Magazine Cultura
Mi scuso in anticipo e in ginocchio su ceci e fagioli borlotti per quanto leggerete. Avrei potuto fare di meglio, lo so. Ma, ecco, i brutti periodi capitano a tutti. E quindi... Noi.
Titolo: Noi
Autore: David Nicholls
Editore: Neri Pozza
Pagine: 431
Prezzo: 18 € (disponibile dal 30 ottobre)
Il mio voto: 4 piume
Trama
Douglas e Connie si conoscono alla fine degli anni Ottanta, quando il muro di Berlino era ancora in piedi. Trent’anni e dottore in biochimica, Douglas trascorreva allora i giorni feriali e gran parte del weekend in laboratorio a studiare il moscerino della frutta, il drosophila melanogaster. Connie, invece, divideva il suo tempo con una «combriccola di artistoidi», come li chiamavano i genitori di Douglas: aspiranti attori, commediografi e poeti, musicisti e giovani brillanti che rincorrevano carriere improbabili, facevano tardi la sera e si radunavano a volte a casa di Karen, la sorella di Douglas piuttosto promiscua in fatto di amicizie, a bere e discutere animatamente. Ed è durante una festa nel minuscolo appartamento di Karen, in mezzo a sedici persone accalcate intorno a un asse da stiro, che Douglas si imbatte per la prima volta in Connie: capelli ben tagliati e lucenti, un viso stupendo, una voce sensuale, distinta ed elegante con i suoi vestiti vintage cuciti su misura, attillati e perfetti. Sono trascorsi piú di vent’anni da allora e Douglas e Connie sono sposati da decenni e hanno un figlio, Albie. Douglas ha cinquantaquattro anni e la sensazione di scivolare verso la vecchiaia come la neve che cade dal tetto. Connie è sempre attraente e Douglas la ama cosí tanto che non sa nemmeno come dirglielo, e dà per scontato che concluderanno le loro vite insieme. Una sera, però, a letto, Connie proferisce le parole che Douglas non avrebbe mai voluto sentire: «Il nostro matrimonio è arrivato al capolinea, Douglas. Penso che ti lascerò». Una storia finita, aggiunge Connie, con i diciassette anni di Albie che sta andando via di casa per proseguire i suoi studi d’arte altrove. Una storia da suggellare con un ultimo viaggio da fare insieme: il Grand Tour nelle maggiori città d’arte europee per preparare Albie a entrare nel mondo degli adulti, come facevano nel Settecento. Douglas, cui la vita sembra letteralmente inconcepibile senza Connie, decide che non può terminare tutto cosí, che l’amore non può svanire solo perché si è finito di occuparsi di un figlio. Accetta perciò di partire per quell’ultima vacanza insieme, un Grand Tour non per diventare piú colto, sofisticato e ricco d’esperienza come facevano nel Settecento, ma per riconquistare la moglie, e quel figlio che sembra scontento dell’uomo che sua madre ha scelto per metterlo al mondo.
La mia recensione
Potrei dirvi che Noi è la storia di Douglas, biochimico di trent'anni che si innamora di Connie, artista o, più propriamente, aspirante tale. La loro storia, tra alti e bassi, giungerà a quella notte in cui, circa vent'anni dopo, il libro ha inizio. Ma Noi, in realtà, non racconta solo l'evolversi di una storia d'amore. Noi, attraverso le parole del pedante, polemico e fastidiosamente intransigente Douglas, racconta il complesso groviglio di sentimenti che lega i componenti della famiglia Petersen. Mi piace Nicholls, mi piace il suo modo di disegnare i personaggi, di renderli così reali e coerenti con le loro azioni da far sì che il lettore pensi di conoscerli davvero. Mi piace perché, seppur con una prosa fluida e leggera, riesce a trattare argomenti di un certo spessore. Mi piace perché i protagonisti dei suoi romanzi non sono mai eroi, non sono macchiette e non ci sono personaggi belli e personaggi brutti; ci sono invece fallimenti, malinconie, difetti, intensi sentimenti, amori incondizionati o finiti o appena nati, amori per altre persone, per i figli, per i luoghi, per i ricordi. Ma, soprattutto, ci sono persone. Sì, esatto, persone. Anzi, per essere più corretti dovrei utilizzare l'espressione "esseri umani", con le loro paure e con i loro difetti che rischiano di incrinare rapporti, di mettere a repentaglio la propria e l'altrui felicità.Proprio per questo motivo ho trovato interessante la scelta dell'autore di narrare in prima persona; solitamente non apprezzo in particolar modo la prima persona perché molti autori non resistono alla tentazione di voler apparire forzatamente accattivanti, talvolta rivolgendosi al lettore e sforzandosi di apparire simpatici a ogni costo. Probabilmente, invece, questo romanzo non mi sarebbe piaciuto così tanto se l'autore avesse scelto di utilizzare la narrazione in terza persona.
Sebbene sia Douglas a raccontarci tutto ciò che succede, senza quindi permetterci di conoscere il punto di vista di altri al di fuori di lui, trovo che questo non costituisca in alcun modo un limite alla caratterizzazione dei personaggi. Ciò accade perché, ed è una delle caratteristiche che più amo di quest'autore, Nicholls è estremamente attento ai dialoghi che sono, quindi, non solo ben strutturati e ben pensati ma anche, e soprattutto, funzionali e intelligenti. Nessuna delle conversazioni tra Douglas, Connie e Albie, il loro figlio adolescente, è inutile allo svolgimento della trama o è fine a sé stessa. È proprio grazie ai dialoghi, infatti, che l'autore riesce a farci sbirciare dentro la mente di Connie e Albie e a farci – e so che sembrerà assurdo e paradossale ciò che sto per scrivere – immedesimare in loro oltre che in Douglas. So perfettamente che vi sembrerà impossibile ma, credetemi, è così. Sebbene non si smetta mai di fare il tifo per Douglas perché riesca a contenere, una volta tanto, i propri difetti, rimane comunque impossibile non mettersi nei panni di Connie e Albie. Perché Douglas è rigido, è asfissiante, è puntiglioso e preciso a livelli imbarazzanti, è esageratamente fastidioso ma così maledettamente umano. Tutto in lui è umano, persino il tono di voce con cui ci narra la sua storia e, senz'altro, i sorrisi che mi ha regalato. A tratti mi è quasi sembrato di conoscerlo personalmente.In ultimo, e poi giuro la smetterò di cantare le lodi di quest'autore almeno fino al suo prossimo romanzo, di Nicholls apprezzo in particolar modo l'utilizzo che fa del passato e soprattutto dei flashback. Già negli altri romanzi era stato in grado di tenermi incollata alle pagine come se avessi le dita intrise di Vinavil, e anche con quest'ultimo libro è riuscito a ottenere lo stesso effetto. Temo che la colpa – o il merito – sia da attribuire al suo spiccato talento nello sviluppare diverse linee narrative e alternarle, facendo un uso sapiente dei flashback che riguardano la giovinezza di Douglas e Connie.
Io lo sapevo già, ancora prima di leggerlo, che questo libro mi sarebbe piaciuto un mondo. È sempre bello, però, arrivare alla fine e averne la conferma, no?
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