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Recensione Film Stoker

Creato il 17 giugno 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

stoker

Stoker è il primo lungometraggio in lingua inglese del pluripremiato regista coreano Park Chan-wook, diventato celebre a seguito del successo mondiale della trilogia della vendetta e su tutti, del suo capolavoro Oldboy, di cui a breve uscirà il remake americano firmato Spike Lee. Basato sulla sceneggiatura scritta dall’attore Wentworth Miller sotto lo pseudonimo Ted Foulk, il regista coreano può inoltre contare su un cast d’eccezione che vede protagoniste assolute Nicole Kidman, il giovane talento Mia Wasikowska e l’attore inglese Matthew Goode. Il film è stato prodotto da Ridley Scott e dal fratello Tony, deceduto prematuramente lo scorso anno.
India Stoker è una giovane adolescente che dopo la morte del padre, avvenuta a seguito di un incidente stradale il giorno del suo diciottesimo compleanno, vede piombare nella sua vita l’invadente figura dello zio Charlie, un parente di cui non era neanche a conoscenza che si trasferisce a casa con lei e la madre. India conduce un’esistenza solitaria mentre la fragile madre (una Nicole Kidman in splendida forma) sembra completamente succube dell’eccentrico zio. La ragazza diventa sempre più scontrosa ma, nonostante i sospetti che nutra circa i secondi fini dello zio, ne è intimamente attratta fino a diventarne complice.
Un thriller psicologico dalle tinte forte in cui le atmosfere cupe e gotiche, i crimini efferati quanto inspiegabili sono strettamente connessi alla crescita di una giovane donna e delle sue pulsioni sessuali. Il film ha anche le caratteristiche di un horror oltre che di un thriller e di un dramma familiare. Le atmosfere sono il vero protagonista di un film dalla trama farraginosa e poco coerente. Il regista ha dichiarato: “Non sono il tipo che manda messaggi ai suoi spettatori ma se dovessi descrivere il mio film mi verrebbe da dire, ‘conoscendo te stesso, puoi liberarti’.”

Considerato uno dei film più attesi dell’anno, si tratta tuttavia di una prova alquanto deludente dopo il forte impatto visivo ed emotivo della sua indimenticabile trilogia della vendetta composta dal già menzionato Oldboy, diventato un cult, e da Mister e Lady Vendetta. Park Chan-wook, amato sia in Oriente che in Occidente, aveva poi continuato a non deludere il suo pubblico con prove di grande originalità come la commedia fantastica Sono un cyborg, ma va bene del 2006.
Park Chan-wook decise che nella vita avrebbe fatto il regista a seguito della visione di quello che è considerato il film più bello di tutti i tempi, Vertigo – La Donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. Si è laureato in Filosofia negli anni in cui la Corea affrontava il difficile percorso verso la democratizzazione e con Oldboy ha raggiunto il più alto livello cinematografico che un cineasta orientale abbia mai portato sullo schermo ad eccezione forse di Akira Kurosawa e Kim Ki Duk. Park è autore di un’impronta stilistica originale apprezzata anche da Quentin Tarantino che nel 2004, quando presiedeva la giuria del Festival di Cannes, si batté per fargli conseguire il Gran Premio della Giuria.
E’ così che dopo l’esordio americano con The Last Stand – L’ultima sfida con Arnold Schwarzenegger del coreano Kim Jee-woon, che sulle sue orme aveva realizzato film di grande spessore come Bittersweet Life e I Saw the Devil, anche Park Chan-wook strizza l’occhio all’industria americana. Fa veramente strano pensare che anche un regista di questo calibro, portavoce con un linguaggio universale di una cultura sconosciuta agli occidentali si sia piegato alle logiche commerciali.

Oldboy raccontava ad esempio la storia disturbante di un uomo intrappolato per circa 15 anni apparentemente senza una ragione per poi scoprire che la sua prigionia era frutto di una vendetta. Ma sul piano intertestuale, il film si serviva del contesto storico (il 1988 è l’anno del rapimento di Oh Dae-su ma anche l’anno della rinascita della Corea del Sud che con le Olimpiadi dimostrò al mondo il suo miracolo economico) per raccontare quanto quel progresso fosse costato al suo popolo. Il film rappresentava il senso di intrappolamento e le sofferenze che caratterizzarono la storia di un popolo che prima subì l’occupazione giapponese, poi la guerra civile e infine la divisione delle due Coree.
La sceneggiatura di Stoker non è sicuramente all’altezza della la sua cinematografia precedente fortemente caratterizzata dal senso di disorientamento dei suoi personaggi incredibilmente violenti, tristi e spesso disumani. Si tratta di un film tormentato e di grande tensione che tiene col fiato sospeso lo spettatore fino alla fine senza mantenere le promesse iniziali. Non c’è dinamicità né grandi emozioni, il film rimane piuttosto freddo e privo di un finale sorprendente e tantomeno risolutorio.
Una sorta di romanzo di formazione in cui la protagonista fino a quel momento repressa ed impaurita si riscopre più carnefice che vittima, coraggiosa, enigmatica e a sua volta violenta ed impietosa sia nei riguardi dell’instabile madre che dell’odiato/amato zio Charlie. Nessuno può sapere cosa ne sarebbe venuto fuori se il regista avesse avuto lo stesso controllo creativo che ha nella sua Corea ma l’indubbio talento di Park Chan-wook non può che far ben sperare per la sua carriera futura.
In Italia l’uscita è prevista per il 20 giugno

di Rosa Maiuccaro


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