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[Recensione] Esordienti da spennare di Silvia Ognibene

Creato il 31 agosto 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Esordienti da spennare – Come[Recensione] Esordienti da spennare di Silvia Ognibene pubblicare il primo libro e difendersi dagli editori a pagamento
Autore: Silvia Ognibene
Editore: Terre di Mezzo
Anno: 2007
ISBN: 9788861890176
Formato: libro
Lingua: italiana
Numero pagine: 143
Prezzo: € 12,00
Voto: [Recensione] Esordienti da spennare di Silvia Ognibene

Contenuto: Un libro-inchiesta che diventa anche una vera e propria guida pratica per aspiranti scrittori: un viaggio nel sottobosco dell’editoria a pagamento che, a fronte di contributi che possono arrivare anche a 3.000 euro per un romanzo, stampano libri che poi non arrivano mai nelle librerie. Società nate apposta per spillare quattrini all’esordiente di turno, disposto a tutto pur di vedere pubblicata la propria fatica letteraria. Ma anche editori che in alcune librerie ci arrivano, ma chiedono comunque il pagamento di una somma di denaro (o un preacquisto di copie) per sostenere le spese di produzione. Come contraltare l’autrice ha intervistato anche editori piccoli ma seri, che sull’esordiente scommettono, pagandogli regolari diritti d’autore.

Recensione: Per avere un’idea degli effetti distorsivi presenti nel mercato editoriale, occorre avere a mente due fenomeni:

  1. quello degli APS, cioè autori a proprie spese, acronimo coniato nientemeno che da Umberto Eco nel romanzo Il Pendolo di Foucault,
  2. quello della vanity press, costituito dalla congrega di autori agguerriti che assillano editori e agenzie letterarie per essere pubblicati a ogni costo.

A essi sono imputabili in parte le difficoltà di mettere in contatto autori di talento con un editore di valore che abbia la perseveranza, la passione di cercare e proporre opere di qualità, conscio di dovere, alla fine, far quadrare i conti.

C’è tuttavia un terzo incomodo lasciato a se stesso: il lettore. Questo perché, tra le figure in campo, non ce n’è una che si metta al suo servizio, che pensi a lui. È uno di quei casi in cui tra i due litiganti (autore ed editore) il terzo non gode per niente.

I frutti degli APS e della vanity press sono sotto gli occhi di tutti, si pensi solo al recente premio bancarella (vedi qui ).

Questo è a grandi linee l’argomento di questo saggio, che non si limita a spiegare come funziona l’editoria a pagamento (EAP), ma sviluppa un discorso esauriente su tutto il mercato editoriale, senza far di tutta l’erba un fascio.

L’autrice ridisegna con precisione i ruoli, assegnando a ciascuno il proprio posto e le prerogative che gli appartengono. L’editore è un imprenditore, l’autore non necessariamente lo è o lo deve diventare.

Investire su un libro può costare 5.000, 6.000 euro, somma che rientra nel rischio d’impresa, tra i costi di produzione. Per sua natura è un costo che l’editore-imprenditore deve recuperare dall’utente finale, che evidentemente è il lettore, non certo l’autore.

Insomma, il malcapitato è chiamato a sborsare somme che oscillano tra i750 e i 6000 euro, magari per vedersi recapitare a casa tutte le copie stampate che non raggiungeranno mai una libreria o un lettore, a meno che l’autore non faccia da sé. In tal modo l’editore si è assicurato il profitto senza bisogno di impegnarsi nella distribuzione e, forse, nemmeno nell’editing.

Può accadere invero che l’editore, messosi al sicuro contro ogni rischio, curi l’editing e si impegni in presentazioni e incontri per diffondere l’opera dell’esordiente. Anche così, tuttavia, i conti non tornano. Chi è l’imprenditore, e chi è l’utente finale? Chi fa veramente editoria e chi no? Una cosa sembra assodata. L’editoria a pagamento risolve alla radice i problemi di bilancio, scaricando su altri il rischio di impresa. L’editore diventa una macchina da business, se un autore di valore vende poco e una ciofeca molto, si investe sulla ciofeca. Se il lettore di valore vuole pubblicare, deve pagare.

La logica è più che stringente. Se in un anno vengono pubblicati 55 mila e più titoli, diciamo un 150 al giorno, in una realtà in cui il lettore medio sì e no sfoglia uno, due libri ogni tanto, l’offerta supera abbondantemente la domanda. Vi sono più libri che lettori, l’autore diventa l’utente finale, il lettore della propria opera. Il vero lettore è escluso, lasciato fuori. Non viene nemmeno interpellato.

Da questo quadro scoraggiante potrebbe sembrare normale richiedere il pagamento di un contributo a chi voglia pubblicare (ma a questo punto che vuol dire pubblicare se il pubblico non c’è?) il proprio romanzo. Ma è proprio questo messaggio che non può e non deve passare. Non è ordinario, non è normale pagare per pubblicare, perché vanifica la stessa capacità imprenditoriale, quella di saper valutare le opportunità sulle quali investire, perché produce effetti distorsivi su un mercato in evidente sofferenza. E non può avere pregio la scusante che un nutrito numero di scrittori abbia pagato per vedere il proprio nome stampato sul frontespizio: Moravia, Pasolini, Svevo, Gadda, Pirandello, Pavese, Eco (ho letto bene???) per non parlare di Proust, Tolstoj. Alzi la mano chi ha tanta faccia tosta da assimilare se stesso a uno solo di costoro.

La strada da seguire, evidentemente, è un’altra. Se il mercato è difficile, l’editore e l’autore si devono armare dell’impegno necessario per farvi fronte. In primo luogo con la qualità. Perché se un editore e un autore propongono un’opera di qualità, a lungo andare si costruisce uno zoccolo duro, un lettore fedele e amico che si orienterà anche verso gli esordienti. Ed è proprio il lettore la vera sorpresa, un compagno di viaggio che si aggiunge alla compagnia, pronto a fare la sua parte, se glielo si chiede nella giusta maniera; un lettore che non è una comunità indifferenziata, ma un gruppo, magari sparuto, di persone attente e curiose, che non vedono l’ora di essere prese in considerazione.


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