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Recensione "Il padre e il figlio" di Franco Perrelli

Creato il 16 gennaio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Antonella Albano

«NULLA SI DISTRUGGE O SI CANCELLA; VIVE DENTRO DI TE QUELLO DI CUI HAI DAVVERO BISOGNO, ANCHE SE MAGARI SANGUINA COME UNA PIAGA; DA QUALCHE PARTE, RECUPERERAI TUTTO QUELLO CHE TI SEMBRA MANCARE, E QUELLO CHE NON TOCCHI E CHE NON TI VEDI ACCANTO».
Cari amici di Diario, 
il libro sotto i riflettori oggi consente un'esperienza "densa": è infatti un romanzo sull'esperienza del rapporto padre/figlio, sul teatro e la sua valenza esistenziale e anche, infine e quasi incidentalmente, un giudizio sull'Italia di oggi.
Titolo originale: Il padre e il figlio
Autore: Franco Perrelli
Casa Editrice: Edizioni di Pagina
Collana: LeBellePagine
Pagine: 176
Prezzo: € 16,00
Data di uscita: giugno 2012
Trama: Il padre e il figlio è un romanzo sul teatro, che ne reinventa i protagonisti e trasfigura scene di classici, ma riscrive pure un’antica saga islandese, proiettandola sullo sfondo livido di un Sud contemporaneo. Un importante attore italiano torna dall’Inghilterra, dove ha girato un film, e apprende dal suo agente che dovrà accogliere in casa un figlio undicenne, che a suo tempo ha avuto da un rapporto occasionale con la maschera di un teatro, ma che non ha mai conosciuto. La madre del bambino è morta in circostanze misteriose e il piccolo non ha altri parenti. L’attore instaurerà un rapporto contraddittorio e drammatico con il figlio, che non avrebbe mai voluto accogliere e che, nell’arco di una settimana, lo porta a un serrato confronto con il suo passato di successo, sul piano professionale, ma di permanente crisi artistica, e costellato di affetti tutti in fondo non realizzati. Nel corso di una progressiva e inquieta presa di coscienza delle linee della sua esistenza, l’attore si confronterà con il rimorso, la malattia e l’urgenza d’individuare la direzione del suo mestiere e della vita. Su questa trama, in trasparenza, il romanzo si caratterizza per la tecnica di scrittura dialogata, per ampie sezioni, e concepita secondo strutture narrative che sono tendenzialmente analoghe a quelle con le quali, nel lavoro scenico, si fissano le improvvisazioni e le azioni degli attori.

RECENSIONE Il padre e il figlio, romanzo “teatrale” di Franco Perrelli, è un prisma a molte facce. Forse lo sono spesso quei testi che vengono scritti in preda a un senso urgente di necessità. Infatti affermare che il romanzo parli del rapporto inquieto tra un padre e un figlio non rende l'intento di comunicare la fascinazione per il teatro, e un teatro che rispecchi e accolga sapientemente la consapevolezza che un uomo può conquistare di se stesso. Marcello è un acclamato protagonista delle scene, ultimamente disgustato da se stesso e dalla sua incapacità di attingere alle vette della recitazione, intraviste in gioventù fra le rughe di un vecchio attore, il quale, dopo una vita di tentativi arriva a un quarto d'ora di grazia sfolgorante in cui l'uomo e il personaggio coincidono e poi, assolto il compito della sua esistenza, muore.

“Era come se il baricentro della tragedia di Amleto si fosse spostato tutto lì, deve ci doveva essere solo una parte dell'esposizione della vicenda. Pidulski faceva in modo che si dimenticasse che, in quel passaggio del copione, era in gioco la storia sanguinosa di un'antica casata reale, ma che davvero si potesse rivivere il tormento, il gelido trasalimento con i quali i ricordi o i rimorsi o le rivelazioni di qualcosa che pensiamo o fingiamo di non sapere e di non vedere, nei sogni o nell'immaginazione, talvolta, possono afferrarci. Quel ritorno dagli inferi veniva a significare davvero che nulla di ciò che accade e passa può essere mai dimenticato o nascosto, per quanto nella vita ci si sforzi.”

