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Recensione "L'anticristo" di Joseph Roth

Creato il 25 agosto 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
L’Anticristo: Lucido compendio di ordinaria follia. 
Titolo: L’Anticristo 
Casa editrice: Editori Riuniti 
Collana: Le Asce 
Pagine: 164 
Prezzo: 9.90 euro
Introduzione: Fravia Arzeni
Traduzione: Cristina Guarnieri
L’Anticristo è un’opera scomoda, difficilmente classificabile, situata al crocevia di diversi generi letterari: dal romanzo alla saggistica, dalla scrittura diaristica a quella teatrale, dalla denuncia apocalittica e profetica al reportage giornalistico di viaggio. Un libro denso di storia, eppure fuori dal tempo, scritto in una prosa incalzante e vertiginosa, che narra le derive di cui è capace l’uomo confrontato alle tentazioni del potere. L’Anticristo è del tutto inedito in Italia, ancora introvabile in lingua tedesca. Un’opera sconcertante per la potenza espressiva del suo linguaggio, per il lucido presentimento degli orrori imminenti (i gulag, i campi di concentramento e la guerra), per la scandalosa attualità del suo j’accuse rivolto ai media mondiali, ai politici, ai totalitarismi, alle dittature, a tutte le forme di ingiustizia sociale e di razzismo che infuriano nel mondo. 
RECENSIONE Leggiadre lettrici, cari lettori, recensire L’Anticristo di Philip Roth mi ha gettato in un limbo di indecisione, da cui sono uscita solo grazie al desiderio di raccontare, sperando di riuscirci, la grandezza di questo libro. Non facile, considerando che Roth non segue una trama, si discosta anni luce dalla struttura del romanzo tradizionale, segue un percorso temporale e un percorso soggettivo che lo porta ad analizzare, attraverso una serie di figure allegoriche, la presenza del male nella società contemporanea. Un male che si annida tra le pieghe della superstizione, del capitalismo, dell’ignoranza, dell’antisemitismo. 
Roth ci rende partecipi di una disincantata quanto approfondita, e dissacrante, analisi delle debolezze umane cristallizzate nei regimi d’oriente e d’occidente, usando il tono visionario della profezia, dell’Apocalisse. Un percorso che s’intreccia a quello della propria esperienza personale, ai luoghi visitati, ai viaggi, a note autobiografiche evidenti: l’attività di giornalista, e l’esilio. L’Anticristo è anche parabola del popolo ebreo, di quello che in tedesco si esprime con il termine Heimatlosigkeit, la perdita al tempo stesso di casa e patria, e il suo girovagare negli anfratti della perdizione e del male, nell’emigrazione verso gli Stati Uniti dove già fiorisce il seme dell’antisemitismo. L’Anticristo è l’incendiario comodo, appicca il fuoco dove è già accesa la scintilla. Il denaro è lo strumento di cui si serve l’Anticristo per divulgare corruzione e vuoto, lì dove un tempo esistevano verità ed ideali; per comprare silenzi e approvazioni; per costruire caste su omertà e interessi. Ma l’Anticristo usa anche la parola, in termini spregiudicati e ipocriti, attraverso quei giornali che si servono della stessa come baluardo di menzogna, dimenticando il proprio ruolo di informatori obiettivi. E’ questo un tema caro a Roth, vittima di ripercussioni per alcuni servizi giornalistici non graditi all’editore. Furore che scaglia tra le pagine del libro contro “Il Signore dalle mille lingue”, magnate proprietario dei giornali del mondo e detentore di quei fili di cui Roth è la matassa in giro per il mondo e di cui egli si serve in una visione infernale in cui nessuno si salva, nemmeno lo stesso Roth
L’Anticristo è un libro anarchico, anticonformista, vorticoso, di Nietzschiana memoria, pervaso da una sottile e ricorrente sete di giustizia che altro non è che desiderio utopico, e dunque irrealizzabile. Un testo che non segue una logica nel suo sviluppo, né alcun impianto narrativo, ma che si eleva come uno dei baluardi di pensiero di un grande uomo in un grande tempo.

L'AUTORE: 
Di famiglia ebraica, studiò germanistica e filosofia a Vienna dove conobbe Karl Kraus. Partecipò volontario alla prima guerra mondiale, cadde prigioniero dei russi. Dopo queste amare esperienze si diede a una intelligente ma disordinata attività giornalistica a Vienna, Berlino, Francoforte. Morì consumato dall'alcool. Esordì con il romanzo La tela di ragno (Das Spinnennetz, 1923) ritratto di un filisteo tedesco avido di potere. In Hotel Savoy (1924) tema di fondo è la delusione del reduce che trova in sfacelo la società prebellica da lui conosciuta. Dopo i saggi di Ebrei erranti (Juden auf Wanderschaft, 1927) è un romanzo ca ico di biblica angoscia, Giobbe (Hiob, 1930). Indagando la causa storica della dispersione dell'ebraismo mitteleuropeo, Roth adombra la "finis Austriae" nel romanzo-capolavoro La marcia di Radetzky (Radetzkymarsch, 1932). Al tramonto del mondo asburgico e della sua irripetibile dimensione psicologica e ideologica, dedicò anche La Cripta dei Cappuccini (Die Kapuzinergruft, 1938) e La milleduesima notte (Die Geschichte der 1002.Nacht, 1938) breve romanzo in cui "il mondo di ieri" è contemplato con occhio disincantato e limpido, nell'ebbrezza di un distacco che incrina appena il cristallo della memoria: Vienna con gli ufficiali e le ragazze innamorate è ormai per sempre solo una fiaba sottratta alla consunzione e alla morte. Il breve amaro racconto La leggenda del santo bevitore (Die Legende vom heiligen Trinker, 1939) può essere considerato un patetico presentimento della fine dello scrittore. 

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