Magazine Cultura

Recensione doppia "Miele" di Ian McEwan

Creato il 27 maggio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Redazione

Cari lettori,
oggi vi proponiamo una recensione scritta da due diverse angolazioni. Infatti Antonella è alla sua prima lettura di McEwan e ha potuto guardare a questo scrittore in modo spassionato. Petra, d'altra parte, ha letto e amato i romanzi di questo autore di culto già da tempo e forse ha colto dettagli che le hanno richiamato lo stile e gli intrecci del McEwan più acclamato. Così ecco a voi una recensione per così dire "bifronte" che vi offrirà un pro e un contro con i quali potrete schierarvi o che potrete accogliere come facce di una stessa medaglia.
«IAN McEWAN È UNO DEI PIÙ GRANDI NARRATORI LETTERARI OGGI VIVENTI». James Wood, «The New Republic»

Recensione doppia
Autore: Ian McEwan, M. Balmelli Titolo: Miele Titolo Originale: Sweet Tooth
Traduzione di Maurizia Balmelli Editore: Einaudi Collana: Supercoralli Pagine: 351 Prezzo: € 17,00 Data di Pubblicazione: 8 Novembre 2012 Trama: Per Serena Frome, bella figlia di un vescovo anglicano, l'avventura sta tutta nei romanzi che divora uno dopo l'altro per sfuggire alla noia. Ma quando l'agenzia d'intelligence britannica MI5 la ingaggia come spia al servizio della guerra fredda, per lei il rischio e la passione si trasferiscono dalla carta alla vita. «Miele» è il nome in codice dell'operazione cui deve prendere parte, Tom Haley quello del romanziere che ha il compito di adescare. Dovrà avvicinarlo, coprirlo di quattrini e segretamente assoldarlo alla causa dell'Occidente. Dovrà batterlo sul suo stesso terreno, quello della finzione. Non tradirsi. Non fidarsi. E perderà.
RECENSIONE
ANTONELLA Se un romanzo è narrare ricostruendo un background storico e sociale coerente, Miele di Ian McEwan è un romanzo ottimamente strutturato. L’ambientazione è curata fino ai particolari; l’autore l’ha concepita come una spy story nel senso che la protagonista, Serena, lavora per l’MI5 il servizio di controspionaggio interno della Gran Bretagna, contrapposto e affiancato all’MI6 che si occupa degli esteri. La protagonista Serena Frome è una giovane bellezza inglese – che dolore queste definizioni stereotipate – che in epoca di contestazione, siamo nei primi anni ’70, si trova, nell’ordine, a essere piuttosto conservatrice essendo figlia di un vescovo protestante, a farsi un amante quasi anziano e attraverso lui a lavorare per una branca noiosissima dell’Intelligence Service. È insomma un colletto bianco dello spionaggio, non porta una bombetta nera e una mela verde sulla faccia solo per uno strano caso. Nel qualunquismo e nella banale catena di montaggio delle spie, peggio della sanità pubblica, si trova a partecipare a un progetto governativo per favorire autori di letteratura che portino acqua al mulino opposto a quello comunista, che difendano insomma il mondo occidentale. Così Serena, sotto la copertura di un’organizzazione filantropica, porta finanziamenti quasi disinteressati e gratuiti a un giovane autore i cui racconti già l’avevano affascinata. Nasce una storia d’amore fra loro e la letteratura e quella che, con qualche difficoltà, possiamo chiamare passione regnano incontrastate. O meglio minacciate solo dal fatto che l’autore non sa che Serena è del MI5 e che il suo sponsor sia un’agenzia governativa. Il rischio è che sapendolo la loro bella storia d’amore possa finire.

Recensione doppia
Dunque, Serena all’inizio del libro è accompagnata dalla sua giovinezza tranquilla e da una bellezza riconosciuta en passant, dalla scelta della facoltà – matematica, sebbene lei avesse preferito letteratura – dalle sue prime storie di sesso. Poi c’è il suo professore, Tony Canning, l’uomo che la dirozza intellettualmente, la ama e la protegge fino al momento in cui la abbandona crudelmente. Era stato una spia, ovvio; la lascia dopo averla avviata all'agenzia.

È necessaria una nota per comprendere un dato fondamentale di questo romanzo: i libri. Serena è una lettrice affamata, prima di romanzi di poco conto, poi, al seguito del suo amante scrittore, si avvicina alla letteratura, ma questo non è così importante. Il punto è che è affascinata dai meccanismi narrativi che giudica con attenzione e senso critico molto personale. Infatti nel libro sono presenti le storie dei racconti e dei romanzi che Serena legge, soprattutto quelli di Thomas Haley, lo scrittore che le è assegnato con l’operazione Miele e che lei apprezza con trasporto. Insomma ci sono storie dentro la storia, storie indagate nei loro ingranaggi, nella loro costruzione, nelle motivazioni dei protagonisti, che trovano eco riflessa poi nelle vicende vissute da Serena, da Tom e da altri rari comprimari, come Max, il superiore diretto di Serena che si innamora di lei, e da Shirley Shilling, amica e collega.

