RECENSIONE
Ciao, mi chiamo Aron e questa è la mia storia.Sono nato pescatore su Tùlbay, l’ultima, minuscola, sperduta isola ai confini del Mar di Islyar. […] Io, però, non porto più il nome dei miei Padri da molto tempo, ormai.Per tutti, sono semplicemente Aron.Il mare, invece, me lo porto sempre dentro. Di me, dicono che non ci sia tempesta islyana cui non assomigli, che il ritmo del mio cuore sia scandito dalle onde, che a volte abbia ancora il sorriso di Narsete, mio padre, e che il blu dei miei occhi ricordi il mare aperto che ho sempre amato.Ma non c’è solo Islyar nel mio cuore. E il battito che sento nel petto, l’eco di un tamburo libero, non è solo mio.È possibile che un libro in cui riverberano le eco di numerose altre storie, abbia però una sua voce unica, particolare, assolutamente originale? È proprio quello che accade con il primo volume de Le leggende di Aron, nel quale durante la lettura è possibile cogliere lampi e riflessi delle opere di Hayao Miyazaki (fortissimo il legame nei primi capitoli, forse non voluto dall’autrice, ma facilmente richiamato dal lettore), di J. K. Rowling e persino di Philip Pulmann (se ci si volesse arrischiare in un confronto Daimon/Guardiani) e di molti altri del filone fantasy. Eppure, nonostante la mente a tratti rincorra reminescenze e confronti, la storia di Aron – così come il narrare della sua autrice – è e rimane squisitamente unica e fedele solo a se stessa. L’autrice attinge all’immenso e generoso calderone di elementi, topoi e figure archetipiche del fantasy epico, ma se ne discosta rielaborandone alcuni e creandone di nuovi, dando vita a un mondo forte di una coerenza interna e ricco della pluralità di personaggi e realtà e popoli (anche se questi ultimi per ora sono solo accennati e ancora da scoprire), che valorizza con uno stile pulito e sicuro – davvero inconsueto per un esordiente – e con un intreccio forse non complesso, ma prospero e animato. La prima parte del libro, quella in cui la vita serena e lieta del protagonista Aron sulla piccola isola sperduta di Tùlbay viene sconvolta e preclusagli per sempre a causa della comparsa di una runa oscura sul suo petto, è davvero ottima e convincente, grazie alle immagini evocative – di luoghi, situazioni e soprattutto personaggi – che tratteggia e alla solidità che riesce a conferire alle fondamenta dell’intero libro. Quest’apertura della storia sembra apparentemente calcare i passi del romanzo di formazione in classico stile fantasy: l’eroe, lungi dall’essere consapevole di esserlo, viene strappato alla propria vita pacifica e “ordinaria” e coinvolto inaspettatamente in una lotta tra Bene e Male di cui era completamente all’oscuro, ma che ha radici più profonde del Tempo stesso, e di cui si ritrova ad essere l’elemento determinante e insostituibile affinché il primo trionfi sul secondo. Ma a differenza dell’eroe classico, Aron non assurge da subito al ruolo di paladino del Bene, presto circondato da compagni di viaggio e battaglia, ma anzi inizia la sua (dis)avventura marchiato come mago Oscuro (nonostante non abbia mai incontrato la magia sino a quel momento e nonostante l’indole semplice e buona) e soprattutto nella completa solitudine. Il modo repentino, violento e drammaticamente definitivo in cui viene allontanato dalla sua vita di affetti, lavoro e sicurezze, crea uno strappo, sia nel personaggio sia nella narrazione, che il lettore percepisce sensibilmente e che segna il rapporto con il protagonista, fa entrare in empatia con lui e ne giustifica le azioni e gli errori che ne seguiranno. Infatti, se l’“Aron–giovane del popolo islyano” è un personaggio positivo a tutto tondo, che lavora sodo in mare ogni giorno, ama i suoi cari, è riuscito a superare la perdita del padre, è integrato nella comunità, l’“Aron–Oscuro” esiliato e rinnegato ingiustamente dal proprio popolo, solo e confuso, pur rimanendo “buono”, a dispetto della runa sul petto che indicherebbe il contrario, smarrisce l’aura di giustezza e di affidabilità, diviene persino meno amabile, e compie molti passi falsi. Questo perché la vita serena e semplice che conduce su Tùlbay, pur essendo certamente in parte merito del suo impegno, si svolge nel SUO mondo, in uno sfondo cioè disegnato apposta per lui in cui semplicemente Aron si attiene a quel che ci si aspetta da lui, come da ogni altro islyano. Ma la perdita di questa realtà e la traumatica troncatura con la sua vita già definita (al punto che lui stesso si dice certo di passare il resto dei suoi giorni su Tùlbay e di morirvi), impongono ad Aron di attingere alle proprie risorse per confrontarsi con qualcosa che non conosce da sempre e che non è stato fatto per lui, con un mondo cioè che gli è sconosciuto e in cui teoricamente lui non era previsto. E nel momento della crisi e del confronto, il semplice, spontaneo, affettuoso e responsabile Aron diventa sospettoso, insicuro, un poco – e comprensibilmente – egoista, talvolta tagliente. E fallace. È in questa parte centrale che emergono la conoscenza delle dinamiche e la capacità di lettura dell’animo dell’adolescente da parte dell’autrice, laureata in Educazione Professionale e specializzatasi in problematiche adolescenziali. Le reazioni di Aron sono descritte con una profondità e una