziosiscono una prosa placida richiamando quei grandi drammi così simili a quello dei nostri personaggi mentre il metronomo segna il tempo del respiro febbricitante di Lion. Ma non c’è solo dolore tra le pagine di questo libro. C’è pudicizia, delicatezza, genio e quel briciolo di ironia che sta alle cose della vita come a quelle della morte. “Panico, ma poi risate” quando nel salire sull’aereo che avrebbe portato “la spedizione turistico-funeraria” alle pendici di un vulcano islandese per spargervi le ceneri del figlio, birichinamente trafugate dopo la cerimonia di cremazione,  si domandano: "E se al controllo bagagli ci chiedono che cos’è quella strana polvere biancastra nella borsa?" Insomma, questo è uno di quei libri che, una volta terminato di leggere, ci stringiamo al petto, incrociando le mani sul cuore.  L’opera prima autobiografica di Rostain è stata insignita del premio Goncourt 2011. Best seller in Francia, si annuncia come un caso letterario anche in Italia.
L’autore. Michel Rostain, Nato nel 1942, vive ad Arles. E’ regista teatrale ed operistico ed ha diretto per 13 anni il  Theatre de Cornouaille a Quimper. Dalla sua tragica esperienza personale nasce questo libro di immenso valore artistico.


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