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Recensione Il figlio di Lois Lowry

Creato il 20 marzo 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Gabriella Parisi Cari Lettori, oggi parliamo di un romanzo a lungo atteso, il quarto episodio, che chiude ― forse definitivamente ― la quadrilogia di The Giver. Ne Il figlio di Lois Lowry, pubblicato da Giunti Y a febbraio 2013, che chiude il cerchio, come molti hanno detto, torneremo indietro nel tempo e ritroveremo tutti i protagonisti dei primi tre volumi, lasciando spazio anche ad altre voci, che si potrebbero aggiungere come nuovi arrivati a un girotondo, se solo la Lowry decidesse di volerlo fare. Recensione Il figlio di Lois Lowry Autore: Lois Lowry Titolo: Il figlio Titolo originale: Son Traduzione di Sara Congregati Casa Editrice: Giunti (collana Y) pagine: 384 prezzo: € 9,90 Data pubblicazione: 13 febbraio 2013

Trama: Quarto volume della tetralogia che comprende ''The Giver - Il donatore'', ''La rivincita - Gathering blue'' e ''Il Messaggero - Messenger''. Questa è la storia di Claire, ma anche di Jonas, Matty, Kira e di molti altri personaggi dell'inquietante realtà distopica inventata dall'autrice. Siamo al Villaggio, Claire ha solo 14 anni e ha ricevuto il ruolo di ''Birthmother'': dopo l'inseminazione artificiale diventerà un ''contenitore'' e partorirà il suo ''prodotto''. Nessuno le ha spiegato quanto sarà doloroso, nessuno l'ha avvertita che dovrà portare una benda che le impedirà di vedere suo figlio. Ma il parto di Claire è tutt'altro che semplice: subisce il primo cesareo di tutta la comunità. Per un'imprudenza dell'infermiera viene a sapere che il figlio, il numero 36, sta bene. A causa delle complicazioni, però, Claire viene ''decertificata'', dichiarata non adatta a essere una Birthmother e assegnata alla piscicoltura. La ragazza, sconvolta da un'atroce sensazione di perdita, ha ormai un unico scopo: ritrovare suo figlio. L'arrivo al vivaio della nave dei rifornimenti, giunta da un luogo sconosciuto chiamato ''mare'' con la sua strana ciurma, potrebbe essere il suo mezzo di fuga, quando rapirà il bambino...
RECENSIONE
Questa è la storia di Claire e di Gabe.

Gabe lo ricordiamo da ''The Giver - Il donatore'' (e fa una breve comparsa in ''Il Messaggero - Messenger''), mentre Claire è una nuova protagonista sebbene, per conoscere la sua storia, dobbiamo risalire a qualche anno prima gli accadimenti de Il donatore. Ritorniamo dunque in quel mondo grigio, ovattato, privo di sensazioni di Jonas, in cui le persone prendono una pillola per tenere a bada sentimenti e ormoni. Tutti tranne loro, le ragazzine che alla cerimonia dei dodici sono state designate come Partorienti. Quello di mettere al mondo i neo-bimbi della Comunità è un compito indispensabile ma denigrato, tanto che i genitori le cui figlie vengono prescelte per questo incarico quasi se ne vergognano. Eppure, senza quei cinquanta neo-bimbi ogni anno, la Comunità non potrebbe mantenersi in vita. Le anfore ― questo il nome delle ragazzine che portano in grembo un feto, quasi che fossero dei meri contenitori ― non prendono le pillole, perché queste potrebbero interferire con gli ormoni e danneggiare i bambini. Claire è dunque più sensibile e mal tollera quel parto difficile e doloroso effettuato al buio di una maschera scura. Sì, perché le Partorienti non possono vedere, né toccare, i loro Prodotti.
Cominciò a sognare il Trentasei. In uno dei suoi sogni Claire indossava di nuovo la maschera di pelle, ma stavolta le dettero qualcosa in braccio, qualcosa che si muoveva timidamente e che lei teneva stretto a sé, sapendo che era lui, non volendo che glielo portassero via e piangendo dietro la maschera una volta che questo accadde.
