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Recensione "I miei anni a rincorrere il vento" di Barbara Comyns

Creato il 02 febbraio 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Redazione Cari lettori, questo gioiellino della letteratura ci ha davvero molto incuriosite, così, fra tira e molla: "Lo leggo io o lo leggi tu"?, "Prego, recensiscilo tu, ma lo leggerò anch'io", ci siamo ritrovate con due recensioni... ma benvengano: vi permetteranno valutare il libro da due punti di vista totalmente differenti, che vi faranno  speriamo scegliere di approfondire la conoscenza con Barbara Comyns, scrittrice di gran pregio finora quasi totalmente sconosciuta in Italia.
Autore: Barbara Comyns Titolo: I miei anni a rincorrere il vento Titolo Originale: Our spoons came from Woodsworth Casa Editrice: BUR (Bibliotreca Universale Rizzoli) Data Pubblicazione: Gennaio 2012 Pagine: 250 Prezzo € 10,00 Descrizione: Un romanzo che graffia il cuore, da una scrittrice raffinata come Jean Rhys e coinvolgente come Charles Dickens. Sono gli anni ’30 a Londra, e Sophia ha ventun anni, un avventato e romantico matrimonio da mandare avanti, e adesso aspetta anche un figlio. Fra bollette scadute, quadri invenduti e case fatiscenti, per trarsi d’impiccio Sophia può contare solo su un’ingenuità disarmante e un’inarrestabile vitalità. Liberamente ispirato alla vita dell’autrice che, ventenne, aveva sposato un promettente pittore, nipote del famoso artista Rupert Lee, per divorziare 4 anni – e due figli – più tardi, il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1950 e ottenne un grande successo.

Recensione di Giulia I miei anni a rincorrere il vento è un romanzo che narra di scelte non compiutePerché Sophia, la protagonista e voce narrante, fin dalle prime righe si lascia trascinare dagli eventi come una foglia catturata dallo stesso vento che viene citato nel titolo. Non è Sophia che rincorrere il vento. È il vento stesso a rapirla, e a trasportarla con sé attraverso una vita che non pare vissuta, ma osservata attraverso un vetro Sophia non decide nulla, mai. Non di sposare Charles, perché è lui a stabilire dove, e quando. Non decide dove andare a vivere né di crescere Sandro, il primo figlio. Semplicemente, accade, e la ragazza scende a patti con il destino. Quando rimane incinta la seconda volta, è Charles a imporle la scelta più difficile, che Sophia vive con un terribile misto di sollievo e angoscia, titubanza e senso di colpa. Non prende nemmeno in mano le fila della sua relazione clandestina con Peregrine, l'"uomo dalla faccia giallastra", ma la accetta con rassegnata acquiescenza. E, se a un certo punto pare che la risoluzione di troncare con lui sia il primo sfoggio di una forza di volontà in erba, ebbene, leggendo fra le righe è evidente come Sophia tronchi con Peregrine soltanto perché le sembra che il matrimonio stantio con Charles cominci finalmente a funzionare.

Complice la giovanissima età, Sophia si lascia sbatacchiare qua e là dal caso, dalla sorte, dal volere altrui. Ridotta alla povertà più degradante, senza carbone per scaldarsi né cibo con cui riempire lo stomaco, attende con grazia distratta un deus ex machina che la tragga d'impaccio. E poiché la vita è una ruota che gira, alla povertà seguono periodi di agiatezza, dovuti al buon cuore e alle sterline donate da benefattori casuali, e addirittura a un'insperata eredità. Tuttavia, invece di mettere a frutto il denaro, amministrandolo con oculatezza, la coppia se lo lascia scorrere via dalle dita. Né risulta più responsabile l'altrettanto giovanissimo Charles, più interessato ai propri quadri, che dipinge e cancella con fare ossessivo, e alla concezione tipicamente fanciullesca di "essere un genio", che a portare avanti un menage familiare. Eppure, Sophia ha talento. Nelle prime pagine del romanzo, appariva come l'effigie della donna moderna, giovane ma impiegata, con una paga discreta. Ed essendo di bell'aspetto, anche in seguito non ha difficoltà a trovare occupazioni in qualità di modella. Tuttavia, non riesce mai a imporsi sugli eventi, a mettere un punto fermo per arrestare il turbinio del vento che la trascina di miseria in miseria, sempre e ancora, mozzandole il respiro e sottraendole gli appigli.
L'irresponsabilità dei protagonisti di questo romanzo, raccontato con voce svagata e inconsapevole, sottilmente agghiacciante, giunge al culmine con la morte inutile di un'innocente, vittima sacrificale di una vita nella quale i bambini giocano a fare gli adulti. Neanche questo tragico decesso, e la fine preannunciata di un matrimonio, riescono a scuotere Sophia dal suo torpore. Le viene imposto un impiego presso una famiglia benestante, nelle campagne inglesi, che accetta - nessuna sorpresa - con buona grazia, se non con entusiasmo. Ed è qui che la Comyns ci regala, a sorpresa, un finale inaspettato. 


Incalzato da uno stile che non concede tregua – così lieve, un bisbiglio appena, eppure tanto serrato, senza dialoghi – e dal punto di vista miope e claustrofobico della ragazza, il lettore viene colto in contropiede. Per una volta, Sophia prende una decisione. Quella di raccontare i suoi “anni a rincorrere il vento”. Che, finalmente, ha cessato di soffiare.

