Spionaggio industriale, hi-tech, la fascinazione del potere, l’ambizione sfrontata e poi… il volo di Icaro. E’ questa l’immagine che l’australiano Robert Luketic restituisce del nuovo sogno americano: il suo ultimo thriller, “Il potere dei soldi” (distribuito in sala da Moviemax a partire dal 12 settembre), declassa il mito dell’american dream, della frontiera e della conquista a un ricettacolo di inganni, false icone e miliardari pronti a tutto pur di vincere la guerra nel mondo ormai globalizzato e iperconnesso della tecnologia avanzata.
Qui le battaglie si combattono a colpi di smartphone, sempre più piccoli, sottili, pieghevoli, maneggevoli, capaci di localizzarci, seguirci, spiarci e ‘connetterci’ in barba a una qualsiasi parvenza di privacy rimasta; ed è in questo angolo di mondo che Luketic scaraventa il suo protagonista Adam Cassidy (Liam Hemsworth), un ambizioso programmatore cresciuto nei sobborghi di Brooklyn, che sedotto dall’idea di una ricchezza senza limiti, si ritrova al punto di dover sacrificare tutto: un padre, mite uomo della working class, la donna che ama e la sua inseparabile combriccola di amici nerd.
Il potere dei soldi non perdona, scacco matto. Soprattutto se a districarsi tra i colpi bassi di due magnati senza scrupoli (Harrison Ford/ Jock Goddard e Gary Oldman/ Nicolas Wyatt), acerrimi nemici di una vita, è un ragazzotto sprovveduto e accecato dai luccichii della upper class; e che nella migliore delle ipotesi finirà divorato dai loro imprevedibili e contorti giochi di potere.
Così tornare indietro, quando ci si è ormai spinti troppo in là, diventa impossibile, salvo un happy end consolatore e riparatore che rimette tutto a posto e riscatta quanti rimarrebbero altrimenti orfani di quel ‘sogno americano’ che forse oggi non ha più neanche motivo di esistere, svuotato com’è del suo senso più profondo. Ed è proprio in questa eccessiva banalità e superficialità nel tratteggiare alcuni aspetti della vicenda, che si annida uno dei maggiori difetti del film, patinato tanto da saccheggiare il romanzo al quale si ispira – ‘Paranoia’ di Joseph Finder - e non lasciarne nulla, se non sagome e scampoli di storia che si agitano senza uno spessore.
Consolino lo spettatore le performance dei ‘pezzi grossi’ della pellicola: memorabile nella hall di un albergo lo scontro verbale tra due veterani come Ford e Oldman, maschere e nello stesso tempo uomini capaci di evocare il peso di una vita e di portare in scena il passato di un personaggio solo con una strizzata d’occhio, un ghigno o una smorfia appena accennati.
Il resto sono stereotipi da mainstream.
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net