Nel parto di Claire, però, qualcosa va storto: la giovane non sarà più idonea ad avere altri bambini ― i tre Prodotti che ogni Partoriente fornisce alla Comunità ― e viene ‘ricollocata’ nel Vivaio ittico prima del tempo. Ma sente il bisogno di ritrovare il suo bambino: viene a sapere casualmente che si tratta del numero 36. E come se anche lui sentisse il legame con la madre, il piccolo diventa un neo-bimbo difficile da trattare: piange, non dorme, irrita gli altri neo-bimbi e i puericultori. Chi ha letto The Giver a questo punto comprende subito che il numero 36 è Gabe, il piccolo che il padre di Jonas porta con sé a casa la notte perché non disturbi gli altri neo-bimbi.
Claire ricacciò indietro le lacrime tornando in bicicletta al Vivaio. Più passava il tempo, e più lei disprezzava la sua vita: la monotona routine del lavoro, la noiosa conversazione con i colleghi, il carattere ripetitivo delle giornate, sempre uguali alle altre. Desiderava solo di stare col bambino, sentirne la tenera morbidezza del collo quando si raggomitolava su di lei, di sussurrargli paroline dolci e vedere come ascoltava volentieri la sua voce. Non era giusto provare quei sentimenti, che si intensificavano col passare delle settimane. Non era normale. Non era permesso. Lei lo sapeva. Eppure non aveva idea di come farli svanire.
Claire passa tutto il suo tempo libero nel nido con Gabe (che erroneamente crede si chiami Abe: i nomi dei piccoli vengono assegnati loro nella stessa cerimonia in cui vengono affidati alle famiglie che li cresceranno, fino ad allora verranno chiamati tramite un numero da uno a cinquanta), finché gli eventi di The Giver non precipitano, Jonas porta via Gabe dalla Comunità che lo vorrebbe ‘congedare’ e la ragazza si ritrova disperata e viene ‘inghiottita’ dal mare. Recensione Il figlio di Lois Lowry Si apre la seconda parte del romanzo, in cui Claire sbarca in un villaggio isolato fra il mare e una scogliera ripida e invalicabile, senza ricordi e senza prospettive. Il villaggio di pescatori e pastori è una comunità semplice, primitiva e Claire viene accolta da Alys, la guaritrice, che avrebbe sempre voluto avere una figlia. La gente del villaggio non comprende le eccentricità che la giovane rivela, nonostante abbia perso i ricordi: quelle persone semplici non riuscirebbero a capire la crudeltà del mondo da cui Claire proviene.
Alys ne rimase turbata, perché ora sapeva che la ragazza era intelligente e conosceva un sacco di cose. Ma sembrava avere così tante lacune, e il regno dei colori ne era un esempio lampante. I nomi delle varie sfumature erano una delle prime cose che imparavano i bambini. [...]
Claire non aprì bocca, impressionata dalla musica, confusa dal concetto dell’amore, e commossa dalla solennità con cui veniva festeggiato quell’evento.
Un giorno, mentre assiste Alys in un parto, memorie sconvolgenti affiorano nella mente di Claire: il parto, la maschera, la brutalità della comunità che separa le madri dai figli, il suo Abe. Da quel momento l’unico suo scopo sarà ritrovare il figlio e non importa se ciò comporterà scalare la scogliera altissima a picco sul mare: nessun sacrificio è troppo grande davanti all’amore di una madre. Claire sarà allenata da Einar lo zoppo, un giovane che ha già scalato la scogliera ed è tornato indietro, che la metterà a dura prova ogni giorno, rafforzando e rendendo più agile il suo fisico finché, dopo anni di preparativi, Claire non sarà pronta. Dopo la scalata durissima Claire si troverà davanti il Direttore del Baratto, che le chiederà qualcosa per aiutarla a ritrovare il figlio: Einar l’aveva preparata a quell’incontro. Il giovane, onesto e incorruttibile, aveva rifiutato l’aiuto dell’uomo malvagio, ritrovandosi mutilato, ma Claire è disposta a dare tutto pur di ritrovare suo figlio.
Si apre così la terza e ultima parte del libro, che si svolge qualche anno dopo la fine de Il Messaggero nello stesso villaggio di Matty. Il ragazzino non c’è più, ma lo ritroviamo nei ricordi di Gabe, che si tormenta perché non sa cosa lo attende nel futuro se non conosce il proprio passato. Esattamente come quando era un neo-bimbo, Gabe percepisce il forte legame con la donna che l’ha generato, seppure non voglia credere a Jonas quando gli dice che nella Comunità da cui provengono non esistevano né l’amore né un legame fra i genitori e i figli. Eppure Gabe ricorda qualcosa, sente che sua madre lo ha amato. E con un nome simbolico: Gabriel ― quello di un Arcangelo ― la forza dell’Amicizia e, soprattutto, del Legame che lo unisce a sua madre, proverà a sconfiggere il Male.