La cifra distintiva di questo romanzo però è che tutte sue le componenti suscitano il dubbio che nessuna sia la componente fondamentale. Io leggendo mi sono spesso chiesta dove l’autore volesse andare a parare; perché la storia passionale non è in definitiva abbastanza passionale, perché i rivolti da spy story non sono in nessun modo abbastanza spy! Mi spiego: è molto probabile che nella realtà lavorare per l’Intelligence inglese fosse davvero così negli anni ’70, ma anche in genere, e questo dimostra la capacità documentativa di McEwan e il suo amore per la verosimiglianza; tuttavia una storia di spie deve avere un mordente che qui è assolutamente introvabile. E non parlo necessariamente di romanzi d’azione, bensì mi riferisco, nel paragone, a classici come ad esempio quelli di Le Carrè, in cui la componente psicologica, le dinamiche intimistiche fra i personaggi sono assolutamente preponderanti rispetto a inseguimenti o torture o missioni di copertura.


Recensione doppia
Riguardo alla caratterizzazione della protagonista, Serena è assolutamente grigia. O meglio, beige. Il suo carattere, le sue scelte, le sue preoccupazioni sono posati, scialbi, quasi neutri: è come se esitasse a sentirsi donna. Si lava i capelli, si stira la gonna, valuta le prestazioni degli uomini che ha amato con una mancanza di rilievo emotivo che stupisce. Mi sono chiesta: sarà perché è inglese? Perché è una conservatrice negli anni ’70? Perché ritiene che così debbano comportarsi le spie? Sebbene sia praticamente meno di una segretaria, nel suo lavoro per il governo. Quando sembra di intravedere una trama di tipo davvero spionistico la cosa viene fatta cadere e poi si capisce che non era nulla di quello che si stava cominciando a sperare.

Verso la fine mi è venuto da pensare che il problema fosse che questo è un romanzo tagliato con il punto di vista di una donna, scritto però da un uomo. Eppure sapevo che McEwan è un grande, anche se questo è il primo romanzo che di lui ho letto.

E poi capisci. Si capisce tutto. Ovviamente non vi dico cosa, caso mai non l’aveste ancora letto, ma certo McEwan accompagna il lettore a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui Serena Frome vive il suo essere donna, così senza colori, senza sensazioni e reazioni, senza immedesimazione vera con quello che nel frattempo di grave e importante succede nel mondo: la nostra eroina è in fondo una qualunquista, sebbene discuta di politica, di economia e società durante le cene con il suo amante. Risulta troppo scialba, per quanto possa essere pacata e … beh, inglese. E arriva anche la conferma a quello che era emerso già dall’inizio: questo è un romanzo sui romanzi, sulla creazione narrativa, sui processi di identificazione, su come gli spunti della realtà entrano in una trama, sull'ipotesi che la realtà sia solo una storia che ha bisogno di un narratore che pretenda di darle mordente, sul meccanismo con cui un lettore si cala in un romanzo e come un romanziere si cala nei suoi personaggi e nei suoi lettori.


Metaletteratura? Sì, mi sa. In generale posso dire che funziona? Ni. La storia di Serena Frome suona un poco stonata, come se certi tasti del pianoforte non siano ben accordati e rovinino l’effetto. È voluto? Forse sì, visto il finale rivelatore, ma questo non scusa del tutto McEwan, secondo il mio personale parere. Ha scritto un divertissement cerebrale, cercando di trascinarci in quella che per lui è l’avventura creativa: un gioco di scatole cinesi che vuole disorientare, che vuole introdurre nei meccanismi in cui un autore è costretto a sguazzare. Lo scrittore sarebbe allora il grande demiurgo che prende frammenti della realtà e li costruisce in un puzzle non solo coerente, ma proprio furbo e scaltro, compiacendosi del giocattolo che ha a sua disposizione

Si può scrivere una storia che parla di come funzionano le storie? Sì, ma che poi risulti entusiasmante leggerla è completamente un’altra faccenda: magari sarà per un prossimo romanzo.
PETRA Il titolo originale di Miele, Sweet Tooth (una parola che sta più o meno per “golosità per i dolci”), avrebbe probabilmente dato un indizio in più nell’individuare la chiave di lettura di questo romanzo, poiché quello che avete davanti non è un romanzo qualsiasi, ma una ben studiata creazione letteraria, una vera operazione – rubando un termine alla pittura – “manieristica” sulla scrittura. Pochi avrebbero potuto riuscirci e meno ancora divertendosi, come è stato per McEwan.


Recensione doppia
I lettori novizi allo stile di questo scrittore stenteranno a tenersi in piedi sul terreno in costante cambiamento che fa da base al romanzo; cercheranno il bandolo della matassa, in piedi, in equilibrio precario, retto appena da decine di fili tesi e intrecciati tra loro, dimenticando l’unico punto di vista utile alla comprensione: quello esterno dell’autore, appunto.
In Miele ho ritrovato il piacere di un meccanismo complesso, quello che muoveva Espiazione, solo a un livello superiore, di non immediata intuizione, sebbene – sapendo del suo talento con le parole – potessi aspettarmi sin dal principio qualcosa di particolare. Il romanzo è un collage di episodi con i relativi protagonisti, a nessuno di questi però è dato di emergere per importanza. Tornando alla metafora della matassa, potrei semplificare affermando che non c’è un filo più colorato di un altro, sono tutti piuttosto neutri, persino scambiabili tra loro, sentirsi come affetti da labirintite ne è una voluta conseguenza!

