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Recensione di Il colore del latte di Nell Leyshon

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17 Flares 17 Flares × Recensione di Il colore del latte di Nell LeyshonIl colore del latteNell Leyshon
Pubblicato daCorbaccio
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Narratori Corbaccio
Genere:Drammatico
Pagine:
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La trama:

1831. Mary ha 15 anni, è una contadina e vive con i genitori, tre sorelle e il nonno, in una fattoria. La sua vita è scandita dai bisogni degli animali e dei campi, fin quando il padre non la manda a servizio dal vicario per accudire la moglie malata. Da quel giorno tutto cambierà.

Ben ritrovati cari lettori, oggi mi occuperò de Il colore del latte, il primo romanzo della scrittrice Nell Leyshon, di genere drammatico. Completamente sgrammaticato e con una punteggiatura da far rabbrividire anche la più clemente delle maestre, questo libro si presenta come una sorta di diario o di “Memorie” che Mary scrive di proprio pugno. Questa ragazzina, zoppa ad una gamba, impertinente, scorbutica e senza peli sulla lingua, a tratti insopportabile, altre volte, invece, tenera fino alle lacrime, ci trasporta nel suo mondo con un’innocenza e una rudezza che non può lasciare indifferenti.

Ci ritroviamo così, vicino a lei mentre munge la sua adorata vacca, e poi ancora in compagnia del vecchio nonno paralizzato, che sembra essere l’unico a volerle bene, nella stanza delle mele, e a nasconderci tra i campi per sfuggire ad un severissimo padre padrone, che non ha mai accettato l’assenza di un maschio nella prole, ed ad ascoltare i discorsi tra sorelle, quasi fossero delle tristi cugine di campagna delle più famose Jo, Amy, Meg e Beth (le “Piccole Donne” di Louisa May Alcott). Quando poi, per ragioni economiche, viene ceduta al vicario, veniamo catapultati insieme a lei, lontani da casa, in una nuova realtà, piena di potenzialità ma anche di pericoli, che cambierà per sempre la vita della protagonista. In una famiglia completamente diversa dalla sua, dove i genitori non conoscono il figlio e dove marito e moglie a malapena si parlano, dalla quale Mary più volte tenta di fuggire, ma dove ogni volta torna, costretta ad obbedire  alla volontà di suo padre.

Ed è per questo che la ragazzina scrive “mi sono promessa di raccontarvi tutto quello che è successo. ho detto che ve lo dicevo e perciò mi tocca farlo“, e lo fa affinché possiamo giustificare il suo comportamento, la sua pseudo-rivincita nei confronti di un’esistenza dura, aspra che, nel finale, lascia sicuramente esterrefatti. Un libro di non facile lettura, dove i pensieri della scrittrice sono buttati sulla carta senza un filtro e senza eleganza, non è scorrevole e il linguaggio è estremamente semplice e contadino; tuttavia non tutto è perduto… Lo si apprezza nella sua globalità alla fine, quando la vicenda trova conclusione e si collegano tutti i pezzi del puzzle sparsi nelle pagine precedenti.

Un’opera cruda, che racconta la fatica della vita contadina nella prima metà del 1800, che descrive i personaggi senza abbellirli, senza trovar loro un lato positivo o una qualità che possa renderli simpatici al lettore. Questo potrebbe essere uno di quei libri che una professoressa perfida potrebbe consigliare alla classe in occasione della giornata sulla violenza contro le donne (anche se spero, per i poveri alunni, che non succeda). Sinceramente non mi ha entusiasmato più di tanto, è sicuramente una lettura da fare in un periodo della vita in cui si è molto sereni altrimenti si rischierebbe di lasciarla a metà o, ancora peggio, di cadere in depressione. Per concludere, posso solo augurarmi che la scrittrice cambi presto registro, in caso contrario, per quanto mi riguarda, sarebbe meglio che tornasse ad occuparsi di programmi radiofonici e opere teatrali. Se siete coraggiosi e avete del tempo da perdere…Buona lettura.

Vanessa Rotilio 



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