Questo romanzo parla della forza dell’amore più grande, un amore indissolubile: quello di una madre verso il proprio figlio, che riesce a superare un società senza sentimenti, una barriera insormontabile e ogni confine di spazio e di tempo. Un amore che è disposto ad accettare i compromessi più turpi, a pagare il prezzo più alto senza chiedere niente in cambio. Sembra strano percepire la sua forza attraverso la scrittura netta e asettica di Lois Lowry ― una scrittura ridotta all’essenziale che racchiude un universo di vite e di sentimenti ― eppure è un’entità tangibile. I tre libri in cui è diviso il romanzo (Prima, Durante e Dopo) presentano tre realtà diverse, tre società distanti, accomunate da Claire e dal suo unico obiettivo: quello di poter essere ― a qualunque costo ― una madre per suo figlio. La scrittrice dichiara di aver concluso la serie, ma tante possibilità sono rimaste aperte: ci sono personaggi che rimangono sospesi, nuove comunità da esplorare, nuovi protagonisti pronti a farsi raccontare, con i loro ‘doni’ che li rendono diversi, speciali, come ogni essere umano. Recensione Il figlio di Lois Lowry In un’intervista rilasciata su Goodreads, Lois Lowry racconta cosa significa crescere in una base militare e parla dell’attuale saturazione del mercato della narrativa Young Adults di libri ambientati in scenari post-apocalittici.
Quasi 20 anni dopo Il Donatore ― The Giver, libro vincitore della Newbery Medal, Lois Lowry termina la sua quadrilogia di romanzi distopici con Il Figlio e rivela il destino di Gabe, il neonato a rischio che accelerò gli eventi del primo libro. Ossessivo, incisivo e proibito nelle scuole almeno con la stessa frequenza con cui è adottato come lettura, The Giver rimane uno dei punti fermi della letteratura per l’infanzia. A 75 anni, Lois Lowry ha pubblicato una vasta gamma di storie. Quando The Giver fu pubblicato per la prima volta, l’autrice non aveva previsto di continuare la storia, ma poi, incalzata dalle lettere dei fan, che le chiedevano continuamente del destino dei personaggi del libro e iniziando a porsi le stesse domande, decise di continuare la serie. La maggior parte dei lettori in principio le chiedeva di Jonas. In seguito, poiché era presente sia in Gathering Blue, che in Messenger, hanno iniziato a fare domande riguardo a Gabe, un personaggio che non aveva sviluppato nei due romanzi e a cui, invece, i ragazzi si erano affezionati. La Lowry aveva cominciato a scrivere Il figlio con Gabe già adolescente, ma poi la sua attenzione è stata dirottata su colei che gli aveva dato la vita. Quella che è risultata essere la terza parte del romanzo ― quando il ragazzino comincia a farsi domande sulla madre ― era, in origine, il suo inizio. Il figlio è la testimonianza della forza dell’amore materno. La Lowry crede infatti che molti libri per adolescenti parlino di ragazzi che diventano indipendenti e crescono fino a diventare adulti: non abbandonano i genitori, ma non ne hanno più bisogno. Non ci sono molti libri che si interessano al legame stretto fra un genitore e un adolescente. La Lowry si dichiara colpevole di avere spesso lasciato da parte i genitori e aver portato i figli al campeggio estivo o in un posto analogo. Gabe ha un dono speciale, che lui chiama immedesimazione, una sorta di empatia, sebbene la parola ‘empatia’ non venga mai utilizzata all’interno del libro. Ogni protagonista della serie ha una dote, e la Lowry ne ha scelta una anche per il protagonista dell’ultimo libro. Avere il dono di percepire e comprendere i sentimenti di un altro essere umano ― se mai fosse possibile scientificamente ― potrebbe essere la cosa giusta perché si ponga fine a tanta sofferenza nel mondo.
