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Recensione "Il Cassetto delle Parole Nuove" di Monica Cantieni

Creato il 13 giugno 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Petra Janeite
«[…] aprii tutte le cassettine, svuotai scatole e non ne trovai nessuna azzeccata e alla fine ne presi solo una: COSMO. Quando uno ha TUTTO con sé, non deve preoccuparsi di avere dimenticato qualcosa.»
Il punto di vista dei bambini è sempre un po’ speciale, a maggior ragione quando a raccontare la storia è una bambina orfana, dalla vista debole ma dalla mente acuta, comprata a rate da un orfanotrofio in una Svizzera moderna dalla facciata perfetta e le fondamenta fragili.

Autore: Monica Cantieni

Titolo: Il Cassetto delle Parole Nuove Titolo originale: Grünschnabel Traduzione: Irene Abigail Piccinin Editore: Longanesi Collana: La Gaja scienza Pagine: 248 Prezzo: € 14.90 
Data Pubblicazione: 6 Giugno 2013 Trama: Lei non è una bambina come tante e non ha avuto molta fortuna nella vita. «Comprata» da un orfanotrofio per 365 franchi svizzeri, si ritrova catapultata nella periferia di una grande città del Nord Europa, un vivace caleidoscopio di gente di paesi e culture differenti, tra cui parecchi italiani, un mondo nuovo dove non tutto le è chiaro, e non solo perché non ci vede tanto bene. La bambina infatti ha qualche difficoltà a mettere insieme le parole, legarle al loro senso e al mondo che evocano. Sarà proprio la nuova famiglia adottiva a regalarle quel calore che finora le è mancato e che le permetterà di rimettere a fuoco le cose. In particolare, saranno il papà e il nonno ad aiutarla con un piccolo stratagemma: scatoline e cassetti dove mettere tutte le parole nuove in cui si imbatte ogni giorno. Nella geniale e tenerissima interpretazione del mondo che prende vita da questa fantasiosa classificazione di vocaboli, un giorno irromperanno un avvenimento e una parola tanto inattesa quanto cruciale...
RECENSIONE La bambina protagonista di questa storia, non è una bambina qualunque. Eppure è una fra tanti bambini cresciuti in orfanotrofio, dal passato insondabile, il futuro incerto e un presente comune che li priva quotidianamente degli anni magici della fanciullezza. Per questo la bambina non ha nome. Nome è sinonimo di identità, la figlia di nessuno ne è priva per definizione, perciò non stupisce quando una coppia sopravviene nell’istituto, come in un negozio di divani, a scegliere la bambina che fa al caso loro, pagando in comode rate e con la garanzia del periodo di prova nella formula “soddisfatti o rimborsati”.

"Orphans" 
Thomas Benjamin Kennington (1856-1916)


La bambina ha una vista debolissima, ma la Capa (dell’orfanotrofio) le suggerisce di far finta di vedere bene, così come si lucida un oggetto in vendita ammaccato, nascondendo la magagna. La speranza di una nuova vita sta per diventare realtà; la coppia ha scelto proprio lei, le aprono le porte di una casa vera con tutte le parole che contiene e che non vede l’ora d’imparare. Le difficoltà di vista e linguaggio della bambina non intaccano la viva curiosità, né l’attenzione agli eventi in cui si trova improvvisamente immersa.

Il padre è un buon insegnante, un crogiolo di parole nuove ed è lui a escogitare “il sistema delle scatole”: un catalogo fisico di termini in continuo arricchimento ordinato secondo insiemi e sottoinsiemi, tra passato, presente e futuro, in una moltitudine di scatole dalle misure più varie che finiscono col costituire la memoria e la conoscenza della bambina.


La madre, impossibilitata ad avere figli naturali, è molto diversa dal marito, pare non godere dello stesso entusiasmo di conoscere la piccola e farne una figlia. Divisa tra la depressione e la negazione, raramente ritrova l’equilibrio che – si presume – dovrebbe avere una madreadottiva, il suo ruolo nella crescita della bambina è spesso marginale, manca di quasi tutte le qualità necessarie a essere la guida e l’ala protettiva dei figli. Nel rapporto tra lei e il marito, il risentimento è palpabile: il senso di colpa per il fallimento nel concepimento si sfoga nei litigi di natura politica, ne emerge una coppia instabile e così evidentemente corrotta dal rancore che sorprende sia idonea all’adozione; ma i soldi comprano ogni cosa in una Svizzera dalla facciata tinta di nuovo.

Come sempre accade ai bambini costretti dalla vita a diventare adulti prima del tempo, la piccola sembra non assorbire l’influsso negativo della famiglia, si concentra piuttosto nel conoscere ogni abitante della casa, i vicini, gli animali, ogni contatto è una riserva di caccia alle parole nuove. C’è il nonno Tat, la sola persona a chiamare la bambina con un nomignolo affettuoso, (“Scricciola”), la sola che scambia un affetto tangibile, le insegna la vita; c’è il vicino italiano Tony, che si rivela un amico dalle molte risposte e poi c’è una bambina nascosta dentro un armadio dalle leggi puriste quanto ingiuste dello stato elvetico.


I temi sollevati da questo romanzo d’esordio sono molti, forse troppi per una prima volta, l’intento di Monica Cantiani è certamente dei migliori: intaccare la sensibilità del lettore verso la denuncia di uno Stato che – almeno dall’Italia – ci appare troppo perfetto per essere vero, un Paese che ha preferito sempre la neutralità alla presa di posizione, il denaro all’orgoglio, il pacchetto al contenuto. Il messaggio emerge, in molti passi, critico e polemico nei fitti dialoghi, che però tolgono molto a quell’approfondimento necessario al fluire della storia che così com’è appare sconnessa, frammentaria, mancante di molte parole, tutte quelle che la bambina non ha potuto ottenere.


E se il punto di vista di quest’ultima è voce narrante della storia, risulta suo malgrado povera di quella particolare inconfondibile capacità di riempire i vuoti che hanno i bambini, armati o meno di parole. Il potere immaginifico di questi è qualcosa di inattaccabile dalle difficoltà della vita, anzi, l’appello alla fantasia diviene maggiore in questi casi, proprio per l’esigenza di rendere migliore una realtà terribile; McEwan, certamente, sa cosa intendo. Accade, invece, che il continuo susseguirsi di brevi capitoli, come il botta e risposta dei dialoghi ridotti all’osso, mediati dalle riflessioni tra il pragmatico e l’illogico della piccola, creano una tale confusione di nomi, vicende, parole, da paragonare l’esperienza di lettura a un album fotografico di ricordi, flashback incoerenti di una memoria a noi ignota.
Che questo romanzo possa diventare per qualcuno il libro della vita – come recita la fascetta – non è opinabile; è certo però che il suo successo vale in proporzione al contesto in cui lo si legge, nella Svizzera perbenista potrà forse scuotere le coscienze, in Italia, però, ci sono storie ben più forti e ben scritte capaci di denunciare una realtà senza veli, anche se questa fosse narrata dalla piccola voce di una bambina senza nome.

L'AUTRICE Monica Cantieni, nata nel 1965 a Thalwil, nei pressi di Zurigo, lavora per la Radiotelevisione svizzera. Vive tra Wettingen e Vienna. Il cassetto delle parole nuove è stato finalista allo Swiss Book Award 2011. Sito Autrice

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