Questo incontro segna la vita di Marcello con un marchio di inquietudine e di insoddisfazione e lo fa veleggiare a vista, senza mai trovare approdo e senza mai affrontare il mare aperto. A sessant'anni focalizza e confessa questa incapacità di sopportare la vita che si è scelto, consapevole di non esserne, in fondo, adeguato.

Quando un figlio ragazzino, imprevisto e non voluto, gli arriva fra capo e collo, al di là delle apparenze, è la vita che gli dà un'ultima possibilità di capire, di trovare il bandolo di una matassa confusa e apparentemente senza senso. La chiusura crudele e, poi, l'apertura riluttante a questo figlio sono il pertugio da cui entrano le certezze da cui era rifuggito. Gli elementi di sette giorni trascorsi in questo limbo sono molti e sanno di consuntivo di una vita, sono giocati tutti in chiaroscuro rispetto ai personaggi dell'Amleto, che Marcello non potrà, alla fine, rappresentare, perché il fastidioso mal di gola che lo opprime si rivelerà essere un tumore alla laringe che dà alle conclusioni a cui l'uomo giunge la grandezza della definitività. Marcello è di volta in volta Amleto e il fantasma di suo padre. E i fantasmi, le apparizioni del passato che giungono a chiarificare il presente, sono accolti con una disinvoltura onirica che convive con la rappresentazione corrente della realtà ordinaria. Bari, la santona che dà responsi oracolari, la mafia e i suoi drammatici impicci sono elementi che si scompongono fra realismo e simbolo.

Nessuno sa quanto sia realtà e quanto sia sogno del febbricitante Marcello tutto quello che appare nella narrazione e qui sta il fascino del romanzo, che conserva nell'espressione, in questa visionaria calura di luglio, nel contempo la cadenza del parlato e l'oratoria del lessico alto. Nel frattempo Perrelli, fra una strizzata d'occhi al Marcello attore Felliniano, perfetto protagonista di un'italianità alto borghese e ipocrita, e la necessità profondamente umana di darsi un senso e una direzione alla vita, ci parla delle sue passioni e dell'urgenza di verità nascosta in esse: il teatro, il mondo scandinavo e il suo rigore, la ferita delle piaghe orribili di delinquenza cui acquiesce l'Italia, i vicoli ciechi dell'economia in cui l'Europa languisce. Il tutto viene raccontato da fantasmi, accolti senza stupore in una normalità solo apparente. Nasce, leggendo, il dubbio che nella storia tali inserti siano pretestuosi, ma l'arte dell'autore li spaccia come una coscienza più ampia che investe in questo interregno di chiarore, prima della fine della sua vita, il menefreghista Marcello, che si scopre padre e, come padre, uomo.

E il figlio pare un angelo di rivelazione ed è contemporaneamente un bambino; è la vita che, tramite un incontro, dà al protagonista quello che sperava: un senso. L'autore Franco Perrelli (Venezia, 1952) è professore ordinario di Discipline dello Spettacolo all’Università di Torino ed esperto di teatro e letterature nordiche. Ha pubblicato come traduttore e prefatore i grandi autori scandinavi, Ibsen, Strindberg, Lagerkvist, per i principali editori italiani. Le sue versioni di drammi ibseniani e strindberghiani sono state messe in scena da registi come Marco Bernardi, Gabriele Lavia, Walter Pagliaro, Cristina Pezzoli e Armando Pugliese. Ha vinto il Premio Pirandello 2009 per la saggistica teatrale con il volume I maestri della ricerca teatrale. Il Living, Grotowski, Barba e Brook, Roma-Bari, Laterza, 2007.


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