Il figlio è stato scritto dopo la morte del figlio della Lowry, che era un pilota dell’aeronautica americana durante la prima Guerra del Golfo. La sua morte, tuttavia, è avvenuta dopo la guerra, in un incidente aereo. Il libro parla invece di una giovane donna che ha perso il figlio e trascorre molti anni della vita alla sua ricerca. Sono due generi diversi di perdita: quando muore un figlio, non si trascorre il resto della vita alla sua ricerca, ma si pensa perennemente a lui. Ci si continua a chiedere: “Cosa farebbe adesso?” Claire invece sa che suo figlio è vivo e si tormenta perché non può vederlo crescere. Lois Lowry è cresciuta all’interno di basi militari americane, poi ha sposato un soldato e ha continuato a vivere in una base militare. Questa esperienza le è stata utile nel creare la comunità da cui provengono Jonas e Claire, sebbene questa abbia un minaccioso lato oscuro. In un accampamento militare ogni sera alle cinque la tromba chiama l’adunata e si ammaina la bandiera. I ragazzini allora scendono dalle biciclette e si mettono solennemente sull’attenti con una mano sul cuore. Dopo essere vissuta per tanti anni seguendo queste regole, la Lowry trova curioso che la gente lo sopportasse e che nessuno si ribellasse, neanche i ragazzi. Anche riguardo agli alloggiamenti, la Lowry racconta che essi erano sempre uguali, con alcune differenze dovute al rango: i militari di grado più elevato avevano le case più grandi; in questo modo ognuno sapeva esattamente a quale livello della società apparteneva. Tutto era strutturato. La cosa che Lois Lowry apprezzava soprattutto delle basi militari era l’ordine e la pulizia. Da bambina era abituata a quel genere di vita e non ha mai provato sentimenti di ribellione. In seguito, però, si è sentita meno disposta ad obbedire automaticamente. La Lowry non si aspettava che The Giver potesse avere tanto successo. Quando pian piano ha iniziato a rendersi conto di quel che le persone trovavano nel libro ne è rimasta stupita. Era la prima volta che riceveva lettere da adulti. La gente trovava implicazioni politiche e religiose che la Lowry aveva inserito inconsciamente, perché non ci si può sedere a tavolino e progettare di farlo, ma soprattutto perché ciò che la Lowry esprime in un libro non è sempre quel che il lettore ne estrapola. Ora che sul mercato ci sono tanti romanzi distopici ― la serie di Hunger Games, Divergent, ecc. ― la Lowry sente di aver creato un mostro. Quando scrisse The Giver non c’era tanta letteratura del genere per ragazzi. Al college aveva letto Il mondo nuovo di Alex Huxley e 1984 di George Orwell. Adesso, invece  ― che ci sia un collegamento o meno ― sembra che improvvisamente tutti i libri siano futuristici, distopici. Ma la Lowry dice che è sempre così che accade: qualche anno fa imperversavano i vampiri, mentre adesso la moda sembra essere passata. Sostiene che Hunger Games sia ben fatto, ma sembra turbata dal fatto che ci siano ragazzi che uccidono altri ragazzi, non riesce a digerirlo. I giovani sembrano essere indifferenti a tale proposito, ma secondo la Lowry questo indica che nella nostra cultura c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Trova interessante che questo genere di libri venga annunciato come trilogia: le sembra che si tratti di una serie di scene d’azione impacchettate. Sebbene abbiano tentato di fare un film da The Giver, non è un’impresa facile, perché non c’è molta azione. Al contrario, trarre un film da The Hunger Games è stato relativamente più semplice. Nonostante tutta l’inflazione del filone distopico, The Giver non è stato svalutato, ma continua ad avere successo come sempre, in particolar modo con gli insegnanti, che pensano che il libro faccia nascere molti spunti di discussione. Potete leggere l’intervista completa su Goodreads  >>QUI<<
Recensione Il figlio di Lois LowryL’Autrice: Lois Lowry. Considerata una delle principali scrittrici di narrativa per ragazzi è nata nel 1937 alle Hawaii. Prima di avvicinarsi alla letteratura, si è dedicata alla fotografia e al giornalismo. Nel 1972 si laurea in letteratura inglese e nel 1977 pubblica il suo primo libro, A Summer to Die. Vincitrice due volte del Newbery Medal, il più importante riconoscimento letterario nell’ambito della letteratura per giovani, ha al suo attivo oltre trenta romanzi.

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