realisticità tali, da renderlo fortemente credibile e reale. Forse troppo. Perché a tratti Aron sembra allontanarsi dall’identità iniziale, quella del personaggio fantastico, e prendere contorni molto attuali, molto veri, che in qualche modo appaiono estranei al tempo e alla dimensione fantastici in cui vive, e vengono percepiti come una nota stonata nel testo che si fatica però a identificare nell’immediato. Di conseguenza, anche la magia che ha caratterizzato i primi capitoli e l’alone fantastico che li permeava si smorzano, e la storia sembra perdere mordente. L’autrice riesce però a compensare questo calo, facendo avanzare piano piano, accanto alla traccia principale, tutte quelle parallele apparentemente minori, e soprattutto ponendo un’attenzione discreta ma decisiva agli affetti che si vanno a ricostruire intorno a Aron: la saggia e accogliente Bianca Gwen, il burbero Gil, l’enigmatico Caos, la spontanea e entusiasta Nephele e persino il suo Guardiano Bruma, responsabile ai suoi occhi della condanna portata dalla runa Oscura. La Epifani racconta questi affetti fragili, eppure determinanti, rispettandone i tempi, facendoli nascere e poi crescere e intensificarsi, senza abusare mai di manifestazioni eclatanti, ma in un modo sommesso e cauto che fa sì si sentano, si respirino, diventino solidi. La parte finale del romanzo riconquista magia e incisività grazie alla rivelazione del segreto degli Undici, che non solo apre al capitolo successivo della saga ampliandone i confini e le implicazioni, ma soprattutto arricchisce questo primo volume di un’interessante riflessione sulla dicotomia libero arbitrio – predestinazione, in riferimento all’essenza di Bene e Male, alla lotta tra queste due forze e all’equilibrio che ne consegue. Questa rivelazione va anche a costituire il climax dell’intero libro, in luogo di una più classica scena d’azione e di scontro, e crea un particolare contrasto con la prima parte della narrazione, in cui si concentrano tutti i colpi di scena “forti” e determinanti (la comparsa della runa oscura sul petto di Aron, il violento esilio dall’isola per mano della sua gente, la terribile prigionia segnata dalla tortura nel castello di Nebuk). Si ha così l’impressione che il libro sia incompleto senza il suo successivo e che costituisca una prima parte di un unico e più ampio disegno. Una prima parte indispensabile, ben congegnata e che prende spazio e tempi necessari per introdurre il mondo, presentare i personaggi, fondare le basi dei rapporti tra loro, ma inscindibile dai libri che la seguiranno, nemmeno parzialmente indipendente e autoconclusiva. A testimoniare ulteriormente come la storia di Aron nella mente dell’autrice sia assolutamente unitaria e compatta, la Epifani gioca curiosamente sulle anticipazioni di eventi e personaggi, citandoli nella presentazione della storia e nei ringraziamenti finali come fossero già accaduti e già conosciuti, mentre in realtà in questo primo volume non accadono/compaiono o lo fanno solo in secondo piano, e quindi evidentemente appartengono a libri successivi. O, meglio, alla storia nel suo intero. Nella presentazione, ad esempio, Aron dice che sarà il suo migliore amico Liam a scrivere la sua storia (personaggio che si attende per tutto il libro e che, invece, non compare che negli ultimi capitoli rivestendo un ruolo marginale), e nei ringraziamenti finali, scritti dallo stesso Liam, si anticipa il ritorno nella storia di un personaggio come Tisbe, stranamente non vien detta una parola su Gwen (preoccupante) e si fa riferimento a nonna Beba, lasciando supporre che nel prossimo libro la nuova compagnia riuscirà ad arrivare a Tùlbay. Grazie in parte a queste anticipazioni, che gettano semi fecondi per la curiosità; grazie all’inattesa separazione del finale, che apre alla storia nuovi interessanti orizzonti; ma soprattutto grazie proprio al fatto che questo libro pare concepito come un’unica storia col seguente; si chiude l’ultima pagina con un forte desiderio di poter leggere presto la prossima, quella che aprirà il secondo libro de Le leggende di Aron. Insomma, una lodevole prova d’esordio! L'AUTRICE Deborah (1976) ha origini salentine ma è cresciuta in Piemonte, sulle sponde del piccolo lago d’Orta dove vive tutt'ora. Laureata con lode in Educazione Professionale, ha svolto lavori in diversi ambiti della pedagogia, anche se da sempre ha una grande passione per le scienze naturali. Nel Novembre 2011 pubblica il romanzo fantasy per ragazzi Il segreto degli Undici, primo episodio della saga Le leggende di Aron. Svolge il lavoro di editor per Linee Infinite Edizioni, oltre che per committenti esterni e privati; è redattrice della sezione fantasy per la webzine dedicata alla letteratura Fralerighe; caporedattrice della rivista Linee Infinite Magazine, e articolista sul web. Legge molto e scrive altrettanto. Ama il fantasy, ma non disdegna la fantascienza, il thriller e tutti i loro "sottogeneri" dai nomi esotici quanto impronunciabili. Si occupa anche di educazione, dinamiche adolescenziali e relazioni familiari. Nei momenti liberi disegna mappe di mondi fantastici antichizzandole col caffè, le piace camminare nella natura, divorare libri e ignorare la sua allergia ai gatti. Sito dell'autrice QUI