Recensione di Gabriella I miei anni a rincorrere il vento narra la storia di Sophia, dietro la cui identità si cela la stessa Comyns, che, giovanissima e orfana di entrambi i genitori, parte per Londra e già prima di scendere dal treno ha impulsivamente deciso di sposare Charles, un giovane artista che ha appena conosciuto. È una giovane ingenua Sophia, incosciente, avventata, che non sa niente del mondo perché figlia dei suoi tempi: ci troviamo infatti nel primo dopoguerra, in un periodo di crisi economica e in un ambiente bohemien, dove si prende la vita come viene e si vive alla giornata. È molto bella Sophia: anche se non viene mai detto esplicitamente, gli artisti che le chiedono di posare per loro come modella sono attratti da lei. Sophia e Charles dunque si sposano, nonostante l’avversità dei parenti di lui, e si arrangiano acquistando o raccattando i mobili dagli amici, e il gioielliere, dato il modesto valore delle fedi scelte, non regala loro neanche i cucchiaini d’argento – come d’uso a quei tempi – tanto che la coppia deve acquistarli da Woolsworth (il titolo originale del romanzo è appunto questo, Our spoons came from Woolsworth -I nostri cucchiaini provenivano da Woolsworth).

Se in un primo momento Sophia sembra avventata e incosciente, la nascita del primo figlio (Sandro, come Botticelli) le instilla un po’ di senso di responsabilità. Charles, invece, rimane eternamente indifferente: non avrebbe voluto avere un figlio e, comunque, avrebbe preferito una femmina. A ogni modo, è come se Sandro non fosse affar suo: l’unica cosa che lo interessa è dipingere. E Charles dipinge in maniera maniacale: sfrutta la tela da un lato, se non ha i soldi dipinge anche dall’altro e poi, dopo alcuni giorni, gratta via il primo dipinto e ricomincia un nuovo quadro sopra al primo. Sembra quasi dipingere spinto da un’ossessione, più che per raggiungere un obiettivo. L’ignoranza di Sophia quando entra in ospedale per partorire fa tenerezza e, nello stesso tempo, ci lascia stupiti: noi figli dell’informazione, che non sappiamo le cose solo se non le vogliamo sapere, restiamo basiti di fronte a questa giovane sola, senza nessuno che la consigli o che le spieghi cosa sta succedendo, tanto meno i medici e il personale dell’ospedale, freddi, sbrigativi e altezzosi, che non si fanno commuovere da niente e da nessuno.

Il libro risulta una continua girandola di situazioni estreme, quasi un elenco ininterrotto dei miseri pasti mangiati, del poco denaro racimolato, di bollette da pagare e di lavori saltuari, perché quando ci si trova in una tale situazione di disagio, si riesce a pensare quasi a senso unico. Tuttavia, la Comyns/Sophia non fa pesare esageratamente le tribolazioni passate: in primo luogo perché ce le descrive guardandole col senno di poi, dopo che la sua vita è cambiata radicalmente; in secondo luogo perché, la stessa incoscienza di Sophia durante l’affannoso percorso a rincorrere il vento la rende distaccata, quasi che gli avvenimenti narrati in prima persona non stessero accadendo a lei. Inoltre, forse a causa della sua gioventù, sembra che il pessimismo non arrivi mai a sfiorarla, neanche quando le tagliano la luce, il telefono o non riesce a prepararsi un pasto caldo.

Lo stile è sempre frizzante e vivace, quasi ironico, nonostante gli argomenti trattati, che ci spingono a riflettere in questo nostro periodo di crisi. Ci fanno pensare quanto siamo viziati dal benessere che abbiamo vissuto finora; e se la crisi economica ci atterrisce, pensiamo a Sophia e alle sue tribolazioni, alla sua ignoranza e alla sua voglia di vivere, nonostante tutto, e riteniamoci molto fortunati.


Quale dei due punti di vista è più convincente? 
Secondo voi ha ragione Giulia quando dice che Sophia non ha deciso mai nulla e che non è lei a rincorrere il vento, ma esso stesso a rapirla e trascinarla con sé, o Gabriella, che sostiene che Sophia abbia preso invece delle decisioni, avventate sì, ma sue, e che è a causa dei tempi e dell'ambiente in cui vive - e anche della sua giovane età - se è costretta a 'rincorrere il vento'? Per scoprire quale delle due opinioni è più vicina alla vostra non vi resta che leggere questo libro! L'AUTRICE: 
Barbara Comyns è nata a Bidford-on-Avon nel Warwickshire nel 1909. Dopo il primo matrimonio con il pittore John Pemberton, svolse numerosissimi lavori: la venditrice di auto e di antiquariato, la cuoca in una casa di campagna dell’Hertfordshire, l’allevatrice di barboncini e tanti altri. Inoltre fu anche pittrice, ed espose le sue opere al London Group. Visse in Spagna con il suo secondo marito, Richard Comyns Carr per 18 anni. È morta nel 1992. Our spoons came from Woolsworth (I nostri anni a rincorrere il vento) è il suo secondo romanzo.


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