RECENSIONE Quando ci si confronta con la trasposizione cinematografica di un libro letto, il giudizio non può essere mai obiettivo o privo di critiche. Eccetto alcuni rari casi, il film ne esce sempre sconfitto. La libertà d’immaginazione che un libro permette al lettore supera di gran lunga qualunque trasposizione cinematografia − anche quando è fatta molto bene −, ma ci sono le eccezioni che confermano la regola e Hunger games è una di queste.
Hunger Games è un lungo viaggio in un mondo diverso distopico che incolla lo spettatore allo schermo dall’inizio alla fine. Due ore di intrattenimento mescolate a riflessioni spontanee, che nascono grazie ad una regia notevole e una sceneggiatura che risulta più incisiva rispetto al libro. Se nel libro l’autrice Suzanne Collins sceglie di raccontare il mondo di Panem − dove è ambientata l’intera storia − attraverso gli occhi, le esperienze e il vissuto della protagonista Katniss (mancando però di una vero approfondimento caratteriale ed emotivo), il film necessariamente e in maniera più astuta amplia la visuale dello spettatore spostando la prospettiva dell’intera vicenda, dalla protagonista mera pedina di un gioco al mondo dittatoriale nel quale ella vive. Questa scelta ha reso la pellicola decisamente più incisiva e meno superficiale.Il momento della Mietitura
Lo spettatore si trova immerso in un mondo in cui dei giovani dai 12 ai 18 anni vengono scelti il giorno della “mietitura” per partecipare come tributi agli hunger games, un gioco al massacro − fortemente spettacolarizzato − in parte pilotato dagli stessi spettatori. Gary Ross − il regista del film − e gli scenografi hanno lavorato su questo momento del film con estrema cura, ricreando un atmosfera che ricorda molto da vicino le deportazioni e gli assembramenti visti nei film sul nazismo, ragazzi e ragazze abbigliati con miseri vestiti della festa schedati e ammassati come animali in attesa di sapere se quel giorno saranno sorteggiati a morte certa. Questa scena coinvolge emotivamente lo spettatore, che sente calare sulle proprie spalle il peso di un potere dittatoriale. Inoltre, l’inserimento di piccole ma incisive scene non presenti nel libro (il colloquio del presidente, Donald Suterland e lo stratega Seneca. Le immagini delle ribellioni dopo la morte di un tributo) permettono allo spettatore di vivere l’atmosfera, le dinamiche di un mondo nel quale la protagonista Katniss (Jennifer Lawrence) si ritrova suo malgrado incatenata. Passiva, non per scelta, ma per necessità. Il film diventa così la storia non di una ragazza che lotta contro un potere più grande di lei ma il simbolo di un sistema crudele e oppressivo, dove alla gente viene ricordato sempre il loro posto all’interno della società. Questo elemento è supportato anche dal fatto che, rispetto al libro della Collins, la storia d’amore dei protagonisti risulta decisamente più marginale e meno essenziale ai fini della storia.Katniss - Peeta
Dal punto di vista scenografico e degli effetti speciali, Hunger Games risulta decisamente intrigante per lo spettatore che non conosce il libro, ma per il lettore le scene risultano meno efficaci rispetto alle descrizioni fatte dall’autrice che ha saputo creare delle immagini fortemente evocative. Mi riferisco, in particolare, alla parata dei tributi e alla città di Capitol City e i suoi abitanti. Personalmente ho trovato ottime le scelte del cast, sia dal punto di vista fisiognomico che recitativo; si è creato un continuum rispetto al libro gradevole e quanto mai inaspettato. Katniss e Peeta (Josh Hutcherson) risultano credibili nei loro ruoli e Woody Harrelson è riuscito, in poche battute, a ricreare un personaggio complesso come il mentore Abernathy. Un plauso al grande Stanley Tucci, nel ruolo dell’istrionico Caesar.Che i giochi abbiano inizio..
Hunger Games è un film perfettamente congeniato, che sa coinvolgere e intrattenere lo spettatore per l’intero spettacolo, godibile e intrigante per certi versi. Non deve essere confuso, però, con un film i cui intenti risultano essere più profondi. È − e rimane − un film che, come il libro della Collins, sfiora solamente la complessità di riflessioni che un mondo come Panem avrebbe potuto far nascere negli spettatori o nei lettori e da questo punto di vista non centra l’obiettivo che il genere distopico si prefigge.