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Recensione "Finché le stelle saranno in cielo" di Kristin Harmel

Creato il 22 ottobre 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Simona Postiglione «Ma, ora che il presente era confuso e frammentario, sembrava che quel bellissimo scrigno di ricordi, chiuso a chiave da quasi settant’anni, contenesse gli unici momenti di nitidezza che Rose avesse ancora a disposizione. A volte si chiedeva se lo sforzo di dimenticare non avesse fatto sì che le reminescenze sopravvivessero intatte, nello stesso modo in cui conservare per anni un documento in un contenitore ermetico e buio poteva impedirgli di sgretolarsi».

Cari lettori di Diario,

cosa accade quando i sogni e i progetti coltivati in gioventù sono messi da parte a favore del nostro senso del dovere? Un cambio di direzione imposto dalla realtà del quotidiano, una brusca sterzata e ci si scopre a vivere la vita che non avremmo immaginato!
L’aspirazione di Hope — protagonista di Finché le stelle saranno in cielo dell’americana Kristin Harmel, edito da Garzanti — non era quella di gestire la pasticceria di famiglia ma, come spesso accade, la mancata realizzazione di un obiettivo può aprire le porte a nuovi scenari, fino al punto di riconoscersi pienamente in un nuovo sogno.
Titolo: Finché le stelle saranno in cielo
Autore: Kristin Harmel
Editore: Garzanti Libri
Collana: Narratori moderni
Pagine: 356
Prezzo: 16,40 Euro
Genere: Narrativa moderna
Traduzione dall’inglese: Sara Caraffini
Trama: Da sempre Rose, nell'attimo che precede la sera, alza lo sguardo a cercare la prima stella del crepuscolo. È quella stella, anche ora che la sua memoria sta svanendo, a permetterle di ricordare chi è e da dove viene. La riporta alle sue vere radici, ai suoi diciassette anni, in una pasticceria sulle rive della Senna. Il suo è un passato che nessuno conosce, nemmeno la sua amatissima nipote Hope. Ma adesso, prima che sia troppo tardi, è venuto il tempo di dar voce al suo ultimo desiderio: ritrovare la sua vera famiglia, a Parigi. E, dopo settanta lunghi anni, di mantenere una promessa. Rose affida questo compito alla giovane Hope, che non ha nulla in mano se non un elenco di nomi e una ricetta: quella dei dolci dal sapore unico e inconfondibile che da anni prepara nella pasticceria che ha ereditato da Rose a Cape Cod. Ma prima di affidarle la sua memoria e la sua promessa, Rose lascia a Hope qualcosa d’inatteso confessandole le proprie origini: non è cattolica, come credeva la nipote ma ebrea. Ed è sopravvissuta all'Olocausto. Hope è sconvolta ma determinata: conosceva l'Olocausto solo attraverso i libri, e mai avrebbe pensato che sua nonna fosse una delle vittime scampate all'eccidio. Per questo, per dare un senso anche al proprio passato, Hope parte per Parigi. Perché è nei vicoli tra Place des Vosges, la sinagoga e la moschea che è nata la promessa di Rose, una promessa che avrà vita finché le stelle saranno in cielo. Sarà proprio lo sguardo curioso e appassionato della giovane Hope a svelarne il segreto fatto d'amore, di vite spezzate e soprattutto — come indica anche il suo stesso nome — di speranza.
RECENSIONE
«Ormai viveva solo per i giorni in cui poteva riscivolare indietro nel tempo e vedere coloro di cui aveva giurato di non parlare mai più. Perché era là che rimaneva il suo cuore: lo aveva lasciato dietro di sé, su quelle coste straniere, tanto tempo prima. Adesso, mentre il crepuscolo la accerchiava, capì che era stato un grosso errore sforzarsi di dimenticare, perché quella era la chiave della sua identità. Ma ormai era troppo tardi. Aveva lasciato tutto in quel terribile, bellissimo passato. E là sarebbe rimasto per sempre.»
Scrivere della Shoah non è mai facile, non perché manchino notizie sull’argomento — sappiamo bene che non è così — piuttosto perché raccontare della miseria umana può essere devastante. Incredulità, sgomento, rabbia, odio, disperazione, rassegnazione, pietà, compassione, perdono, redenzione, speranza, sono sentimenti che riguardano tutti: vittime, sopravvissuti e anche carnefici; perché la verità, ormai palese al mondo, nel bene e nel male, appartiene a tutti. L’Olocausto mi ha sempre interessato poiché tocca corde invisibili che vibrano lungo le distanze; oltre il tempo, in un passato che è e deve restare Memoria. La Memoria di quanti sono stati strappati alla vita di chi è sopravvissuto e di chi è chiamato a tramandare un messaggio di pace, tolleranza e speranza affinché ciò che è accaduto non si ripeta.

Riviviamo l’Olocausto attraverso l’esperienza di Rose — ottantaseienne e malata di Alzheimer —, in un’altalena di ricordi scivolosi, impossibili da ghermire. Lo sforzo di dimenticare non ha fatto altro che farli sopravvivere intatti perché alcuni non si possono cancellare, nemmeno se si è trascorsa la vita a fingere che non esistano. Quando il mondo crolla — implodendo, deformandosi e ripiegandosi su se stessoRose è ormai lontana, in America, dove la gente poteva essere libera, dove la religione non definiva una persona ma era considerata solo una parte della loro identità. La Francia e Parigi sono all’altro capo del mare, la sua famiglia è persa e del suo grande amore, Jacob, non resta che una promessa: quando tutto sarà finito, la ritroverà. Una promessa d’amore, tanto forte da sopravvivere alla guerra e alla vita stessa.

L’autrice porta alla luce un aspetto della storia che — pur storicamente accertato — è sconosciuto ai più: durante la Seconda guerra mondiale molti mussulmani — secondo un codice d’onore chiamato Besa — hanno salvato la vita di migliaia di ebrei. Se pensiamo alla grande divisione che c’è nel mondo di oggi, fa un certo effetto pensare che dei mussulmani abbiano nascosto degli ebrei, mettendo a repentaglio la loro vita e quella dei loro figli. La spiegazione più semplice — che mi trova pienamente d’accordo — è che siamo tutti figli di Dio ed è l’uomo a creare le differenze.

La protagonista nasce ebrea, per evitare di essere rinchiusa in un campo di concentramento si nasconde tra i mussulmani e prega come una di loro; fugge dall’Europa — come molti altri — con documenti falsi che la identificano come cristiana, separandosi dal suo nome e dalla vita stessa, negatale da forze più grandi di lei. Vita negata a sei milioni di ebrei — uomini, donne, bambini — sterminati senza pietà: ricordiamolo! Dio però è ovunque — dice Rose — non si può identificare con un’unica religione; non importa cosa pensiamo di Dio, viviamo tutti sotto lo stesso cielo. Non è forse questo il senso profondo dell’amore che tutti siamo chiamati a vivere? Passano gli anni, passano anche i secoli, ma l’ umanità sembra restare uguale a se stessa: l’ uomo non ha smesso di combattere guerre sanguinose, in nome di presunti ideali di pace e benessere comune — ridicolo controsenso — e continua sempre a cercare le risposte destinate a colmare il vuoto emozionale che lo caratterizza. È consolante pensare — dice Rose — che mentre ogni cosa al mondo può cambiare, il finale dello spettacolo di luci che Dio ci offre nel cielo resta sempre lo stesso.

Kristin Harmel scrive della deportazione, della fiducia cieca di un popolo che — nonostante le avvisaglie — non può credere al destino che lo attende, della crudeltà di uno sterminio senza sconti e del senso di colpa che perseguita ogni sopravvissuto in quanto tale; lo fa in modo elegante, con delicatezza, entrando in punta di piedi nell’animo del lettore che non può non fermarsi a riflettere. La scrittura, limpida e diretta, descrive senza dilungarsi inutilmente le dinamiche di una trama semplice che tuttavia coinvolge con naturalezza. Nessuna difficoltà, dunque, a immaginare Hope — nipote di Rose — intenta a creare vere e proprie delizie nel retro della pasticceria di famiglia. Inoltre, si sorride leggendo i «mamma, ti odio!» che Annie — figlia adolescente di Hope — riversa in piena crisi adolescenziale sulla madre. È facile riconoscere il senso d’inadeguatezza che la donna prova dovendosi confrontare con l’improvvisa irritabilità, il nervosismo e la rabbia tipici di un’adolescente che ormai non è più la bambina che la cercava per farsi consolare.

L’amore a prima vista, quello che lega Rose a Jacob — due anime gemelle — è il «filo dipanato» che scorre lungo le pagine del racconto e che — grazie alle ricerche di Hope — sarà lentamente riavvolto alla spola d’origine: presente e passato s’incontreranno, colmando le distanze del tempo e del cuore; alleviando il senso di colpa per quanto non si è fatto e detto; così come per l’amore, negato da prima a se stessi e poi a chi si ha di più caro.


La storia di Hope, erede della memoria di famiglia, è quella di una persona che è stata ferita più volte e che ha eretto strati di difesa intorno al cuore; una donna che si convince di non avere bisogno di aiuto. A suo modo è una «sopravvissuta» — quasi fosse una tradizione di famiglia — e come tale saprà resistere alle avversità della vita, scoprendo che l’amore esiste e che ha il potere di liberare energie inaspettate.
L’AUTRICE
Kristin Harmel è nata a Boston. Appassionata di scrittura sin da quando era bambina, a soli sedici anni ha iniziato a collaborare con alcune testate americane come reporter, mentre studiava. Dopo l’università e una laurea in letteratura, ha iniziato a scrivere per People, dove lavora tuttora. Collabora anche con Glamour e altri magazine americani. È opinionista di diverse trasmissioni televisive, come Good morning America. Ha pubblicato diversi romanzi, bestseller negli Stati Uniti ma inediti in Italia.

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