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Recensione di A Dance with Dragons

Creato il 24 agosto 2011 da Fant @fantasyitaliano

In un precedente post segnalavo l’uscita del nuovo volume delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.  La domanda di fondo era la seguente:

“Vale la pena di continuare questa saga da due milioni di parole?”

Dopo anni di attesa e svariati volumi, l’ultimo dei quali, come spiegherò, molto al di sotto degli altri, il nuovo capitolo doveva essere una sorta di riscatto, o se vogliamo un’ancora di salvataggio per una serie, che forte di personaggi memorabili e di un approccio cinico e realistico al fantastico ha logorato lentamente il suo potenziale. Difficilmente una saga può superare la soglia delle mille pagine

a dance with dragon
indenne, ma questo discorso sarebbe più opportuno farlo all’autore, non ai lettori, che giustamente esigono una risoluzione della storia a cui hanno  dedicato centinaia di ore senza doversi sorbire dilungamenti creati ad arte per permettere agli editori di incassare qualche milione di dollari in più.

Cacciando il malevolo pregiudizio che le saghe siano allungate sempre più all’infinito solo perché contribuiscano a gonfiare il portafogli di scrittori ed autori, rimane solo da guardare a questo nuovo capitolo con la necessaria obbiettività.

 

Che libro è A Dance with Dragons?

Il precedente era stato deludente a causa della gestione del “party” di personaggi.  Per una sfortunata coincidenza (vale a dire la folle decisione di Martin di dividere in due il libro), tutti i personaggi interessanti e nei quali il povero lettore aveva investito un minimo di empatia sono scomparsi, trascinati dal fluire degli eventi verso i luoghi più remoti di Westeros. Tyrion in fuga verso le città libere, Jon (a mio parere vero protagonista della serie dopo il decapitato-padre Ned-sonounidiota-Stark) confinato nei geli del nord, Daenerys scomparsa proprio sul più bello della sua crociata contro i barbari schiavisti. Insomma, qualsiasi libro non avrebbe retto ad una simile amputazione. E per essere chiari nemmeno A Feast for Crows ha retto il colpo. Con il punto di vista ristretto che adopera Martin, l’identificazione con alcuni personaggi eternamente disprezzati risultava impossibile. Personalmente la lettura d’interi capitoli dedicati ad inutili discussioni in cui, ancora una volta, emergeva la cattiveria di Cersei, mi risultava intollerabile, tanto da avere più volte deciso di sospendere la lettura. Lo stesso si poteva dire per tutti gli altri personaggi, secondari o proprio mai visti prima nel corso dei volumi precendenti e di cui dunque non fregava nulla a nessuno( nemmeno a Martin che infatti se n’è fregato pure di caratterizzarli dall'inizio e li ha tirati in ballo solo per allungare il brodo con qualche capitolo insignificante).
Dicevamo  dunque: tra personaggi odiosi e che si vorrebbe vedere decapitati da qualcosa come 3000 pagine e scialbi comprimari elevati al grado di protagonisti, il pezzo forte degli altri volumi veniva meno. E poi i lupi? Che fine hanno fatto tutti i lupi?

Ma Martin è il nuovo Tolkien?

 

Manco per idea. A parte che, in pratica, chiunque abbia scritto qualcosa su Martin non si è sottratto a questo scontato paragone, direi che la discussione, se impostata in termini di punti in comune o “di chi sia meglio di chi” non può che essere arida. Per molte caratteristiche direi che Martin è l’esatto opposto di Tolkien:

Tolkien s’ispira ad un medioevo ideale, quello dei poeti romantici alla Goethe e che non è mai esistito se non nelle poesie.

Martin attinge alla storia, ai momenti più crudi delle guerre dinastiche come la Guerra delle due Rose, al medioevo com’è realmente stato, non come è stato  raccontato.

 

In Tolkien il male è esterno all’uomo. Lo tenta e spesso lo fa cadere, ma la regola è il bene a cui si torna dopo la quest dell’anello, dopo la caccia al tesoro, dopo avere ucciso il drago.