Serena non è un’eroina, né un personaggio a tutto tondo, al contrario, risulta scialba, incolore, negativa tanto che è impossibile identificarvisi, preda costante dell’insicurezza, del bisogno di conferme. Sembra essere la donna meno adatta al ruolo di protagonista, invece è svelatamente vera, persino banale e questo la rende tanto imperfetta da essere noiosa.

Il percorso a zig zag della sua carriera è un altro riferimento alla realtà, dove più che le aspirazioni, vincono le coincidenze, negative o positive che siano. Il personaggio non si evolve, né guadagna o perde qualcosa alla fine, se si esclude una certa consapevolezza forse prevedibile, ma come il fato insegna, non certa.


Recensione doppia
E così gli altri personaggi galleggiano come tanti iceberg il cui sommerso possiamo solo immaginare, anche perché non è nascosto lì il motore della trama. Tony Canning, Thomas Haley, Shirley Shilling, Max Greatorex, sono solo pedine di un gioco di ruolo del quale McEwan ha inventato le regole, per poi trasgredirle ai fini di un esito slegato dai doveri di un intreccio tradizionale, preferendo alla storia, il suo contesto, ovvero gli imminenti cambiamenti storico-sociali degli anni ’70 e l’inevitabile influenza sulle vite dei personaggi, così com’è stato all’epoca per il giovane McEwan.
È questo perenne equilibrio tra prevedibilità e incertezza a reggere tutto, una metafora della vita se vogliamo che si palesa un po' come una catena di deja vu, quei momenti incomprensibili che la mente crede di aver già vissuto, si convince di conoscere fatti e azioni dell’attimo successivo, così tenta di deviare qualcosa in quel ricordo, scoprendo di aver fatto lo stesso cambiamento nel momento in cui la memoria diventa presente, lasciando una sola certezza, l’ineluttabilità del destino. In breve, per dirla con un assioma zen: è Zhou che sogna di essere una farfalla o la farfalla che sogna di essere Zhou?
Recensione doppia
Chi leggerà Miele lo faccia senza aspettarsi una movimentata spy-story, né una storia d’amore, tantomeno un racconto biografico della protagonista, questi elementi sono appena abbozzati: del primo si avverte quella sensazione di costante sospetto che ci rende attenti ai dettagli, sebbene questi siano messi lì a mestiere, come cul de sac; del secondo si hanno ritagli di cronaca privi di incipit e di happy ending; dell’ultimo, una macedonia di sentimenti primitivi che – se possibile – tolgono ogni spessore al personaggio femminile.
Gli episodi e i suoi abitanti, per finire, sono incollati assieme dalle (e tra le) pagine dei racconti di Thomas, escamotage cercata da McEwan per dare un pretesto all’obiettivo reale del suo incedere nella storia, quello cioè di giocare con il romanzo e i suoi strumenti, un esercizio di stile magistralmente eseguito a conferma di un talento inconfutabile.
Recensione doppia
McEwan è solito, sia nel romanzo che nella short story, a questi esercizi di stile, che poi sono parte indistinta dal suo modo di scrivere, il fatto che sia comprensibile e apprezzabile o meno è – ovviamente – parere personale e non opinabile.

Restano altrettanto indubbie le sue doti d’istrione della parola: la sua padronanza degli strumenti è tanto raffinata da potergli permettere escursioni che esulano dalla trama ordinaria, persino riflessioni sulla materia letteraria, da riprendere, scindere, riamalgamare in forme diverse, un omaggio all’epoca d’oro della Letteratura in un presente nel quale pare sia già stato scritto tutto, tanto che sopravviene la necessità di meditare sul passato, riscrivendolo in una forma che anticipa il nuovo.

La critica si è spaccata in due davanti a quest’ultimo romanzo di McEwan, così come il pubblico, per questo vi abbiamo proposto due recensioni diametralmente opposte; ma se prestate attenzione ai due fronti in gioco, vi accorgerete che l’unico motivo di scontro è nel gusto personale, il talento dello scrittore nel pro e nel contro resta indiscusso. Dettaglio necessario a distinguere uno scribacchino da uno scrittore.


Recensione doppia
L'AUTORE
Ian McEwan è nato nel 1948 ad Aldershott e vive a Londra. È autore di due raccolte di racconti: Primo amore, ultimi riti e Fra le lenzuola; un libro per ragazzi: L'inventore di sogni; un libretto d'opera: For You. Ha pubblicato il saggio Blues della fine del mondo e i romanzi: Il giardino di cemento, Cortesie per gli ospiti, Bambini nel tempo, Lettera a Berlino, Cani neri, L'amore fatale, Amsterdam, Espiazione, Sabato, Chesil Beach, Solar e Miele. Tutti i suoi libri sono stati pubblicati in Italia da Einaudi.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :