Hitchcock è arrivato nelle sale, il profilo più famoso del cinema, il regista che amava comparire in alcune inquadrature dei suoi film, l’uomo che mi ha accompagnato durante tutta la crescita, in grado di farmi adorare Cary Grant, il brivido e i film in bianco e nero, sta per rivivere nella pelle di un attore che non ha davvero più bisogno di presentazione: Anthony Hopkins trasformato nell’aspetto, nella smorfia e nella cadenza al punto di farci dubitare, durante le prime inquadrature, di esserci confusi.
Per l’occasione nel ruolo della prima donna ritroviamo la sempre splendida Hellen Mirren, che in barba all’età, fa la sua entrée in scena in reggiseno e sottoveste, con un taglio di capelli da abominio ed indossando tutto il tempo mise da panico, ma nulla possiamo fare per modificare la moda del passato. D’altro canto, qui veste i panni della mitica signora Hitchcock, donna ben poco incline a fare la passiva principessa consorte e di sicuro la più grande sostenitrice e collaboratrice del regista, alla quale spettavano sempre la prima e l’ultima parola (un suo KO era legge, una sua esclusione da un progetto era impensabile). Un duo quindi a dir poco inossidabile che dava il meglio grazie ad un’alchimia invidiabile, nonostante non escludesse le umane debolezze.
Intrigante, infatti, è il taglio scelto per portare sullo schermo uno scorcio della vita del Maestro: riviviamo i mesi che diedero i natali al più grande film del Re del brivido, quel “Psycho” dal successo planetario (e totalmente inatteso) che ripagò tutti della tanto travagliata realizzazione che indusse molti a dubitare sull’opportunità di portare a compimento il progetto. Ma è pure l’epoca in cui Alma (Hitchcock) s’allontana temporaneamente dal consorte per coadiuvare un amico nella stesura di una sceneggiatura, cosa che provoca in Alfred una tale gelosia (sfogata nel cibo e nei troppi drink) così accecante da deconcentrarlo e renderlo irascibile (ovviamente con sempiterna signorilità), tutti elementi controproducenti per la riuscita del suo lavoro.
In un contesto quindi di costante alternanza tra ambiente familiare e set – luogo in cui troneggia una più che mai convincente Scarlett Johansson (recentemente apprezzata in “Don Jon’s Addiction”, presentato alla Berlinale 2013) – si sviluppa una storia che cattura lo spettatore sino all’ultimo fotogramma. La curiosità di arricchire la nostra conoscenza sull’uomo che si celava dietro la macchina da presa (e ogni tanto compariva fugacemente nelle sue opere) e di scoprire l’importanza di Alma, la granitica, acuta ed estroversa moglie che l’affiancò durante la creazione dei suoi capolavori, non ci fa staccare gli occhi dallo schermo.
La meticolosa ricostruzione dei luoghi, delle situazioni e del making of della celebre pellicola, i protagonisti in grado di farci dimenticare di non essere gli originali e la narrazione, che leggiadra vola sino alla fine senza perdere mai di ritmo, sono gli elementi che rendono questo film degno di esplorazione: siffatta commistione d’ilarità, voyeurismo (quello sano) e di evasione non può che meritarsi un 7.