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Recensione: "Elogio alla bruttezza" di Loredana Frescura

Creato il 04 agosto 2011 da Lauragiussani
Titolo: Elogio alla bruttezza
Autore: Loredana Frescura
Editore: Fanucci
Data uscita: 21 aprile 2011
Pagine: 176
Prezzo: 6,50 euro
“Io sono brutta. Lo sono sempre stata, e non c’è speranza di avere il destino del brutto anatroccolo che poi in realtà era un cigno. Una favola con la fregatura: ecco cos’è, a dirla tutta.” Questo pensa di sé Marcella, quindici anni, due genitori alle prese con i propri problemi e un fratello maggiore bellissimo, che si vergogna di lei e non le rivolge la parola. Ma le fregature le sa riconoscere per quello che sono: occasioni per vendicarsi, per riscrivere la storia dalla parte di chi baci non ne ha mai ricevuti, né dalla sorte né dal principe di turno. Così, Marcella sceglie di dedicare la sua tesina di fine anno a un Elogio alla bruttezza, che scrive insieme alla sua migliore amica Giorgia. Anche la vita di fuori, però, le riserva alcune sorprese: proprio tra gli amici di suo fratello, i belli senz’anima, ci sarà qualcuno capace di guardarla con occhi diversi, e farle scoprire l’amore...

RECENSIONE: Libro deludente, su tutta la linea. Una lettura davvero brutta, dallo stile improponibile e il contenuto insulso. (Attenzione: spoiler!)
Primo libro che leggo di questa autrice, e suppongo sarà anche l’ultimo. Devo dire la verità, non mi è proprio piaciuto. Si salva solo l’idea di base, quella di elogiare la bruttezza. Ma tutto il resto, dallo stile al contenuto, proprio non va.
Prima di addentrarci tra critiche e difetti, una nota sulla copertina, che si suppone ritragga la giovane protagonista, Marcella. All’apparenza una ragazza normale, non bellissima ma comunque graziosa. Peccato che nel libro Marcella faccia parte dello schieramento dei brutti, così brutti da essere quasi emarginati, messi in totale disparte dalla società dei belli. Qualcosa non torna, o sbaglio?
Il fratello di Marcella, manco a dirlo, è di una bellezza stratosferica e a capo della banda dei “belli senza testa”. Marcella preferisce invece la compagnia di Giorgia, amica e compagna di sventura: la ragazza è infatti bersaglio di insulti e derisione da parte dei compagni di scuola, per via dell’ingombrante apparecchio dentale che le vale l’odiato soprannome “Enterprise” .
Un giorno, a scuola, Marcella e Giorgia chiedono di svolgere insieme la ricerca assegnata dalla professoressa, e propongono quale tema “l’elogio alla bruttezza”. Chi meglio di loro due è in grado di affrontare annessi e connessi della questione?
Dall’altra parte abbiamo Roberta, un bello-seguace di Massimiliano, il fratello di Marcella. Bello e desideroso di rimanere tra i belli, in un primo tempo, con tutti i vantaggi e i sacrifici che questo comporta. La perfezione ha un costo, comporta delle rinunce non sempre facili… Ma si fa questo ed altro per continuare ad essere “Il cerchio perfetto di Giotto”.
Con queste premesse, il colpo di fulmine che colpisce (rimbambisce, sarebbe forse meglio dire) Roberto quando una sera, in un locale, vede Marcella in compagnia dell’amica stride come una forchetta trascinata su un piatto. Posa gli occhi su di lei, ed è fatta. Innamorato cotto. Perdutamente rimbambito.
E così, in quattro e quattr’otto, si ricrede su tutto. La cerca, la pensa, la sogna… e al diavolo Massimiliano e la banda dei belli. Lui è rimasto folgorato dalla splendida (Ma dove? Ok che la bellezza è soggettiva e che non vi è solo la bellezza esteriore – credo che, in maniera molto contorta – fosse questo l’intento dell’autrice) ragazza e passa le giornate cercando di vincere la propria timidezza e trovare occasione per parlarle. Un colpo di fulmine che deve avergli bruciato ogni singola terminazione nervosa, facendo tabula rasa di neuroni e affini.
La scena del pugno involontario è ridicola, davvero. Così come l’evolversi della storiella d’amore, tra lui che sospira con gli occhi a cuoricino, il ballo in maschera dove – coincidenza delle coincidenze – strappa un bacio a una certa ragazza…
Insomma, credibilità zero. Prevedibilità a palate.
Ad appesantire e rovinare il rovinabile ci pensa poi lo stile. Leggo sulla quarta di copertina quanto riportato dal quotidiano “La Stampa”, ovvero che l’autrice ha scelto l’arma della leggerezza… Ma quale leggerezza? Banale superficialità, semmai. Questo rafforza la mia convinzione: ogni tanto, le frasi di critica riportate sulla copertina dei libri sono veramente delle grandissime cavolate.
E che dire dello stile… Lo stile è leggero quanto un sasso.
Nella prima parte del libro si condensa un uso smodato delle congiunzioni, una distesa infinita e fastidiosa di “che” ed “e” che tentano di connettere pensieri sparsi mentre la narrazione zoppica, frase dopo frase. All’interno delle pagine vige il disordine più totale: aggettivi e parole che si mescolano quasi per caso, salti continui tra una considerazione e un’altra, argomenti che si susseguono senza alcun accenno di continuità. Un’accozzaglia di frasi che nell’insieme stonano come un gruppo di strumenti non accordati.
L’unica nota positiva, in questa disarmonica sinfonia, è data da alcune considerazioni sulla bruttezza, in parte inserite nella ricerca che – in fase di stesura – viene proposta di tanto in tanto al lettore. Accenni e riferimenti abbastanza divertenti, come la minuziosa descrizione che Marcella fa del suo stesso piede, o l’ulteriore suddivisione dei brutti (totali o stratotali). Non è certo un romanzo schizzinoso, che tira in ballo peli sottopelle, brufoli, ciocche di capelli grassi incastrate nell’apparecchio. Davvero, l’ho trovato l’unico aspetto positivo.
Per il resto, e quindi il 99%, è stata un’amara delusione. Confidavo in una lettura brillante, leggera e divertente. Mi sono ritrovata a leggere – con fatica e col desiderio di finirlo e accantonarlo alla svelta – un libro brutto, brutto al di là del tema che tratta. Mi ha dato l’impressione di una cosa davvero buttata lì, per niente studiata e che si basa sul nulla.
Di conseguenza, il giudizio complessivo non può che essere fortemente negativo. Una stellina.

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