In Martin bene e male non esistono. Esiste l’uomo imperfetto che deve fare delle scelte. Jon deve scegliere se difendere l’onore della famiglia e vendicare il padre, o rimanere al proprio posto come Guardiano della Notte. Non c’è una scelta giusta o una sbagliata.

 

In Tolkien l’onore e la parola data contano più della forza e dell’oro. I regnanti rispettano antichi patti stipulati dai propri avi, un cavaliere sacrifica la propria vita piuttosto che violare un giuramento di fedeltà e uomini e donne rispettano la castità giurandosi amore eterno senza nemmeno darsi un bacio. Se un soldato non rispetta un voto, allora su di lui si abbatte una maledizione millenaria.

Nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, vince chi è più furbo e ricco, i cavalieri eroici volano giù dalle torri o si ritrovano “accorciati della testa” proprio perché troppo ciecamente  attaccati all’onore.

 

Nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco Dio non esiste. Esistono gli dei, esiste pure una religione monoteista, ma nessuna creatura soprannaturale influenza la storia o le scelte dei personaggi. Gli uomini sono soli. 

Nelle opere di Tolkien c’è abbondanza di senso mistico. Gandalf, più che un mago, è una sorta di inviato degli dei, un angelo, o Ainur, secondo la mitologia tolkeniana. Molti elfi sembrano essere in costante comunicazione con il divino.

 

Lo stile di Tolkien mima quello dell’epica classica e delle antiche saghe. È ricco di descrizioni superficiali ma che non rendono la psicologia dei personaggi.

Martin dedica lunghi capitoli alla psicologia dei personaggi. Ogni gesto ed ogni pensiero ci viene mostrato da dentro, tanto da risultare quasi inevitabile per chi conosce il personaggio. Lo stile delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco non è quello altisonante usato per l’epica, ma più simile ad autori attenti alle dinamiche sociali come Dickens o al tratteggio dei personaggi quali Balzac.

 

Commento

A Dance with Dragons è esattamente il libro che sarebbe dovuto uscire cinque anni fa. Si ritrovano tutti i personaggi interessanti e la linea narrativa appare finalmente ripristinata. Vengono anche recuperate tutte quelle caratteristiche come i cliffanhanger a fine capitolo, (che tanti fan avevano portato alla saga fin da il trono di spade) ed i colpi di scena orchestrati da Martin con la consueta maestria.

Ci sarà un parallelo tra due dei personaggi più rappresentativi della saga, Jon and Daenerys che dovranno porsi interrogativi circa l’utilizzo del potere che ora controllano. Stilisticamente non ci sono molte variazioni rispetto alla scrittura, cinica eppure empatica e malinconica di Martin. Le atmosfere e gli ambienti sembrano un tutt’uno con i personaggi e ricordano loro il peso del destino che bussa alla porta e sembra dire:

“L’inverno sta arrivando.” Ora più che mai.

Detto ciò, il problema principale, che solo parzialmente può essere imputato all’autore e al libro, è quello di tenere insieme le fila di una trama di dimensioni mastodontiche. Risulta complicato tenere a mente tutti i comprimari, parenti, cugini di famiglie principali e secondarie di Westeros, ma in fondo la cosa può anche essere considerata come un ulteriore conferma della profondità e della perizia del lavoro di Martin.

Aggiungiamo una nota dolente che purtroppo affliggerà sicuramente i lettori italiani che non sono in grado di (o semplicemente non vogliono) leggere il libro nella versione originale distribuita da Amazon. Purtroppo, secondo voci che girano sul web (questo post, per esempio) la Mondadori ha l’intenzione di dividere ulteriormente il libro in più parti, non solo due, come di consueto con il resto dei volumi, ma forse anche tre.

Riassunto della recensione del libro:

A dance with dragons è ciò che i fan aspettano da anni ed un valido seguito delle parti più "felici" della saga. Non lo consiglio a chi è digiuno delle "Cronache del ghiaccio e del fuoco" così come non comprenderei chi, avendo letto tutti i libri di Martin da Il trono di spade a questo, decidesse di privarsi di questa lettura a causa dell'attesa o del trattamento editoriale che ha avuto in Italia e che non promette nulla di buono neanche per questo nuovo volume.

Voto: ★★★★☆ 

 


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